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La morte in diretta

Scoglio – La morte in diretta. Era un pezzo del 3 ottobre 2005 del sottoscritto. Qual è il confine? Questa la domanda che forse in molti si pongono – sicuramente se la pone il sottoscritto – dopo i fatti che hanno riguardato Lamberto Sposini: il suo malore, La vita in diretta che non parte, poi

pubblicato 30 Aprile 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 06:51


    Scoglio – La morte in diretta. Era un pezzo del 3 ottobre 2005 del sottoscritto.

Qual è il confine? Questa la domanda che forse in molti si pongono – sicuramente se la pone il sottoscritto – dopo i fatti che hanno riguardato Lamberto Sposini: il suo malore, La vita in diretta che non parte, poi comincia con le rassicurazioni, poi si ferma. Mara Venier che racconta di essere stata in qualche modo convinta ad andare in onda grazie a racconti non veritieri sulle condizioni di salute del collega.
Qual è il confine e cos’è giusto, quando si parla di vita, di malori, di morte in diretta?

Dipollina, su Repubblica, non ha dubbi e, nel suo pezzo Il buon senso di fermarsi scrive, assolutista e portatore di verità:

La decisione più ovvia e semplice nessuno riesce a prenderla. Era quella di chiudere del tutto e da subito la puntata della Vita in diretta di Raiuno. È finita in un balletto assurdo e surreale di rinvii, poi è andata in onda una bella fetta di programma, prima della sospensione definitiva..

Sembra ragionevole. Sì. Lo è. Anzi, è proprio giusto. O forse no? Uno rilegge, ci pensa. Ne parla con la redazione, cerca un confronto. Cerca di elaborare un pensiero un po’ più approfondito a freddo. No, non è ragionevole per niente. E’ solo emotivamente facile. Se fosse successo a un macchinista dietro le quinte? Se il malore l’avesse avuto un cameraman? La vita in diretta ha un valore diverso, se ad essere in pericolo è un conduttore che ci mette la faccia o uno che sta dietro le telecamere?

E ancora. Se si fosse sentito male un collega di Dipollina, avrebbero forse chiuso il giornale? Se ci fosse da chiamare l’ambulanza per un operaio di Pomigliano, si fermerebbe la catena di montaggio? E poi, per quanto tempo? Non si va in onda subito. Per un giorno. Per una settimana. Non si va in onda con Ballando con le stelle la sera dopo. La settimana dopo sì, però. E poi, se fosse successo in diretta? Si sarebbe fermato il tutto semplicemente per lo shock? O per ragioni logistiche? Avrebbe avuto ragione Dipollina? E il confine, il discrimine qual è? Un malore? La morte in diretta?

La questione è complessa, e ringrazio fin d’ora la redazione di TvBlog che si è confrontata con il sottoscritto per avermi consentito di arricchire le mie riflessioni in merito con altri punti di vista. E pertanto di provare a scrivere un editoriale che cercasse di sfuggire alla faciloneria.

La tv amplifica tutto, questo è ovvio. La diretta, poi, amplifica ancor di più: i personaggi televisivi entrano nelle nostre case e sono qui e ora. Da qui la curiosa empatia che si riversa nei loro confronti. Un’empatia che, probabilmente, la maggior parte dei telespettatori non riserverebbe al proprio vicino di casa o al proprio fruttivendolo, che magari odia cordialmente. Né alle vittime di una carestia, di un terremoto o di una guerra: loro non entrano in casa tutti i giorni attraverso un elettrodomestico, sono solo altri esseri umani. Da qui, probabilmente, anche l’iconizzazione. Il trucco, il cerone e le luci dell’eterna giovinezza completano la messa in scena e rendono televisivamente – percettivamente – immortali.

Quelle immagini bidimensionali che prendono vita sono diverse dalla vita vera e fenomenica. La vita in diretta è, in realtà, una vita indiretta. Se quelle immagini in 2d si fanno male, allora crolla un mondo, la vita si ferma, la tv si ferma. E se per caso non si ferma, allora, giù accuse a chi non l’ha fermata. E giù scene isteriche, e la convinzione che non ci sia rispetto per i familiari – i quali di certo non attendono davanti alla tv per vedere se il programma vada avanti o meno – e chissà quant’altro.

Sia ben chiaro: qui si va molto oltre il concetto di The show must go on. Qui si parla di vita che va avanti.

Ma poi, ecco, dicevamo: il confine qual è? La morte in diretta? Allora cosa accadrà? Perché accadrà. Verrà il giorno in cui le trasmissioni in diretta, i reality on air 24 ore su 24 diventeranno così immanenti e soverchianti – ci siamo quasi – da rendere, statisticamente, la morte in diretta un evento talmente probabile che prima o poi non potrà che accadere. A quel punto cosa succederà? Si fermerà tutto? Per un’ora? Un giorno? Per sempre?

Anche allora, anche in quel momento, sarà solo una morte indiretta, un fatto drammaticamente naturale. Amplificato dalla tv.

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