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Matteo D’Errico, vincitore nel 2006 di Wild West: “Fu il mio sogno americano. Il flop? Mi interessava solo che il reality non chiudesse”

Matteo D’Errico si impose nello sfortunato reality di Rai 2: “Per me era come stare a Gardaland, non sarei più voluto tornare a casa. I soldi? Mi sono tolto degli sfizi e ho ristrutturato la mia azienda di falconeria”

pubblicato 21 Aprile 2024 aggiornato 29 Aprile 2024 12:57

Vincere un reality tra i più dimenticati della storia della televisione, ma essere comunque felici. Succede a chi non fa dei riflettori una questione di vita ed è capace di tornare alla normalità. Senza rimpianti e recriminazioni.

E’ la storia di Matteo D’Errico, che nell’autunno del 2006 trionfò a Wild West, trasmissione che durò nella prima serata di Rai 2 come un gatto in tangenziale. Solo tre puntate delle dieci previste vennero mandate in prime time, prima che il programma traslocasse nel pomeriggio, con semplici incursioni all’interno de L’Italia su Due.

Al timone dello show c’era Alba Parietti. La conduttrice abbandonò la barca in seguito ad un promettente 14,4% di share dell’esordio, tuttavia crollato successivamente al 7,8 e al 6,7%. Un calo verticale che rese Wild West praticamente invisibile, stritolato da un contesto che vedeva in onda – nel medesimo periodo – anche L’Isola dei Famosi, La Pupa e il Secchione e Reality Circus.

I dodici concorrenti – sei uomini e altrettante donne di età compresa tra i 18 e 30 anni – avrebbero dovuto passare due mesi a contatto con la natura selvaggia, imparando a vivere come cowboy e cavalcando ogni giorno per diverse ore e chilometri. L’obiettivo del gioco? Portare ad un’asta il maggior numero di mucche, per venderle e ricavarne quello che sarebbe stato il montepremi finale.

Residente ad Aradeo, comune in provincia di Lecce, D’Errico condivide le origini con Emma Marrone, che si impose sia a Superstar che ad Amici. “Il paese vanta tre reality vinti, due se li è aggiudicati lei e uno io”, racconta divertito a TvBlog. “Qui non è consentito arrivare secondi, altrimenti il sindaco ti toglie la cittadinanza!”.

Come arrivasti a Wild West?

Un mio amico era stato convocato ai casting, ma mi disse di andarci al posto suo, non se la sentiva. Inizialmente ero scettico, ma mi convinsi. Mi spiegò che i partecipanti avrebbero dovuto attraversare l’Arizona, mi sembrava uno scenario affascinante. La prima riunione si svolse a Roma, poi ne feci un’altra a Milano.

Insomma, un percorso in discesa.

Sì. All’ultimo provino erano presenti autori ed operatori. In tutto erano una quindicina di persone, sembrava un esame di Stato. Mi fecero una marea di domande e qualcuno cercò di mettermi in imbarazzo. Dissi chiaramente che, se avessi superato la prima settimana, sarei arrivato in finale e avrei potuto vincere.

A convincerti fu l’ambientazione del reality?

Mi sono sempre piaciuti i cavalli e il programma si svolgeva completamente a cavallo. Dovevamo trasportare le mucche da un punto ‘a’ ad un punto ‘b’. Fu un’esperienza particolare.

Incontrasti la Parietti?

La sentii solo al telefono e si raccomandò. Per me il mondo della campagna non era una novità e mi disse di aiutare gli altri ragazzi, che invece provenivano dalla città.

Come cibo avevate a disposizione solo fagioli e carne in scatola, mentre l’acqua era razionata, con una disponibilità di sei litri a testa al giorno. Non proprio una passeggiata.

Ad essere sincero non sentii il peso delle privazioni. Quando mangi per fame, i fagioli e la carne in scatola diventano come il caviale e il salmone. Per quanto riguarda l’acqua, non ci venne mai a mancare. Sacrificammo soprattutto la pulizia, era l’ultimo dei nostri pensieri. A volte non ci lavavamo per quindici giorni. Appena beccavamo un fiume ci tuffavamo dentro.

Addirittura due settimane senza lavarvi?

Se decidi di vivere in quel modo, e per me non era una novità, devi adeguarti. Se ti puzzano le ascelle non è un problema. La cosa più importante è lavarsi i denti e le parti intime. Le infezioni partono da là. Infatti si verificò un problema del genere dopo che qualcuno si era lavato dentro una pozza d’acqua sporca. Avevamo comunque un medico a disposizione.

