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Paolo Di Mizio, volto storico del Tg5 della notte: “Quella fascia oraria mi rese distinguibile. L’esordio in tv? Grazie a Costanzo”

Intervista a Paolo Di Mizio. Gli inizi con Costanzo, i tanti scoop e l’approdo al Tg5 nel 1992: “Mentana bravo, ma irascibile. L’edizione notturna mi ha reso distinguibile, tra i miei spettatori più assidui c’era Marina Berlusconi”

pubblicato 28 Aprile 2024 aggiornato 29 Aprile 2024 12:57

La sensazione collettiva è di averlo visto in tv fino alla sera prima, ma in realtà dalla sua ultima apparizione al Tg5 sono ormai trascorsi quasi dodici anni. Potere dell’abitudine e della capacità di diventare un volto popolare, a tal punto da fossilizzarsi nella memoria collettiva.

Paolo Di Mizio è stato per quattro lustri l’icona notturna del telegiornale di Canale 5 dove, oltre alla conduzione dell’ultima edizione del notiziario, varò pure la rassegna stampa, trasformata in un indistinguibile marchio di fabbrica. “Amavo quella fascia oraria – rivela a TvBlog – è stata utile a rendere riconoscibile il mio ruolo. Inoltre, stando ai miei ritmi biologici, sono sempre stato più efficiente la notte che la mattina”.

Classe 1950, Di Mizio è bolognese di nascita, città da cui però si allontanò all’età di 3 anni. Il padre Vincenzo Ivo, infatti, divenne primario di radiologia all’ospedale di San Benedetto del Tronto. “Lì ho frequentato le scuole elementari, medie e il liceo classico. Poi per l’università sono tornato per due anni a Bologna e altri due anni li ho fatti a Macerata, perché all’epoca la città emiliana era un inferno. La facoltà era sempre occupata, o in sciopero”.

Laureatosi in Lettere, con specializzazione in Lingue e Letterature Straniere, Di Mizio decise di compiere il grande passo: “Mi trasferii a Londra pochissimi giorni dopo la laurea. Andai in Inghilterra per restarci, avendo una fidanzata del posto che in seguito sarebbe diventata mia moglie. Per rendermi indipendente cominciai a lavorare in un’agenzia di viaggi e ricevetti l’offerta di svolgere corsi serali di lingua e letteratura italiana al City Literary Institute. Quindi conobbi Renzo Cianfanelli del Corriere della Sera che mi propose di collaborare col giornale, per il quale scrissi articoli senza firma. Poco dopo si liberò il posto da corrispondente per l’agenzia di stampa Nea, diretta da Riccardo Forte”.

Il rientro in Italia lo provocò tuttavia la chiamata per il servizio militare: “Mi arrivò la cartolina. Avevo provato a rinviare quell’appuntamento il più possibile, ma ad un certo momento dovetti partire”.

Un primo incontro importante per la sua carriera fu quello con Maurizio Costanzo.

Approdai a L’Occhio, quotidiano da lui diretto. Maurizio, fin dai primi articoli scritti, mi manifestò i suoi apprezzamenti. Per lui realizzai uno dei miei primi scoop: rintracciai casualmente un prete che viveva in Abruzzo che era stato il confessore di Al Capone e di tutta la sua famiglia. Finii in prima pagina.

Ribeccò Costanzo a Prima Rete Indipendente.

Era il direttore di Contatto, il telegiornale del canale privato della Rizzoli. Una prima parte di quindici minuti era dedicata alle notizie ed altri venti ad interviste che Costanzo realizzava sugli argomenti del giorno. In seguito al terremoto in Irpinia, lo Stato stabilì che gli sfollati sarebbero dovuti andare a vivere nelle ville presenti sulla via Domiziana. I proprietari degli immobili, che erano perlopiù case turistiche, si precipitarono in loco. Realizzai un servizio e riuscii a portare a Roma in studio sia chi era rimasto senza abitazione che chi non intendeva cedere la propria. Fu un colpaccio.

Mai come quello del 13 maggio 1981.

