Home Interviste Massimo Righini e la nuova sfida con Casta Diva Entertainment: “Abbiamo iniziato subito a fare intrattenimento. Ecco i primi format”

Massimo Righini e la nuova sfida con Casta Diva Entertainment: “Abbiamo iniziato subito a fare intrattenimento. Ecco i primi format”

TvBlog ha intervistato Massimo Righini, Chief Creative Officer di Casta Diva Entertainment, che ha parlato dei primi progetti ai quali sta lavorando.

pubblicato 5 Maggio 2021 aggiornato 6 Maggio 2021 11:16

Nel corso della sua carriera, Massimo Righini ha lavorato per più di 80 programmi televisivi, andati in onda negli ultimi vent’anni, in adattamenti italiani di format internazionali come Bake Off, Ninja Warrior, Matrimonio a Prima Vista, This Time Next Year, The Mole, Guess my Age, Il Collegio, Ma come ti vesti?, Best in Town e Changing Rooms e in produzioni originali come Singing in the Car, Amici, Uomini e Donne, Domenica Live, Forum, Ciao Darwin, Camionisti in Trattoria e Chi Ti Conosce?.

Dopo aver lavorato 6 anni per la Nonpanic, società di produzione televisiva del gruppo Banijay, la nuova sfida di Massimo Righini si chiama Casta Diva Entertainment, società con la quale la Casta Diva Group, multinazionale attiva nel settore della comunicazione, nella produzione di spot ed eventi, fa il proprio ingresso nel mondo dell’intrattenimento televisivo e della serialità.

TvBlog ha intervistato Massimo Righini che ci ha parlato dei primi progetti di Casta Diva Entertainment (per la quale ricopre la carica di Chief Creative Officer), prodotti originali e licenze straniere, programmi televisivi e serie tv, e non solo.

Sei direttore creativo della neonata Casta Diva Entertainment. Quali sono gli obiettivi che vi siete posti?

Casta Diva è una multinazionale che, nel mondo dell’intrattenimento, non era conosciuta perché ha lavorato, negli ultimi 20 anni, per filmati pubblicitari internazionali, non spot ma una sorta di film. La maggior parte degli spot che si vedono su Rai e Mediaset sono realizzati da Casta Diva. Però, nell’anno scorso, dopo aver lasciato Banijay, sono stato avvicinato da Fabio Nesi, ad di Casta Diva. Fabio Nesi mi ha spiegato la filosofia di Casta Diva e quello che mi ha colpito è stato l’entusiasmo che hanno messo da subito, nonostante abbiamo iniziato questa unit durante una pandemia che ha bloccato tantissimi inserzionisti, per cui le emittenti non sono così piene di possibilità. Questa cosa mi aveva già molto stupito perché, nonostante i problemi, loro avevano voglia di misurarsi, nonostante avessero fatto solo un film per il cinema. Erano anni che cercavano una persona che potesse iniziare. Il nostro obiettivo è quello che io ho sempre portato anche quando sono diventato direttore creativo di NonPanic: ho portato la mia capacità di vendita e la mia conoscenza del mondo dell’intrattenimento che è iniziata nel ’97 a Mediaset come autore in esclusiva. Ho fatto un po’ quasi tutto quello che è andato in onda in questi 20 anni. L’obiettivo era quello di cominciare subito a produrre prodotti originali, senza disdegnare le licenze straniere. E così è stato. Siamo in contatto con tutte le società che licenziano programmi. Abbiamo iniziato subito a fare intrattenimento che, per Casta Diva, vuol dire sia “non-scripted”, quindi tutti i formati per i quali ho sempre lavorato nel corso della mia carriera, che “scripted”, perché, in questo momento, il mercato è molto buono per le serie tv. Quindi, da subito, ho ripreso tutti i miei contatti con i direttori: stiamo producendo, in questo momento, due formati per Discovery+, di cui un formato di cucina con Damiano Carrara, e un formato per Motor Trend che andrà in onda a settembre. Saranno tre formati originali. Uno di questi format prevede anche l’inserimento di vip che si misureranno con la preparazione di alcune torte, un programma divertente che abbiamo ideato insieme a Discovery. Poi, siamo in ballo per una seconda serata su Rai 2 con un personaggio molto importante, conosciuto sia in Italia che nel resto del mondo, con un progetto originale. Poi, abbiamo licenziato due formati: da CBS, abbiamo la licenza per produrre in Italia, Couples Therapy, un programma che è alla terza stagione in America, l’abbiamo presentato e speriamo di arrivare in goal al più presto, e poi, in linea col successo di Ti spedisco in convento, abbiamo preso la licenza di My Life According To The Bible, con Small World, in cui una suora vive una settimana dentro una famiglia per cercare di risolvere problematiche, sempre rispetto alla sua empatia, ma anche alla Bibbia come testo fondamentale.

