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La tv del 2011 – Dieci storie da ricordare, nel bene e nel male. Per un buon 2012

Dieci punti per la tv del 2011. E gli auguri per il 2012.

pubblicato 31 Dicembre 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 00:45


La tv del 2011: cosa dimenticare? Cosa ricordare? La scelta è ardua: un anno di palinsesti fra generaliste, digitale terrestre, satellite e sperimentazioni, politica, web, social network e interazioni con la tv si porta appresso una quantità enorme di storie da ricordare, nel bene e nel male. Quel che segue è una selezione del sottoscritto, assolutamente personale, delle storie e delle vicende che ricorderò di questo 2011 televisivo.

Scriveteci anche le vostre, se volete, e leggete queste come se fossero un countdown verso il nuovo anno. Buon 2012 a tutti, dal sottoscritto e dalla redazione di TvBlog.

La Tv del 2011

La Tv del 2011 - Marco Simoncelli
La Tv del 2011 - Mara Venier su Lamberto Sposini
La Tv del 2011 - Michele Misseri e la cronaca nera
La Tv del 2011 - Enrico Mentana

10 – La morte in diretta


Non è certo la prima volta che la televisione ha a che fare con malesseri e con la morte. Ma la diretta, l’invadenza dei mezzi di diffusione di notizie, video e filmati, rendono il tutto sempre più immanente. Il caso del malore di Lamberto Sposini è emblematico, in questo senso: il malore, La vita in diretta che non si ferma, qualcuno che voleva fermare Ballando con le stelle, l’interesse e l’attenzione mediatica, il silenzio. Scrivevo, allora, La morte in diretta (lo stesso titolo che diedi a un pezzo di oltre sei anni fa, quando morì Franco Scoglio.
La tv si trova in imbarazzo quando deve parlare della morte di qualcuno particolarmente famoso. E così, per esempio, nel caso di Steve Jobs, non può fare a meno di unirsi all’isteria collettiva di celebrazione acritica.

Mara Venier, Lamberto Sposini

Poi ci sono i casi che scuotono per quanto diventano impressionanti e simbolici. La morte di Marco Simoncelli, per esempio. Con il silenzio devastato dei telecronisti Loris Reggiani e Guido Meda. Una tragedia che, ancora adesso, mentre ne scrivo, mi si rizzano lentamente i peli delle braccia e trema un po’ la schiena, al ripensare a quelle immagini che non guardo e non riguarderò, a quel silenzio rotto, a quel racconto incredulo della morte in diretta.
La tv, però, riesce a rovinare tutto, anche i suoi momenti più puri. E così poi giù di funerali in diretta, omaggi sguaiati e pellegrinaggi e pornografia del dolore nel talk show, che pensa di poter far successo cavalcando la morte (ultimo, ma solo in ordine di tempo, l’orrido Kalispera di Signorini).

Michele Misseri a Matrix

Ma deve fare i conti anche con la curiosità morbosa del pubblico e con la propria: la morte è anche cronaca nera. Ed è qui, forse, che il mezzo televisivo ha dato il peggio di sé. Da Michele Misseri a Matrix al pomeriggio Rai che vorrebbe fare a meno della cronaca nera ma poi ritratta, da quello che persino Gerry Scotti definisce uno show della morte (forse per giustificare i bassi ascolti di Io Canto?), il 2011 ha visto la cronaca nera esibirsi in tutta la sua violenza pornografica.

9 – La metamorfosi

Enrico Mentana

Merita un titolo kafkiano, La7 e la trasformazione che ha subìto nell’ultimo anno, in particolare sotto la spinta della campagna acquisti dell’a.d. Stella e del direttore del TgLa7 Enrico Mentana. Perché non c’è alcun dubbio che La7, pur alla ricerca di una propria identità editoriale, sia il caso televisivo dell’anno. Mentana ha reso il TgLa7 una credibile alternativa alle ammiraglie, ha cercato di dare alla rete un’impronta fortemente orientata alle news – a volte esagerando e dimostrando poco senso della misura – e spesso si è sostituito al servizio pubblico laddove questo è stato carente. Poi si è fatto intrappolare dalla querelle delle dimissioni – subito ritirate e archiviate -, ha mostrato la prontezza nell’inventarsi un format random da utilizzare quando e se occorre (Bersaglio mobile) e ha fatto del bene alla rete. Che è ancora in metamorfosi perché non ha affatto concluso la propria campagna acquisti (e ha, per esempio, archiviato malamente Luisella Costamagna) nei risultati da verificare . Ci sarà Saviano a breve e poi Dandini e Guzzanti Sabina. Manca all’appello Santoro, per incomprensioni e interessi divergenti. E la Gabanelli, che – nonostante tuto – resta su RaiTre.
Restano Gad Lerner, Geppi Cucciari, Antonello Piroso. Di certo La7 si è trasformata ed è ancora in trasformazione. Il 2012 potrebbe essere, viste le premesse, l’anno della consacrazione.

