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Renzo Arbore contro la Rai: “Non sono rimbambito”

Renzo Arbore si toglie qualche sassolino dalle scarpe…

di grazias
pubblicato 28 Dicembre 2014 aggiornato 2 Settembre 2020 20:23

È un Renzo Arbore a 360 gradi quello che si racconta in una lunga intervista al Fatto Quotidiano. Tra la passione per la tv che, superati i settanta, non lo abbandona e l’idea di lanciare il suo canale, Arbore Channel, il conduttore storico di Quelli della Notte non perde occasione per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. E già che c’è per lanciarlo all’indirizzo della Rai, rea di non chiamarlo più.

Non busso più alla porta di nessuno ma non sono rimbambito. Se vogliono sono qui, in movimento. Sto lanciando Arbore Channel e ho il cassetto pieno di idee. Ogni tanto scrivo un programma e poi mi dico: “Possibile che non ci abbia ancora pensato nessuno?”. Evidentemente è così ma non me ne preoccupo. Cerco da sempre la qualità e della dittatura dell’Auditel non me ne è mai importato nulla. Da quando ha giustiziato la diversità, la tv ha abbassato la guardia. Non dico che il mezzo debba essere decima musa destinato solo a uno stretto cenacolo di intellettuali, ma per me un programma rimane un’operina. Una cosa da immaginare con gusto e ironia. Non inseguendo gli ascolti.

E poi l’affondo:

Probabilmente alcuni dirigenti suppongono che io sia andato, svanito, evaporato. È un errore che all’epoca in cui Biagi e Bocca superarono i 70 anni commisi anche io. Ero addolorato. Pensavo: “Ce li siamo giocati, li abbiamo persi”. Dio solo sa quanto mi sbagliassi! Ci sono 70enni che hanno tirato i remi in barca e altri che sono ancora validi! In generale, comunque, mi pare che sul mio nome facciano orecchie da mercante. Poi vengono ai miei concerti e si stupiscono: “Ah, ma come stai bene!” “Ah, ma come tieni il palco!”.

Passare a Mediaset, del resto, non è un’opzione praticabile. E non lo è stata mai per Arbore:

Berlusconi mi cercò quando aveva ancora molti capelli e dei “televisionari” della mia generazione sono rimasto l’unico a non cedere alle lusinghe. No, grazie, non fa per me. Io sono un uomo Rai. È così per la gente. Nell’immaginario collettivo appartengo a quell’azienda molto più di tanti direttori generali. Sono poi un telespettatore molto attento. Conosco trucchi, comepnsi e modernità di cui tutti si riempiono la bocca.

Ma quindi, tornando alla Rai, oggi come oggi non c’è proprio nulla da salvare?

Ultimamente ho visto due perfetti esempi di come la tv di Stato possa ancora raccontare la realtà. La scelta di Catia di Burchielli e L’Infiltrato di Filippetto erano due programmi che onoravano la Rai. Erano altra tv. Erano un’altra Italia.

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