Home Tv Talk Sebastiano Pucciarelli a Blogo: “Fanno cultura in tv le Ragazze del ’46 e Peparini ad Amici. Tv Talk sarà più incisivo”

Sebastiano Pucciarelli a Blogo: “Fanno cultura in tv le Ragazze del ’46 e Peparini ad Amici. Tv Talk sarà più incisivo”

Tv Talk passa da Rai Cultura a Rai3 della Bignardi e avrà ospiti forti. Ne parliamo con Sebastiano Pucciarelli per la rubrica Cultura in tv

pubblicato 3 Luglio 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 22:56

Continua l’appuntamento con Cultura in tv, la rubrica di Blogo dedicata allo stato di salute di questo genere televisivo, apparentemente bistrattato, sui nostri schermi. Dopo aver intervistato il Direttore di laeffe Roberto Chiattelli e il conduttore di Colpo di scena, Pino Strabioli, continuiamo con un rappresentante della terza rete Rai. Lui preferisce non essere definito un volto storico, né un conduttore, semmai “un aiutante di campo e un autore” di un programma particolarmente caro a Blogo, essendo un punto di riferimento per tutti gli appassionati di tv.

Stiamo parlando di Sebastiano Pucciarelli, presenza fissa del programma Tv Talk al fianco, tra gli altri, del conduttore Massimo Bernardini. TvBlog lo aveva già intervistato sei anni fa, quando finì nel mirino di Striscia la notizia con l’appellativo di ‘saputello barbuto’. Oggi lo abbiamo coinvolto nella nostra rubrica domenicale e da lui cercheremo di sapere qualcosa in più sul futuro di Tv Talk, a quanto pare particolarmente a cuore al nuovo Direttore, Daria Bignardi.

Non possiamo non cominciare partendo da un importante riconoscimento per Tv Talk, quello del premio Moige. Il Direttore di Rai Cultura, Silvia Calandrelli, l’ha così commentato:  “Si tratta di un programma simbolico del nostro modo di contribuire alla missione Rai, al servizio dell’approfondimento sul mondo della comunicazione. Questi premi rappresentano uno stimolo a proseguire nel nostro lavoro quotidiano, a cercare nuove strade e nuovi linguaggi perché la cultura continui a essere una parola ricca di contenuti e ‘viva’, anche in televisione”. Come vivi questo duplice riconoscimento?

“Va da sé che ogni riconoscimento è una soddisfazione. In questi miei 10 anni a Tv Talk non è mai mancata la stima e la fiducia dei direttori (prima Giovanni Minoli e poi Silvia Calandrelli), anche nei momenti di confronto più appassionato. Venendo al premio del Moige, mi piace soprattutto che sia stata rilevata la nostra natura di ‘talk collaborativo’, con una pluralità di voci rara, che mette insieme professori universitari e personaggi tv, professionisti dietro le quinte e analisti ventenni. E poi vuoi mettere il piacere di incassare il plauso del Movimento Italiano Genitori? Per me è un po’ come quando un disco riceve il bollino Parental Advisory: quello segnala la presunta ‘pericolosità’ dei testi, questo al contrario la ‘bontà’… in entrambi i casi un attestato che non può mancare nel palmarès di una band”.

Rai3 è il canale che promette più sperimentazione col nuovo Direttore, Daria Bignardi, che ha dichiarato ai Palinsesti Rai: “Tv Talk sarà potenziato con grandi opinionisti, farà discutere”. Puoi anticiparci qualcosa?