La data dell’attentato a Giovanni Paolo II. Mi precipitai in piazza San Pietro e seppi da alcuni poliziotti che una turista era stata ferita e ricoverata in un ospedale di Roma. Giunto sul posto, trovai le porte sbarrate, ma riuscii ad intercettare il figlio della donna. ‘Chiedi a tua madre se vuole essere intervistata’, gli dissi. Lei accettò e mi aggiudicai l’esclusiva. La chiacchierata, fatta in inglese, venne venduta da Prima Rete Indipendente alle tv di tutto il mondo.

Scegliere di non recarsi all’ospedale dove avevano ricoverato il Papa rappresentò un bell’azzardo.

Sapevo che al Gemelli avrei trovato la struttura blindatissima e mi dovevo inventare qualcosa. Mi andò bene. Qualche giorno più tardi tornai in ospedale da solo a trovare la signora. Nella sala d’aspetto incrociai un uomo vestito da cowboy che mi guardò ed esclamò: ‘Io ti conosco, ti ho visto a Buffalo in televisione. Hai intervistato mia zia’. Per farti capire il clamore che avevo scatenato.

L’avventura a Contatto però terminò bruscamente.

Scoppiò lo scandalo della P2, che colpì tra gli altri Costanzo e Rizzoli. Questo portò alla chiusura di tutte le attività nate successivamente all’iscrizione dell’editore alla loggia. Rimasi disoccupato per un po’ e, dopo qualche tempo, ripresi a scrivere per altre testate del gruppo, come Anna, L’Europeo, Il Mondo e La Domenica del Corriere. Qui pubblicai i verbali dell’interrogatorio delle Brigate Rosse a Roberto Peci prima che lo ammazzassero. La Domenica del Corriere a quel punto decise di assumermi.

Lo sbarco a Canale 5 come avvenne?

Arrigo Levi stava per lanciare Tivù Tivù, un programma settimanale di informazione. Si scelse come vice Angelo Campanella, volto storico del Tg1 e fondatore di Tv7. Aveva lavorato con Costanzo nella tv di Rizzoli e mi chiamò. Si era ricordato di me.

Anche in questo caso non mancarono le esclusive.

Esatto. Mi capitò di entrare in contatto con un frate francescano che era stato per diversi anni in America e si era appassionato alla causa di Paula Cooper, una delle ragazzine accusate di aver ucciso in casa una maestra elementare per rubarle i soldi. Non ancora 15enne, era stata condannata a morte. Feci una proposta ai dirigenti di Canale 5: ‘Quest’estate andrò in vacanza in America. Se riuscirò ad entrare nel braccio della morte e ad intervistare la Cooper, voi mi ripagherete tutte le spese del soggiorno’. Acconsentirono e ottenni l’ok della ragazza e il permesso delle autorità carcerarie. L’intervista raccolse ascolti pazzeschi; le forti pressioni portarono all’annullamento della sentenza e alla successiva modifica della legge sui limiti d’età per essere condannati a morte.

Nel gennaio 1992 nacque il Tg5.

Un anno prima seguii in Iraq gli sviluppi della Guerra del Golfo per Studio Aperto. Rimasi là per due mesi, con la trasmissione di Emilio Fede, concepita come speciale di una sola serata, che si trasformò in un notiziario no-stop . Quando vennero varati il Tg5 e il Tg4 mi consentirono di scegliere dove andare e optai per il tg dell’ammiraglia.

Perché non compare nella foto di gruppo scattata in occasione dell’inaugurazione?

Mi trovavo a Belgrado. Era in corso il conflitto in Jugoslavia e avevo trasmesso un servizio sulla situazione di Vukovar. Per non perdermi l’esordio mi recai nella sede di una piccola televisione locale e riuscii col satellite a catturare il segnale di Canale 5. Quella primissima edizione fu imbarazzante (ride, ndr). I primi cinque servizi non partirono. Avevamo svolto mille prove, tutto era sempre andato liscio. Evidentemente quella sera c’era stata un’emozione collettiva. Tutti si erano preparati al disastro, invece il giorno dopo scoprimmo di aver sconfitto il Tg1.

Ha sempre portato i baffi. Silvio Berlusconi le chiese mai di tagliarli?

Non ho mai ricevuto alcuna direttiva, o pressione. Sapevo che non li gradiva, ma non li ostracizzava. Magari se ti incontrava te lo diceva, però non ne faceva una tragedia.

Ha incrociato tutti i direttori che si sono susseguiti. Mi dia un giudizio su ciascuno di loro. Partiamo da Enrico Mentana.