8 – Sfida al Servizio Pubblico

Michele Santoro e Servizio Pubblico

L’esperimento di Michele Santoro è, senz’ombra di dubbio, una delle sfide più interessanti che si siano viste negli ultimi vent’anni di televisione italiana, se non altro dal punto di vista editoriale. Dopo un decennio di turbolenze politico-giornalistiche (a partir dall’editto bulgaro con cui Berlusconi disse di volerlo fuori dalla Rai), Santoro ha trovato una sua collocazione. Anzi, forse la Collocazione per eccellenza: con una cordata di imprenditori ed editori che hanno scommesso sull’operazione, si è costruito, di fatto, la propria tv (come già negli intenti di TeleSogno. Solo che, dopo l’entusiasmo iniziale, gli ascolti sono andati così così. Anche perché la situazione politica, nel frattempo, è mutata e Santoro e i suoi si sono trovati, di fatto, privi del loro nemico nell’economia di una narrazione giornalistico-televisiva tutta basata sull’antagonismo.
Così, anche se l’esperimento di Servizio Pubblico resta una pietra miliare – vedremo se, chi e come seguirà l’esempio di Santoro -, la televisione secondo Michele, Travaglio e Vauro deve rivedere un po’ il proprio modo di essere e di porsi e reimparare ad approfondire tematiche ed argomenti, senza più l’ombra – o la scusa – della contrapposizione pro o contro Berlusconi.

L’esperimento è riuscito a metà, fino a questo momento. Santoro ritornerà il 12 di gennaio

7 – La guerra dei cloni, la vendetta dei flop

Milly Carlucci e Ballando con le stelle vs. Baila

Uno dei casi dell’anno è stato, sicuramente, il confronto giudiziario fra Ballando con le stelle e Baila!, che ha visto la vittoria a distanza di Milly Carlucci sul clone partorito da Roberto Cenci e Barbara D’Urso: un precedente importante, per la tv italiana. E forse anche per quella internazionale. Un precedente che, da altri più buonisti, non è stato colto (la Clerici, per intenderci, continua a chiedere, come pax nei confronti del clone Io canto che il programma e l’originale, Ti lascio una canzone, vadano in onda in periodi diversi dell’anno.

E’ un segno importante per la tv tutta, anche perché sarebbe l’ora che si sperimentassero idee nuove. Anche perché il pubblico sta decretando una serie inaudita di flop (nel 2011, impossibile davvero elencarli tutti: da Sgarbi al doppio flop della D’Urso, da Pino Insegno a Star Academy, da Uman a Tamarreide). D’altro canto, c’è anche una serie imbarazzante di fiction brutte e affatto premiate dal pubblico, oppure premiate dal pubblico ma proprio impossibili da salvare qualitativamente (“La ragazza americana” (Raiuno), “Violetta” (Raiuno), “Sangue caldo” (Canale 5), “Tiberio Mitri-Il campione e la Miss” (Raiuno), “Il segreto dell’acqua” (Raiuno), “Viso d’angelo” (Canale 5)). No ai cloni, sì a idee nuove. Ammesso e non concesso che arrivino e che si riesca a smettere di acquisire format dall’estero e si ricominci a puntare su idee nostrane.

6 – Nazionalpopolare a chi?


D’altro canto, per aver successo – o almeno per non essere travolti – basta poco: è sufficiente essere nazionalpopolari, nel panorama desolante della televisione nostrana. Così, ecco Italia’s got talent, C’è posta per te, La corrida, I migliori anni, Don Matteo e via dicendo.