“La prima novità è che da Rai Cultura passiamo a RaiTre. La nostra nuova direttrice Daria Bignardi ha espresso il suo apprezzamento e un forte impulso per il futuro del programma. La sua spinta va nella direzione di una maggiore incisività, senza timori ad ospitare punti di vista forti e dissonanti. Questo non vorrà dire alzare i toni del confronto in studio, ma senz’altro in passato, per il contesto ‘educational’ di Rai Cultura al quale appartenevamo e anche per impostazione del programma, ci siamo sempre mossi con molta cautela. Ricordo ancora quella volta che un Michele Santoro battagliero, credo agli inizi di Servizio Pubblico, si accomodò sulla poltrona del nostro studio e ci definì ‘la tana degli agnelli”. La direttrice ci invita a nozze quando ci chiede di essere incisivi e non aver “paura di fare notizia”: ci stiamo lavorando anche per capire quali nomi coinvolgere, proprio perché la prossima stagione vorremmo essere più capaci di generare discussioni che vadano anche al di là dell’appuntamento del sabato. E poi cercheremo di potenziare l’impianto visivo e scenografico del programma, esigenza assolutamente necessaria per un magazine che ‘fa le pulci’ alle altre trasmissioni anche sugli aspetti linguistici. Resterà immutata, con qualche ulteriore sperimentazione, la cura e la qualità dei servizi filmati… nostra vera punta di diamante da alcuni anni a questa parte”.

Da analista esperto di tv come commenteresti le altre novità annunciate alla Presentazione dei Palinsesti Rai?

“Ovviamente giudicheremo i singoli prodotti solo quando li vedremo in onda, ma per ora ritengo che tutto si possa dire, tranne che non si cerchi di cambiare. Campo Dall’Orto ha parlato di 1/3 dei palinsesti generalisti rinnovato e c’è da credergli, a scorrere la quantità di nuovi titoli e nomi in arrivo: tra grandi ritorni – il suddetto Santoro, Lerner, Baricco, ma anche Virginia Raffaele, Pif, il duo Parisi-Cuccarini e Mina-Celentano – e interessanti novità – Semprini, Murgia, Viscardi, Timi, Trincia, Sabbah… Anche l’offerta di generi e linguaggi appare piuttosto varia, con l’incognita talent per Rai Due ancora da sciogliere, ma è anche vero che quel tipo di format, senz’altro capace di parlare al pubblico giovane come pochi, non ha lo smalto di qualche anno fa e non mi sembra un must a tutti i costi. Forse sul fronte della satira si poteva chiedere di più – anche se c’è il potenziamento di Gazebo con la striscia quotidiana e Virginia Raffaele potrebbe spingersi anche nella satira politica e di costume, come ha già fatto in passato. Invece devo dire che, almeno sulla carta, non ho il timore che animava Freccero quando, alla vigilia dei palinsesti, parlava di rischio di ‘pensiero unico’: già solo la presenza di voci tutt’altro che renziane come Santoro, Lerner e lo stesso Zoro dovrebbe metterci al riparo. Dopo di che non ci resta che attendere e vedere…”.

Che ne pensi dell’atteso arrivo in Rai di Walter Veltroni? Che tipo di apporto culturale, secondo te, potrebbe dare a nuove produzioni (si parla anche di un progetto per Rai Cultura)?

“Si parla di lui come autore di uno o due programmi ma se ne sa ancora poco, mi limito a dire che ogni nuovo programma e ogni voce diversa mi trovano favorevole in linea di principio, ma finché non vedremo i risultati non so proprio cosa aspettarmi”.

Veniamo al dunque della nostra rubrica estiva. Stiamo chiedendo a diversi addetti ai lavori qual è lo stato di salute della cultura in tv. Qual è il tuo punto di vista in merito, rispetto a una rete culturale, che ormai frequenti da diversi anni, come Rai3?