Per quanto riguarda la creazione di nuovi format originali, la situazione creativa in Italia, da questo punto di vista, secondo te qual è?

Secondo me, noi non abbiamo una cultura di creazione di formati. Negli anni, siamo stati bravi a inventare, per docu, docu-soap, formati speciali, le grandi prime serate musicali di Rai 1… Se ti viene in mente un formato reale, realmente venduto all’estero, aiutami… A me non viene in mente, purtroppo… Uno dei pochissimi format venduti all’estero è C’è posta per te, con Maria, con cui ho lavorato… Ho amato tantissimo lavorare con lei. Formati internazionali reali, non abbiamo possibilità di farli perché non abbiamo i soldi per produrre le “pilota”, è inutile che ci raccontiamo le favole… Se noi non possiamo proporre delle “pilota”, la carta non è così forte. Dopo il successo di LOL, anche a me piacerebbe trovare un programma divertente da poter vendere alle emittenti che me lo chiedono. Ho fatto una call con i creatori di LOL e quello che loro mi hanno fatto vedere sono una serie di trailer o di puntate già andate in onda. Io ringrazio Dio che l’ad di Casta Diva voglia investire su delle “pilota”. Neanche gliel’ho chiesto… Se dobbiamo vendere all’estero, come facciamo se non abbiamo i video dei pilot? La cosa è veramente difficile. Poi, detto questo, bisogna anche avere una testa per creare dei formati. Io ho fatto l’autore per tanti anni e, in questi ultimi anni, sono stato inondato da una serie di formati internazionali e ho avuto la possibilità di andare a mercati, riunioni internazionali, ho a che fare con tutte le società che licenziano formati… Ho imparato la cultura del format. Quanti autori che lavorano nei nostri programmi hanno questa possibilità? Pochissimi. Non c’è quella cultura. C’è il format. Quando mi dicono “Voglio fare un format dove la suocera sceglie il vestito da sposa della nuora”, io rispondo “Ok ma qual è il meccanismo?”. Come si passa da A a B e da B a C, fino a D che è il finale? Se non ci sono i meccanismi, il formato non esiste. Non c’è la cultura della creazione di un formato. Siamo diventati bravissimi ad adattare i formati internazionali. Non mi vengono in mente formati che hanno varcato la soglia. La busta di Maria è un meccanismo fortissimo. Il game di Avanti un Altro è un meccanismo carino… Ma il meccanismo del GF, dell’Isola dei Famosi, del Milionario, di Caduta Libera, noi li compriamo all’estero. Tutti, tutti, tutti. È un peccato. Ed è per questo che io ho cercato di lottare da subito per formare un gruppo di creativi. Stiamo proponendo, all’Italia e alle distribuzioni straniere, Once Upon a Time Love, un dating show, secondo me, molto forte che, nella sua semplicità, è un formato degno del mercato internazionale. Però, bisogna lavorarci… E posso dirti che abbiamo fatto goal perché andremo in produzione presto. Abbiamo passato settimane e settimane a lavorare su un formato del genere: un dating con una certa idea. C’è chi mi ha detto che l’Italia fa dei formati disordinati, non comprensibili. Su questo, dobbiamo lavorare se vogliamo essere alla pari degli altri.

Per sopperire a questa mancanza di cultura del format, altre soluzioni quali potrebbero essere?

Gli autori di oggi devono aggiornarsi continuamente e imparare a leggere i formati internazionali per ampliare la propria conoscenza della struttura di un formato. Io ho avuto le possibilità ma, all’inizio, me le sono create: il listino del MIP, quando facevo semplicemente l’autore, me lo compravo, spendevo dei soldi. Avevo bisogno di vedere i formati. A NonPanic, facevo una riunione, ogni due mesi, con i formati che vedevo per farli vedere agli autori interni, a quelli più giovani e a quelli più vecchi. Mi sembra obbligatorio. Io posso andare al mercato ma non posso far venire tutti gli autori. Bisogna studiare, bisogna aggiornarsi. Perché altrimenti non saremmo in grado di fare il passo avanti, di poter essere competitivi nel mercato internazionale. Rimarremo sempre dei bravissimi adattatori.

Restando sui format internazionali, quando vale veramente la pena di portare in Italia un format straniero?