Per arrivare al successo più clamoroso di tutti, che è anche il più nazionalpopolare di tutti: quello di Fiorello. Il programma, #ilpiùgrandespettacolodopoilweekend, ha rappresentato anche il mio primo, grande scollamento con una buona fetta di lettori di TvBlog, per quel che riguarda il nostro “cortile”. Non me ne pento e rilancio: il successo di Fiorello in termini d’ascolto è sopravvalutato e fa parte di una tradizione alla quale il pubblico ha scelto di ritornare anche perché tutto il resto genera semplicemente rifiuto. Fiorello fa l’animatore e intrattiene come sa, con i grandi ospiti. Costa un saco e fa grandi numeri. E a tutti va bene così. A me, a costo di spiacere ai nostri lettori, invece no. Perché mi piacciono le idee.

E il nazionalpopolare mi sembra sempre e solo terribilmente banale. Non me ne vogliate.

5 – Cervelli in fuga, capitali in fuga

Simona Ventura SKY

Simona Venutra che scappa dalla Rai e si rifugia su Sky è, insieme alla Carlucci e a Maria De Filippi, che resiste nel disastro di Mediaset – al punto che provano a farla andare a risollevare persino Kalispera senza successo -, ma anche insieme a Victoria Cabello e Geppi Cucciari l’icona della tv al femminile.

Ed è anche l’icona dei cervelli in fuga dal servizio pubblico (gli altri li ha raccattati quasi tutti La7 e di Michele Santoro abbiamo già parlato) e verso altri lidi. Il digitale terrestre, La7, Sky, possono accogliere qualche cervello (alcuni li trattengono all’infinito, come Carlo Freccero che resta confinato nella sua Rai4 di nicchia).

Anche i capitali sono in fuga: bisogna spendere meno. C’è crisi. Gli ascolti – e quindi gli inserzionisti – non sono più quelli di una volta. Ma la tv ha anche un brutto vizio: quello di chiudersi a riccio – nel dietro le quinte – in un mondo impermeabile e astratto dalla realtà, un mondo che non è pronto ad accogliere cervelli “altri” e che rischierà di farsi scappare anche i pochi rimasti e di perdere altri soldi.

4 – Italiani, popolo da cooking


Il 2011 è stato anche l’anno del cooking: una vera e propria conferma dell’invasione di cucina, su generaliste e ammiraglie, su canali tematici del satellite e del digitale.

All’italiano, il cooking piace. Anche se prima o poi – come ha recentemente profetizzato Piero Chiambretti – anche questa bolla è destinata a scoppiare, perché la richiesta verrà presto soffocata da un’offerta soverchiante, sovrabbondante e bulimica. Benedetta Parodi si è ritagliata il suo spazio su La7, Antonella Clerici – per ora – ha riconquistato quello della Prova del Cuoco, Tessa Gelisio convince poco su Canale5. Real Time è sempre la culla del cooking. E poi, ad un certo punto, a sparigliare, su Cielo è arrivato Masterchef. Che ha dimostrato come si possa fare un talent con il montaggio e senza conduttore e come si possa creare un caso anche su canali minori.

3 – Senza rete


Cosa farebbe la tv senza il web, oggi? Ve lo dico senza troppi dubbi: starebbe molto meglio. Perché non ci sarebbe nessuno a rompere troppo le scatole, a dire che il re è nudo, a stigmatizzare certi comportamenti che sono un malcostume tutto italiano.

L’abbiamo detto più volte: oggi quasi tutti i programmi cercano l’interazione e il lato social. Perché? Perché sperano di poter controllare il dissenso sul web, i commenti negativi, i pareri spietati. E perché sperano di convogliare in qualche modo il proprio pubblico anche in rete (su Twitter, su Facebook, su blog con i commenti moderati dalle redazioni), per conservare l’apparenza del successo e dei complimenti urbi et orbi.

Ma il web non si controlla, piaccia o meno. E i vip su Twitter, che spesso si scambiano messaggi pubblici come se fossero su cellulari privati, be’, si autoghettizzano esponendosi al pubblico ludibrio senza nemmeno accorgersene. Il web è fuori controllo: il web può generare casi come quelli della lettera-sfogo di Giusy Ferreri; tormentoni come il video porno con Belen Rodriguez; comunicazione virale quasi mai pilotabile – è difficile che il mainstream riesca a far breccia nel cuore di quel che ama davvero il web – e soprattutto, per quel che ci riguarda, tempi e meccanismi che ci differenziano enormemente dalla stampa tradizionale. Con buona pace degli uffici stampa e dei vip, che non sono abituati a questo trionfo di opinioni sul web.