“Sono portato a pensare che lo stato di salute della cultura in tv sia migliore di quanto generalmente non si ritenga. O forse dovremmo parlare al plurale, delle culture, perché gli interessi culturali nella nostra società sono sempre più frazionati e la tv cerca di inseguire questa frammentazione, mission non impossibile grazie alla moltiplicazione dei canali. A esplorare i palinsesti anche oltre il tasto 7 del telecomando, c’è di che saziarsi di serie tv, film, documentari, factual e persino talent che possiamo considerare a vario titolo ‘culturali’. Però va fatto anche un discorso più generalista e unitario, vista la natura di mezzo unidirezionale e di massa della televisione: anzitutto per i canali generalisti, Rai in primis, la sfida dei programmi culturali è oggi più che mai appassionare e suscitare curiosità anche fuori dalla cerchia degli aficionados di quella data disciplina. Di nicchie culturali impermeabili all’esterno è pieno il web, la tv ha il dovere di aprirle e costruire ponti per attraversarle. Non banalizzare la complessità, ma fornire chiavi di lettura per affrontarla. E soprattutto far capire perché quel dato testo, film, serial, spettacolo… è rilevante per ogni donna e uomo contemporaneo, anche se non si è specialisti di letteratura/audiovisivi/danza/teatro. E non parlo di canone culturale, per cui alcune cose sono degne di essere trattate e altre no. Al contrario, è rilevante tutto ciò che aiuta nella comprensione del presente, che siano le storie di quelle Ragazze del ’46 che nelle scorse settimane hanno ricordato il loro primo voto oppure il balletto sui migranti travolti dalle onde creato da Giuliano Peparini per l’ultima edizione di Amici“.

A Tv Talk ti abbiamo visto crescere, da collaboratore a conduttore a tutti gli effetti. Come ripercorreresti il percorso fatto (insieme) a Tv Talk?

“Sono 10 anni che collaboro a Tv Talk, ho iniziato nell’autunno del 2005 grazie ad un annuncio di stage visto per caso nella mia università. Non conoscevo il programma (all’epoca andava in onda alle 7.30 del mattino), ma la tv la guardavo scegliendo cose come Blob, la Gialappa’s, la squadra di Avanzi, Avere Ventanni di Mtv… Contro tutte le aspettative, dopo i 3 mesi di stage mi è stato chiesto di rimanere come redattore, dedicandomi soprattutto ai servizi e alle ricerche sulla tv estera. Dopo alcune stagioni i colleghi autori, Massimo Bernardini in primis, mi hanno chiesto di diventare autore del programma e infine, nelle ultime due stagioni anche co-conduttore. Al di là del percorso personale, il piccolo miracolo di questo gruppo di lavoro è proprio quello di essere riuscito a formare una squadra di giovani collaboratori, che spesso hanno iniziato come stagisti o come analisti del programma. Oggi almeno la metà della nostra redazione è composta da ragazze e ragazzi che sono entrati così, l’altra metà è fatta da ottime professioniste Rai (è una redazione molto femminile, oltre che giovane, la nostra) e da un paio dei migliori autori in circolazione, con i quali ‘ci siamo scelti’ Se non mi sono ancora annoiato dopo 10 anni forse il segreto sta proprio nelle tante sensibilità diverse che questa ‘sporca dozzina’ mette in campo, e che ogni stagione si traduce in stimoli e proposte sempre nuove”.

Quando c’era ancora il Grande Talk il programma sembrava più vicino all’accademia che al pubblico. Qual è il segreto che vi ha portato a diventare un brand di riferimento e ad avere come ospiti anche volti della concorrenza e fuori dalle logiche di agenzia?