Quando c’è veramente un’idea originale, un meccanismo originale. Il fatto di nascondersi sotto una maschera per provare a indovinare chi sta sotto e sta cantando, quella è un idea, ad esempio. Quindi, è giusto comprarlo, spendere dei soldi. Adesso, va tantissimo il “guessing game”. Il pubblico deve indovinare qualcosa, le cose più disparate, chi c’è sotto, chi balla sotto una maschera, chi è il proprietario di quella macchina… Ci sono tonnellate di formati per cui il pubblico, a casa, per arrivare alla fine di una visione di una puntata, deve avere un perché. Non ci si può basare solo sul fatto che il programma è carino. Il pubblico si chiede: perché devo arrivare alla fine? È lo stesso meccanismo di una serie tv: ti deve prendere. Voglio vedere chi è l’assassino, voglio capire se due persone si lasceranno… Nello stesso identico meccanismo dello “scripted”, adesso va pensato anche l'”unscripted”. In giro per il mondo, ci sono dei dating dove prima devi capire qual è il segreto che un single porta in grembo. Vuol dire che va fatto un doppio passo mortale: si deve trovare l’amore e scoprire il segreto di una persona che viene a proporsi. Il livello è questo, forse noi non ci arriveremo, l’italiano è anche un telespettatore che non accetta determinate dinamiche. Però dobbiamo misurarsi su una televisione che ha bisogno di non far cambiare canale al telespettatore e ci si deve pensare.

Tu hai adattato tantissimi format internazionali. Quali sono le maggiori difficoltà dell’adattamento locale di un format?

Si deve pensare tantissimo all’emittente che ti sta proponendo questo formato di adattamento o all’emittente alla quale tu proponi quell’adattamento. Se fosse per Rai 1, ad esempio, si deve sempre pensare che il pubblico è adulto, devi studiarti il target, deve essere iper-comprensibile, devi giocare, tenere alto il divertimento. Se fosse un prodotto per Discovery, è giusto che Discovery mi chieda che il meccanismo sia chiaro e che sia evidente perché loro hanno un target più giovane e, quindi, è anche giusto che siano i meccanismi a parlare. A volte, questi meccanismi, li semplifico perché quando leggo e rileggo, se mi stona qualcosa a pelle… Mi fido di me stesso, del mio istinto, ci provo. In questi anni, ad esempio, su Il Collegio, mi sono lasciato andare e ho raccontato le storie di questi ragazzini, tirando un perimetro che erano le lezioni e i voti settimanali ma lasciandoli vivere all’interno per come dovevano essere loro. Io amo lavorare con materiale umano, io farei solo programmi così e ci sto lavorando ancora, anche con Casta Diva, perché io sento che, ogni volta che metto insieme un cast, che sia per La Talpa, che ho fatto tanti anni fa, o anche per un quiz, quando ho adattato Guess My Age, ho pensato subito di riportare su quel palchetto un pezzo dell’Italia, non semplicemente persone che dovevano far indovinare l’età, ho portato persone particolari. Io guardo tantissimo la fisicità, la spontaneità, l’empatia, qualcosa che tu puoi raccontare, così come il cast de Il Collegio… Ho fatto tante interviste su questo programma che ho ancora nel cuore. Con Il Collegio, siamo riusciti a far appassionare il pubblico italiano. All’inizio, ci chiedevamo “Lo comprenderanno? Due ore e mezzo di ragazzini che vanno a scuola e imparano l’italiano?”. Io ho tenuto, per esempio, gli operatori sempre molto distanti, è quello che io amo. Quando facevo Uomini e Donne, anni fa, chiedevo agli operatori di stare un passo indietro perché la realtà è sempre molto più forte. La realtà è quello che le persone vogliono vedere. Per questo motivo, in questi anni, mi sono anche tanto divertito a lavorare per Discovery che, come focus, ha proprio il racconto della realtà, in mille modi diversi. Ad esempio, quando facevo Forum, il mio obiettivo era quello di farmi abbracciare dai contendenti, alla fine delle cause. Ciò significava che loro si erano sentiti al sicuro nel raccontare la loro storia o la storia di qualcun altro. L’empatia deve stare alla base di un autore, quando si lavora in questi programmi. Io amo Piera Sorrentino, che ho consigliato di prendere per fare Ti spedisco in convento: mi sono sempre ritrovato in lei, è una persona empatica, in tutto, che tu faccia un quiz, un reality o una prima serata. Io ho fatto debuttare Serena Rossi come conduttrice, ci ho creduto da subito con This time next year, poi l’ho portata a Celebration e poi ha fatto La Chanson Secrète. Lei ha quella quadra che riunisce la bravura e anche la voglia di ascoltare. Io lavoro tanto sul cast, dalla conduttrice, che io cerco di interpretare quando si fanno le prove, ai concorrenti, agli ospiti, alle persone che devono raccontare la loro storia. Secondo me, questo è quello che fa la differenza per il pubblico italiano perché, ormai, il pubblico italiano ha imparato a capire quando una cosa è finta.