Ah, la rete smaschera anche, molto facilmente, chi parla bene o male di questo o quello per interessi personali: a volte qualcuno ci prova anche con TvBlog. Ma alla fine, visto che periodicamente qualcuno pensa che qui si sia proMediaset o proRai, proSky, proLa7 o pro-qualsiasi-cosa, allora vuol dire che, se si scontenta tutti, non si tifa per nessuno.

Prima o poi accadrà che il web affronterà l’amico-nemico televisivo per le corna: quando accadrà, quando i palinsesti diventeranno davvero definitivamente liquidi, allora l’integrazione sarà compiuta e i due media saranno indivisibili. Quando accadrà, la tv avrà definitivamente imparato a fare i conti con la fruizione attiva della rete e con l’interazione senza filtri.

2 – Una questione politica


Quando ho visto Mario Monti ospite di Bruno Vespa a Porta a porta, ho vissuto un orribile dejavu: a colloquio con era la scritta che campeggiava dietro a premier e intervistatore. E chiariva molto bene quello a cui si sarebbe assistito. Un colloquio, appunto. In cui Vespa, mai intervistatore – ovvero, mai in grado di incalzare il proprio interlocutore, offrendogli, piuttosto, una serie di domande dalla risposta scontata – ma padrone di casa nel proprio salotto, imboniva il proprio ospite, ovvero il potente di turno.

Dopo una stagione televisiva che mi sembrava interminabile, di fronte a telerisse politiche, a giornalisti che si ponevano nei confronti del pubblico come guru o santoni e, peggio di tutto, di fronte a giornalisti-zerbini, pronti a far piacere a chi comanda – ma anche a chi potrebbe comandare – speravo, senza troppa convinzione, che la tv potesse cambiare radicalmente. E invece, tutto cambia perché nulla cambi.

E’ una questione politica. Come politica era l’operazione progressiva di smantellamento della Rai (valuteremo per capire se sarà finita o meno), l’assegnazione delle frequenze, il beauty contest – di cui abbiamo fatto un ampio racconto, spiegando anche quel che i giornali, persino quelli antisistemici, non dicono – e quasi tutto quel che riguarda i massimi sistemi e i vertici della televisione italiana.

Una questione politica da almeno vent’anni.

1 – Pubblici gusti e interessi privati

Il gusto del pubblico sta cambiando? Questo è quel che sembrerebbe dire l’Auditel, almeno in alcune sue espressioni. Il Grande Fratello che non decolla più, Kalispera che floppa, una certa estetica televisiva che non trova più apprezzamento da parte del campione Auditel, dimostra che un certo tipo di televisione non è più praticabile, volendo mantenere cifre decorose in termini d’ascolto.
Dimostra che il gusto del pubblico è perlomeno rivolto verso il nazionalpopolare fatto decentemente. Almeno questo.
Che è rivolto verso chi non si mostra troppo alieno dalla vita di tutti i giorni.

Un giorno, magari, anche il pubblico italiano amerà le grandi storie, l’intrattenimento con il gusto del grande show, la satira più cattiva e non per forza buonista. Ma almeno è iniziata una selezione naturale.

La tv reagisce male a questi segnali del pubblico: vuole proteggersi, vuole rimanere autoreferenziale. Ma non potrà farlo ancora a lungo.

Anche perché c’è la questione dell’Auditel: il 2011 è stato l’anno in cui si è tornati a metterlo in dubbio come strumento attendibile, a ricordare come sia una mera convenzione, una stima statistica accettata per volere di editori e inserzionisti pubblicitari, a spiegare una volta di più come non sia affatto sinonimo di qualità. Nè, tutto sommato, di successo. L’Auditel, come la televisione italiana, non è pronto per adattarsi alla nuova realtà che si mostra dietro al piccolo schermo.

Ma anche questa realtà è in divenire, e bisogna vedere che cosa diventerà.

Lo osserveremo e lo commenteremo insieme nel 2012.

Buon anno.

La Tv del 2011
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