Bravo, ma irascibile.

Carlo Rossella.

Una mano di ferro in un guanto di velluto. Una definizione che si diede lui stesso. Sapeva essere duro, con garbo.

Clemente Mimun.

Un uomo Rai a Mediaset. Nel bene e nel male.

Con Mentana ci furono diversi contrasti. Le cronache sono piene di vostri screzi.

Ci furono scontri anche violenti, soprattutto per via della mia veste di fondatore del sindacato dei giornalisti di Mediaset. Nel 2003 la Fnsi indisse uno sciopero e saremmo dovuti andare in onda con brevi finestre di cinque minuti. Mentana aggirò questa disposizione realizzando un tg quasi normale. Per protesta ci dimettemmo. Quando ci chiesero di ripensarci, rispondemmo che lo avremmo fatto solo se il direttore avesse concordato un protocollo d’intesa aziendale e sindacale. E lui accettò.

Parlaste apertamente di conduzione verticistica.

Forse accentuammo alcuni caratteri. E’ innegabile che Enrico fosse un accentratore e il termine ‘irascibile’ che ho utilizzato poc’anzi include questa componente.

Negli anni c’è stata l’opportunità di un chiarimento?

I contrasti passano e i rapporti umani rimangono. L’ho incontrato in un negozio a Roma tre anni fa e abbiamo chiacchierato con la massima serenità. Certo, non siamo più andati a cena insieme. Credo di non essere il pensiero più bello della sua esperienza al Tg5, ma nemmeno il più brutto.

Lasciò il telegiornale nel 2012.

Usufruii della pensione anticipata, raggiunta grazie ai contributi che avevo maturato in Inghilterra. Il lavoro mi piaceva, tuttavia pensavo che fosse giusto godermi l’ultimo tratto di vita slegato dal lavoro di equipe.

Essere il volto della notte è stato un limite?

No. Quella collocazione mi ha reso al contrario distinguibile. Amavo quel ruolo. Levi mi spiegò: ‘Se esponi in tv un fustino di sapone tutti i giorni, quel fustino diventerà inevitabilmente famoso’. Accade anche con gli uomini. Io apparivo ogni giorno alla stessa ora e tutte le volte che mi hanno proposto di condurre altre edizioni ho sempre rifiutato. Sarei diventato uno dei tanti e non volevo. Tra l’altro, scoprii che tra i miei spettatori più assidui c’era Marina Berlusconi. Me lo confidò Rossella.

Proprio sotto la direzione di quest’ultimo divenne responsabile dell’edizione notturna.

Mi fece coprire soprattutto la rassegna stampa, con la conduzione ridotta a una settimana di conduzione ogni tre. Ero chiamato a gestire eventuali edizioni straordinarie e non posso dimenticare il grande lavoro svolto nei giorni della morte di Karol Wojtyla, o per gli speciali delle elezioni americane.

Nel curare la rassegna visse in prima persona il passaggio al touch screen.

Sono stato uno dei pochi nel trovare immediatamente più comoda la versione digitale. Mi dispiacque abbandonare i quotidiani cartacei, ma compresi subito che il touch avrebbe assicurato una spettacolarità che la carta non poteva avere. Se prima potevo solo indicare i titoli, sperando che la regia inquadrasse l’articolo di riferimento, con lo schermo il regista diventavo io. Potevo ingrandire, evidenziare, scegliermi addirittura i colori. Senza contare che le prime pagine mi arrivavano più rapidamente. Le potevo visionare prima della diretta e non c’era più bisogno di perdere tempo nel fare le fotocopie.

Oggi di che si occupa?

Sono editorialista de La Notizia e del Quotidiano del Sud e ho appena scritto due libri di prossima pubblicazione. Nel primo, ‘La moglie assassina’, sperimento una serie di tecniche narrative per argomenti differenti, mentre il secondo è un libro di poesie e saggi che hanno come oggetto Gaza e la questione palestinese.

Affronta la stretta attualità.

E’ un’invettiva contro gli israeliani che massacrano il popolo palestinese e lo tengono schiavo da settant’anni. Ritengo che questo tema sia uno dei più gravi sul fronte della violazione dei diritti umani. La vicenda è molto divisiva e questa è un’opera di militanza. Io sto chiaramente da una parte, non sono uno di quelli che si professano equidistanti.