Home Fiction La fiction italiana? Sospesa tra paura, imbarazzo, eccezioni (ed il mistero di Don Matteo)

La fiction italiana? Sospesa tra paura, imbarazzo, eccezioni (ed il mistero di Don Matteo)

Una riflessione sulla stato della fiction italiana, tra imbarazzi, paure di osare, eccezioni e “misteri”

pubblicato 29 Ottobre 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 02:24


    SPECIALE fiction italiana. Qual è lo stato della fiction nostrana? Sapendo che sabato 29 ottobre a Tv Talk se ne sarebbe parlato, abbiamo deciso di avviare, come facemmo già qualche tempo fa, un dibattito in merito, coinvolgendo anche i colleghi di Italiansubs, che di fiction se ne intendono proprio perché sono molto più orientati a quella straniera, e altri, per allargare il discorso al di fuori dei confini di TvBlog.
    Proporremo, pertanto, una serie di post a tema, con l’obiettivo di creare una serie di confronti allargati anche ad altre realtà che parlano di tv sul web e, perché no, agli addetti ai lavori. Purché disposti a mettersi in gioco, ovviamente, e non a parlare solamente dei loro successi (veri o presunti che siano). Cominciamo lo Speciale fiction italiana con questo pezzo di analisi di Paolino

Parlare dello stato della fiction italiana non è facile. E non perchè non si sappia da dove partire per elogiarne caratteristiche e pregi, piuttosto il contrario. La fiction italiana, negli ultimi anni, si è trovata a doversi confrontare con le produzioni statunitensi, inglesi e francesi, cercando un proprio posto nel mondo che, però, non è ancora stato trovato.

Perchè? Numerosi sono i fattori che ci portano a questa conclusione. Presi singolarmente, sembrano solo dei difetti il cui aggiustamento potrebbe richiedere poco sforzo, ma presi tutti insieme ci presentano un quadro dalle molteplici problematiche, la cui risoluzione non si può considerare nè immediata ma neanche impossibile.

Serve un po’ di umiltà, ovviamente, nel riconoscere i propri limiti; ma anche consapevolezza degli errori che sono stati commessi in passato e che, invece di non essere ripetuti, sono diventati la norma. Ma noi avviciniamoci a questo quadro, ed osserviamo i singoli tratti che compongono, a nostro dire, l’attuale stato della fiction italiana.

Le storie: non si osa mai

Dov\'�¨ mia figlia?
Avete presente i “cinepanettoni”, quelli che ogni anno a Natale ci propinano al cinema e di cui ormai si conoscono gli schemi a menadito? Ecco: la fiction italiana soffre un po’ di questa incapacità di uscire dagli schemi, di proporre qualcosa che sia davvero nuovo e che esploda dentro le teste dei telespettatori, facendoli andare a dormire con qualche brivido.

Lasciato da parte il capitolo biografie (tra qualche anno gli studenti invece che prepararsi sulla verifica su Garibaldi sui libri si guarderanno direttamente una miniserie. Ovviamente con Beppe Fiorello), che storie ci propongono le fiction di oggi? Interpretazioni di fatti realmente accaduti o rivisitazioni di episodi di cronaca nera recente (“Dov’è mia figlia?” ha evidentemente goduto della morbosità di una buona parte di pubblico affetto da quartogradite), racconti in costume -la regina…Vittoria Puccini che da “Elisa di Rivombrosa” passa a “Violetta” ha capito di avere il lavoro assicurato-, polizieschi che cercano disperatamente di proporsi come novità ma i cui casi di puntata sono repliche di altre serie simili, e via dicendo.

Tutto questo non basta per far crescere la fiction. Non si possono imporre nuovi generi, ma si possono rinnovare quelli già esistenti, puntando solo sulla capacità di osare. Sembra una frase fatta, ma è così: non ci sono autori (o se ce ne sono, sono pochi) che si mettono a scrivere storie spiazzanti, di quelle che quando arrivano in mano ai dirigenti di rete li fanno balzare dalle poltrone e gli danno quella scarica di adrenalina utile a dire “Ok, ci proviamo”. Il massimo delle novità che sentiamo elencare da chi presenta una serie italiana è la voglia di “realizzare una fiction che sembri un film in otto puntate”. Ma se quel film sa di cinepanettone, forse è meglio evitare.

Le reti: paura di perdere il pubblico (che già se ne va)

La ladra
Abbiamo accennato ai dirigenti delle reti, anche loro colpevoli in questo processo alla fiction. Spesso è la loro paura di puntare su qualcosa di effettivamente nuovo che ci impedisce di trovarci di fronte ad una serie davvero bella. Veronica Pivetti, in una puntata di qualche anno fa di “Tv Talk”, aveva raccontato che “La ladra” sarebbe dovuta essere più provocatoria rispetto a com’è andata in onda, ma che dai piani alti è stato chiesto di togliere alcune scene per paura che il pubblico non capisse e non seguisse la serie. Eppure, le reti generaliste, il pubblico lo stanno perdendo già con le attuali fiction. Un incentivo a cambiare, direte voi. Invece no. Piuttosto che rischiare il tutto per tutto, l’intenzione sembra essere quella di rimanere aggrappati alle uniche certezze che sono rimaste alle reti. No, non i contenuti, ma i volti.

