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Venezia 2019, ZeroZeroZero, la recensione: Gomorra incontra Narcos con Sollima e Saviano

Stefano Sollima alla regia dei primi due episodi dell’attesissima serie, presentata in anteprima mondiale alla Mostra del Cinema di Venezia.

pubblicato 5 Settembre 2019 aggiornato 30 Agosto 2020 14:51

A quasi 3 anni dall’annuncio di una serie tv tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, ZeroZeroZero è finalmente diventata realtà, con i primi due episodi presentati fuori Concorso alla 76esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

Una mega produzione che ha coinvolto Cattleya e Sky, Amazon, HBO e Canal+, con Stefano Sollima, già visto dietro la macchina da presa delle serie Romanzo criminale e Gomorra, co-sceneggiatore, produttore e regista. Tre continenti, mesi e mesi di riprese, un infortunio alla protagonista Andrea Riseborough e problemi a Monterrey, in Messico, che hanno fatto slittare l’arrivo in tv del progetto al 2020. In cabina di regia al fianco di Sollima, che ha scritto il tutto insieme a Leonardo Fasoli e Stefano Bises, Mauricio Katz, Max Hurwitz e Maddalena Ravagli, anche l’acclamato Pablo Trapero e Janus Metz, per una serie che spazia tra Nord America, Sud America e Calabria, tra i cartelli messicani che gestiscono la produzione della droga, le organizzazioni criminali italiane che ne amministrano la distribuzione e le compagnie americane che controllano la quantità apparentemente infinita di denaro coinvolta in questo miliardario giro di affari.

Venditori, compratori e intermediari. Pronti, via e ZeroZeroZero presenta rapidamente i propri protagonisti, volando da un continente all’altro, in modo da sviscerare questa lotta per il potere che spazia dalle rocce dell’Aspromonte a Monterrey, passando per New Orleans. Ad unire questi angoli di Globo il concetto di famiglia, storicamente pronto ad implodere dinanzi al Dio denaro, alla sfrenata voglia di comando, che genera infedeltà e sete di vendetta.

Don Minu, anziano boss della ‘ndrangheta da anni nascosto tra le montagne calabresi, decide di rilanciare gli affari della propria cosca ordinando uno spaventoso carico di cocaina dall’altra parte del mondo. Qui, in Messico, si attiva un cartello di narcotrafficanti segretamente pedinato dai servizi segreti, mentre in Louisiana, negli Stati Uniti, una famiglia che gestisce decine di navi cargo prepara il milionario trasferimento via mare, tramite portacontainer.

Produzione ambiziosa e mai come in questo caso internazionale, quella plasmata da Sollima, ormai sempre più hollywoodiano dopo aver diretto Soldado e in attesa di rivederlo al cinema con Senza Rimorso, film tratto da un classico di Tom Clancy, con Michael B. Jordan protagonista.

Replicare il successo di Gomorra, la chiara intenzione di un progetto che si fa rapidamente avvincente, tra tradimenti e menzogne, inseguimenti e sparatorie. Un nuovo viaggio criminale suddiviso in otto episodi, e in arrivo a inizio 2020 su Sky, che apparentemente paga la propria internazionalità, concentrando le proprie attenzioni principalmente in Messico, dove talpe e soldati corrotti alimentano una guerra che si fa presto sanguinosa e quotidiana. Una realtà ben presente anche nel libro di Roberto Saviano, va rimarcato, ma esattamente come avviene in Gomorra è ancora una volta la traccia italica, che porta agli ‘ndranghetisti calabresi, a suscitare maggiore interesse, se non fosse che nei primi due episodi diretti da Sollima sia stata messa in disparte, in favore di messicani senza scrupoli e ingenui americani, trainati da Gabryel Byrne, un Dane DeHaan malato e dall’evoluzione narrativa ancora tutta da scoprire e una solida e impavida Andrea Riseborough.

Nei primi 100 minuti mostrati alla Mostra del Cinema di Venezia, ZeroZeroZero semina da subito morti ammazzati e spietati malviventi, perché non ci si può mai fidare di nessuno, sfruttando a dovere un budget milionario, pur di non avere nulla da invidiare a serie criminali a stelle e strisce come Narcos. Messa in scena eccellente per Sollima, accompagnato dalle musiche elettroniche degli scozzesi Mogwai e ancora una volta ancorato ad uno stile di regia dinamico e robusto, che abbraccia sacro e profano come nelle migliori tradizioni cinematografiche criminali, con il potere puntualmente legato alla morale religiosa.

Premesse intriganti e attese parzialmente ripagate, nei confronti di un progetto che si presenta al mondo della serialità con enormi potenzialità e sfrenate ambizioni. Ma il rischio deja-vu, pensando ad operazioni come Gomorra e Narcos, rimane terribilmente dietro l’angolo.