Che clima si respirava?

L’inviato era Marco Mazzocchi, una persona davvero simpatica ed amichevole. Il clima fu sempre disteso. Per me era un gioco, stavo vivendo il mio sogno americano. Non avevo niente da perdere e quando non hai niente da perdere ti diverti e basta.

Il programma subì in corsa un profondo ridimensionamento. Come reagiste all’annuncio della cancellazione delle prime serate?

Ci avvisarono che saremmo andati in onda solo al pomeriggio. Molti miei colleghi manifestarono malcontento e dispiacere, a me invece interessava solamente che non lo chiudessero. Del resto non mi importava. Mi stavo divertendo, era come stare a Gardaland. Nella pratica non cambiò nulla, sia la possibilità di proseguire l’esperienza che il premio finale rimanevano intatti.

Sei rimasto in contatto con qualche concorrente?

Qualcuno lo sento ancora. Il problema principale è che l’Italia è lunga ed è complicato vedersi. Ma magari tra un paio d’anni, in occasione del ventennale, faremo una rimpatriata. Se non con tutti, almeno con quelli con cui arrivai in finale.

Alla fine ti portasti a casa 117 mila euro.

Tolte le tasse, diventarono circa 90 mila. Erano il ricavato incassato alle aste. Fu bellissimo assistere alla vendita del battitore americano. Nell’ultima settimana rimanemmo in due in gara, io e Stefania (Boccafogli, ndr). A decidere il vincitore fu il televoto. Forse sarebbe stato più giusto che vincesse lei, lo avrebbe meritato. Dovette fare i conti con delle situazioni estreme, mentre per me era tutto un gioco. Alla fine del reality avevo zero stress. Ero stato talmente bene che non sarei più voluto tornare a casa.

Al rientro in Italia i protagonisti di Wild West finirono rapidamente nell’oblio.

Oblio è una parola che porta con sé una connotazione negativa. Diciamo che per me terminò la vacanza. Non ero un personaggio televisivo, per me quella era stata una finestra isolata. Il mondo dello spettacolo non rende economicamente quanto uno può immaginare. Mi spiego: ti arricchisci se sei un professionista importante, altrimenti non è un ambiente facile. Non avrei mai potuto intraprendere quel percorso.

Il paese invece come ti accolse?

Ci fu un’ovazione, una festa a cui presenziò pure il sindaco. Le classiche robe che organizzano i piccoli comuni quando un loro cittadino raggiunge un risultato importante.

I 90 mila euro come li hai investiti?

Non sono molto legato ai soldi. Ho acquistato due cavalli, ho ristrutturato la mia azienda di falconeria e mi sono tolto qualche sfizio. Da Wild West mi sono portato dietro l’amore per gli animali e i viaggi a cavallo. A tal proposito, su Youtube (pagina Calamity Zoe, ndr) si trovano i filmati della splendida avventura vissuta di recente coi miei figli.

Prima hai accennato alla falconeria. La tua azienda, la Falcon Farm, è specializzata nei servizi di allontanamento dei volatili molesti.

La realtà è nata nel 2004. Prima facevo il pittore e dipingevo i serbatoi delle Harley Davidson. Ho sempre amato i falchi e ne possedevo uno. Tutto è cominciato quando negli aeroporti della Puglia iniziarono ad essere indispensabili i falconieri per scongiurare il fenomeno del bird strike. La professione non era sviluppata e decisi di lanciarmi con la creazione dell’azienda. A quel punto ho messo definitivamente i pennelli a mollo.

Siete richiestissimi in tutta Italia.

Lavoro soprattutto negli aeroporti e nelle stazioni. Quando la torre di controllo lo ritiene, ci convoca perché intravede la presenza di avifauna.

Come funziona la procedura?

Liberi un falco e gli fai attaccare gli uccelli, o magari un loro simulacro. L’importante è creare del panico nei volatili che sono nel raggio di chilometri. E’ sufficiente mettere il falco in volo per far sì che gli uccelli se ne vadano. E’ il miglior dissuasore che esista ed è anche ecologico.

Spesso succede che i comuni chiedano il vostro intervento per scacciare i piccioni da determinate zone.

Sì, però li sconsiglio. Un intervento singolo non serve, perché i piccioni tornano al loro posto una volta che il falco se ne va. Per ripulire un’area occorre una presenza quotidiana. Il top restano gli aeroporti, lì la resa è immediata.