“È vero, il programma è molto cambiato dalla sua iniziale formula più accademica al mattino (prima alle 7:30 e poi alle 9 del sabato), con pochi ospiti e pochi temi trattati, all’attuale forma pomeridiana alle 15, più ricca di ospiti e di argomenti e più ritmata. L’apertura, per me sacrosanta, al pubblico e ad un’impostazione più ‘televisiva’ e meno da convegno universitario è arrivata proprio con questo cambio di collocazione, e deve molto alla spinta di due autori televisivi ‘puri’ come Anna Maria De Nittis prima e Furio Andreotti dopo. Però è anche vero che le motivazioni di fondo e la mission editoriale non sono mutate: analizzare e discutere la tv in tutte le sue forme, senza sconti ma anche senza pregiudizi, nella convinzione che molto del dibattito pubblico e delle chiavi di lettura per comprendere la società italiana passino tuttora attraverso la televisione. L’altra linea guida è un certo ribaltamento rispetto ai normali canoni dell’approfondimento tv: smontare il lato pop e ‘spettacolare’ dei temi seri (politica, cronaca, attualità) e viceversa trattare seriamente l’intrattenimento e la tv più ‘leggera’. Perché crediamo che nell’intrattenimento sia in gioco anche il racconto del presente, la rappresentazione di una società, l’educazione al gusto del pubblico… così come nella comunicazione politica e nell’informazione sono sempre all’opera dinamiche di messa in scena da analizzare anche in termini spettacolari. Ce l’hanno insegnato Freccero e Simonelli in questi molti sabati di Tv Talk e questa specificità credo renda il programma unico nel panorama italiano, anche nel momento in cui quasi tutti provano a fare incursioni nella riflessione televisiva e mediatica”.

Qual è il percorso personale e professionale che ti ha portato a Tv Talk? Quali consigli daresti a studenti o appassionati di televisione che vorrebbero percorrere le tue orme?

“Come accennavo in parte prima, sono nato in Piemonte, a Biella, dove ho fatto il liceo classico, poi studi in comunicazione a Torino, con passaggi a Bologna e Madrid. Le mie prime esperienze sono state nella progettazione culturale, nella critica cinematografica e nell’associazionismo europeo. Non ho particolari consigli da dispensare, se non di essere aperti e curiosi di tutto e cercare di trasformare la propria passione, quale che sia, nella propria occupazione. Viste le attuali difficoltà di inserimento, quale che sia il settore scelto, meglio fare fatica in un lavoro che si ama, no? E poi, a chi vuole lavorare in tv o in generale nei media, consiglio di fare uno stage o una collaborazione in un programma, una testata, una casa di produzione. È il modo migliore per capire se quel lavoro e quell’ambiente ci interessano davvero, e se realmente abbiamo le capacità richieste per quell’incarico”.

Il rapporto tra te e Massimo Bernardini mi è sempre sembrato quello tra un Maestro e un assistente universitario. Il fatto di condividere la co-conduzione ha cambiato gli equilibri della vostra coppia?

“Dannazione, abbiamo fatto tanto per superare l’impostazione accademica del programma, e invece ricadiamo ancora nell’immagine professore-assistente… A parte gli scherzi, credo che un po’ sia così, un po’ questa ‘drammaturgia’ ci diverte e un po’ è una dinamica che funziona in onda. Resta il fatto che televisivamente devo quasi tutto a Massimo, per la fiducia e lo spazio che mi ha dato in questi anni, ma anche per avermi insegnato un’impostazione giornalistica del lavoro e un’insaziabile curiosità in ogni direzione. E poi dovete sapere che il “rassicurante” Bernardini in realtà è un’indomabile forza della natura: tra viaggi, concerti, spettacoli teatrali, mostre, film… ha una vita extra-televisiva, serale e anche notturna, che molti di noi trentenni ci sogniamo. Ed è davvero uno spasso trovarsi con lui una sera a teatro per ascoltare musica sinfonica e la sera dopo a vedere Joan As Police Woman, in un locale… coi giovani hipster milanesi sbaccaliti di ritrovarsi quel signore in mezzo a loro”.

C’è un programma culturale che ti appassiona particolarmente e a cui, nel caso, ti piacerebbe collaborare? Se sì qual è?

“Te ne dico un paio italiani e uno internazionale: quello straniero è il Listening Post di Al Jazeera English, una specie di Tv Talk solo sui temi dell’informazione e dei media mondiali. Lo consiglio a tutti, ovviamente è in inglese e si trova anche su YouTube. Invece i programmi culturali italiani con cui mi piacerebbe collaborare sono quelli di Fazio, di Lucarelli, di Buffa, di Daverio… e ce ne metto anche due non strettamente culturali, quelli di Pif e di Diego “Zoro” Bianchi”.

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