Gli attori: gli stessi, ormai in scadenza

Manuela Arcuri Gabriel Garko
C’è una cosa che ho sempre ammirato della serialità americana: la capacità di inserire all’interno di nuove serie (quindi nuovi progetti dall’esito incerto) nel ruolo dei protagonisti giovani attori, o comunque interpreti sconosciuti alla grande platea. Due esempi: Ellen Pompeo, prima di “Grey’s anatomy”, pare che tra una comparsata e l’altra campasse facendo la cameriera. E Terry O’ Quinn, che ha magnificamente interpretato Locke in “Lost”? Era stufo di continuare a cercare la sua grande occasione, ed era deciso: il provino per la serie di J.J. Abrams sarebbe stato l’ultimo della sua carriera.

Ora, trovate negli interpreti principali delle fiction italiane più recenti qualcuno che venga da una lunga gavetta, o che sia totalmente sconosciuto allo show business. Tutti, chi più chi meno, è già noto al pubblico, e non sempre per meriti artistici (a volte non è così, chiaramente: Virna Lisi, da sola, salva “La donna che ritorna”). Perchè in Italia, per catturare il pubblico, si punta più sulla popolarità precedente dell’attore piuttosto che su altri aspetti più importanti. Così, se sei parente di qualche pezzo grosso, se sei un personaggio tv che di recitazione non sa niente ma che il pubblico adora, se sei riuscito ad ottenere la simpatia di qualche amico ai piani alti (anzi, altissimi) tanto da essere citato in una telefonata che poi sarà giustificata come gesto di solidarietà nei tuoi confronti o hai fatto parte di un qualsiasi reality, è fatta: la fiction sarà tua. Non hai questi requisiti? No problem: ti basta essere considerato sexy ed attraente ed il set sarà con te (la critica un po’ meno: lo sa bene Scamarcio).

Il risultato: a volte l’imbarazzo di certe sceneggiature viene surclassato dal quello provocato da certe interpretazioni. Ed ho detto tutto.

Il pubblico: ma è davvero così stupido?

Il pubblico davvero non si accorge di tutte queste difficoltà? Non proprio. Se una fiction non viene seguita non è per forza perchè su un altro canale c’è una concorrenza forte, ma semplicemente perchè al pubblico non piace. E se non piace, ci sarà un motivo. Su questo aspetto siamo anni indietro rispetto alle produzioni estere: i telespettatori italiani sono sempre passivi, costretti a subire le decisioni di case di produzione e registi senza che si tenga realmente conto di loro. Eppure, nell’era di internet, è possibile che non ci si accorga di quanto possa valere l’opinione di un forum online, di una community (come quella di TvBlog, che non risparmia nessuno), di chi, insomma, se non dare le giuste dritte potrebbe quantomeno indicare la strada migliore da percorrere? Il pubblico è composto da persone, e le persone compongono la società. Quella che alcune serie vorrebbero “fotografare”, ottenendo però solo una vecchia Polaroid.

Le eccezioni

Tutti pazzi per amore
Ma ci sono le eccezioni? Certo, l’Italia ha le sue piccole perle nel mare piatto della serialità. Basta trovarle, e non solo sul satellite (“Romanzo Criminale”). Raiuno e Canale 5 si sono rese protagoniste di tre produzioni tra le più stimate dal pubblico, e tra le più coraggiose: “Il Commisario Montalbano”, “Tutti pazzi per amore” e “Squadra antimafia-Palermo oggi”. “Montalbano” non ha tradito il clima dei libri da cui è tratto, rendendosi autenticamente appassionante, grazie anche ad un lavoro sul cast che ha preferito puntare su un volto nuovo (Luca Zingaretti, quando ha girato i primi episodi, non era notissimo). Ed il riconoscimento è arrivato, anche dall’Inghilterra.

La seconda è riuscita addirittura ad anticipare il fenomeno canterino “Glee”, portando il musical -seppure in playback- nella fiction in prima serata, ma anche a presentare temi classici come l’amore, la paura e la sofferenza senza premere sull’acceleratore del buonismo e della compassione.

“Squadra antimafia-Palermo oggi” ha invece coniugato l’italianità di un tema come la lotta alla mafia alla serializzazione di un gruppo di personaggi la cui evoluzione è reale e non solo promessa. Si vede, insomma, non solo che gli autori hanno studiato (Sandrone Dazieri si è sempre dichiarato fan di serie come “24” e “Buffy”), ma che hanno anche applicato la lezione, seppur con i limiti che i nostri budget impongono. E non è un caso che, insieme a “TPPA”, sia finita nel mirino della Abc.

Il mistero di Don Matteo

Don Matteo
In conclusione di questa lunga analisi, non possiamo non soffermarci su caso “Don Matteo”: otto anni di successi e di record, tanto da essere oggi l’unica serie a superare i sette milioni di telespettatori. Perchè? Sarà la fiducia che ispira Terence Hill, sarà l’abitudine del pubblico di Raiuno a non cambiare canale neanche se per errore viene trasmesso il monoscopio, ma sembra che il parroco più famoso della tv, fermo nel tempo e nello spazio (quello di Gubbio, dove il tasso di omicidi ci ricorda che in tv si può davvero di tutto: anche la Fletcher, in fondo, ovunque andasse era portatrice di delitti), sia la garanzia di una staticità e ripetitività che piace. Allora non ci resta che domandarci se c’è una via di fuga a questa condizione seriale italiana, mista tra il pessimo e l’imbarazzante: un mistero, più che della fede, della fiction.