Visto che si lavora in base alle necessità di un’emittente, c’è una differenza tra proporre format alle tv e proporre format alle piattaforme?

Tantissima differenza, sì. Ormai, la piattaforma macina contenuti come se non ci fosse un domani. Tu metti LOL, ad esempio, l’hai pensato, al cast, alla struttura, allo studio, lo carichi e già dopo una settimana, la gente vuole già la seconda stagione. I programmi devono avere una finalità quasi da “scripted”, come ho detto prima. Per le piattaforme, soprattutto, ogni puntata deve finire con un “cliffhanger” che ti porti alla seconda puntata. Fino a qualche anno fa, noi lavoravamo sul “verticale”: iniziavamo una puntata e, alla fine, capivi qual era il risultato o il vincitore, e arriverà un giorno in cui ci stancheremo di questo meccanismo. Adesso, per le piattaforme, se fai così, hai perso. Non puoi portare una cosa del genere. C’è bisogno di un’“orizzontalità” incredibile, assoluta. Per le reti, invece, anche lì, Sky, Discovery, lottano per trattenere il pubblico e, forse, è quasi meglio andare sul “verticale” perché fai appassionare al meccanismo e lo fai conoscere al pubblico che, ogni settimana, se vuole, può ritrovarlo ma con elementi diversi: Primo Appuntamento, Quattro Ristoranti, Cake Star, Cinque Ragazzi per una Ragazza. Verticalità. Quando il pubblico si accorgerà che la piattaforma ti consente di appassionarti ancora di più, bisognerà fare un ripensamento però il lineare va ancora, con appuntamenti settimanali, quindi, sul lineare, devi far appassionare il pubblico riguardo un meccanismo reiterato e ripetitivo. Sulle piattaforme, invece, abbiamo bisogno di “orizzontalità” e di un meccanismo che, praticamente, è un continuo divenire, una ruota che smette di girare solo all’ultima puntata e che non si ferma mai dove gli ingranaggi continuano come abbiamo visto a LOL, Celebrity Hunted e, tra un po’, anche Netflix si butterà su questo. Discovery+, lo sta già facendo.

Tornando a Casta Diva Entertainment, c’è un genere televisivo sul quale vi concentrerete maggiormente?

Sì, come ho detto prima, amo lavorare sul materiale umano. Quindi, stiamo lavorando su factual, docu, reality e dating. Moltissimo. Il dating, in questo momento, è il più vendibile in tutto il mondo, tutti cercano formati di dating, chi più morbidi, chi più aggressivi. Noi ne abbiamo due che stiamo proponendo anche a livello internazionale che sono Once Upon a Time Love e Runaway Bride che, in italiano, sarebbe Se non scappi, ti sposo. Sono tutti formati che stiamo sviluppando, che sto proponendo a società di distribuzione internazionali perché, all’inizio, nonostante noi vogliamo fare distribuzione, sappiamo anche che abbiamo bisogno di unirci a qualcuno che già lo fa da molto tempo. Ci sono discorsi in ballo su questi progetti. I nostri dating potrebbero tornare in Italia ma passando prima per l’America del Sud o per l’Inghilterra.

Riguardo le serie tv, invece, quale direzione avete preso?

Le serie tv che stiamo sviluppando si basano tutti su fatti reali perché, anche su quello, sto cercando di trovare una linea. Stiamo lavorando su storie che partono dalla Seconda Guerra Mondiale, che hanno un diverso punto di vista, oppure da storie della Dolce Vita, partendo, per esempio, da un omicidio mai risolto, cercando di unire la fantasia ma mantenendo molto forte la realtà. Stiamo anche prendendo in casa due sceneggiatori molto importanti perché è giusto dare anche la sicurezza alla piattaforma. Non vogliamo essere dei neofiti, ci saranno nomi che daranno anche la tranquillità all’emittente, persone che hanno vinto David, che hanno fatto incassare molti soldi alle società. Ci stiamo organizzando anche in questa sezione.