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Che Dio Ci Aiuti 7 è un micromondo che cambia per non cambiare: la recensione

Neanche l’annunciata uscita di scena di Elena Sofia Ricci può stravolgere un micromondo che ha le sue regole precise e che garantisce al pubblico la giusta dose di cambiamento, senza esagerare

12 Gennaio 2023 21:36

Cambiare tutto per non cambiare nulla: è la regola d’oro con cui Lux Vide (da qualche tempo diventata società del gruppo Fremantle) ha permesso a due delle sue produzioni di diventare tra le fiction più longeve della tv italiana. Una è Don Matteo, l’altra Che Dio Ci Aiuti. La settima stagione di quest’ultima -con i primi episodi già in anteprima su RaiPlay– rappresenta l’ennesima conferma di come questa regola sia alla base di una storia sempre identica a se stessa, ma sempre differente.

Che Dio Ci Aiuti 7, la recensione

Neanche la già annunciata uscita di scena (definitiva o no, sarà solo il futuro a stabilirlo) di Elena Sofia Ricci intacca questo approccio che da sempre gli sceneggiatori hanno nei confronti di una delle serie tv di Raiuno più seguite. L’uscita di scena della protagonista sarebbe potuto essere un pretesto per smuovere un po’ le acque, e invece no: Che Dio Ci Aiuti, in tempi in cui di novità -non sempre gradevoli- ce ne sono già abbastanza, decide di andare sul sicuro.

D’altra parte, il successo di Don Matteo senza Terence Hill è la dimostrazione che il pubblico della Lux Vide segue le sue serie sì per i protagonisti, ma non solo. Il segreto del successo di Che Dio Ci Aiuti sta nell’aver costruito, stagione dopo stagione, un micromondo all’interno del mondo reale, in cui gli insegnamenti più profondi possono essere comunicati senza fare la morale. Suor Angela (Ricci), Azzurra (Francesca Chillemi) e Suor Costanza (Valeria Fabrizi) indicano una via, ma sono loro stesse le prime a dover intraprendere quella strada.

Si crea così un’empatia con il pubblico che è cosa rara nelle fiction italiane: noi telespettatori potremmo essere seduti ai tavolini dell’Angolo Divino ed ascoltare battibecchi e litigi senza sentirci estranei, ma parte di quel micromondo che ritroviamo quasi tale e quale ogni stagioni.

Cambia tutto, dicevamo: il riferimento è ai personaggi secondari, che dopo solitamente una o due stagioni lasciano spazio ad altri ruoli. Ma non cambia nulla, dicevamo anche, perché le loro dinamiche restano sempre le stesse: dalla coppia che inizialmente non si sopporta e che finisce per innamorarsi al personaggio comico che deve recuperare autostima in se stesso, fino al bambino/a che deve -da format- introdurre ogni puntata con la sua voce fuori campo.

Un rinnovamento-non rinnovamento che fa della storia un evergreen, allontanandosi da riferimenti temporali e d’attualità e consolidando il rapporto di fiducia costruito con il proprio pubblico in questi anni. Che Dio Ci Aiuti è una delle poche serie italiane in cui anche il colpo di scena più clamoroso (pensiamo alla morte di Guido, interpretato da Lino Guanciale) è pensato non per tradire il telespettatori, ma per dargli l’impressione che nulla sarà più come prima. Fino alla puntata successiva.

La rassicurazione su cui si basa anche Che Dio Ci Aiuti 7 è infine associata alla volontà di dare al racconto un’impronta quasi esclusivamente comedy e familiare: a differenza della serie sorella Don Matteo, qui i casi di puntata sono rivolti ai temi del sociale e non della cronaca. Alla famiglia, sia essa biologica o acquisita, il Convento degli Angeli Custodi deve tutto, dai momenti più divertenti a quelli più seri. Perché se c’è una cosa che sa cambiare con il tempo pur non cambiando mai, è proprio la famiglia.

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