Home Little Big Italy Francesco Panella a TvBlog: “Little Big Italy è sincero, come l’Italia che cerchiamo. Ed è un’esplosione di emozioni”

Francesco Panella a TvBlog: “Little Big Italy è sincero, come l’Italia che cerchiamo. Ed è un’esplosione di emozioni”

Little Big Italy senza Francesco Panella non avrebbe quella freschezza che invece il programma continua ad avere. E ora si guarda all’Asia.

pubblicato 8 Marzo 2023 aggiornato 18 Gennaio 2024 10:53

Little Big Italy è e resta uno dei migliori programmi di genere che ruotano intorno al cibo: lo diciamo da tempo e senza timore di essere smentiti. Siamo ormai alla sesta stagione, in onda – con ascolti sempre interessanti e costanti, va detto, anche in replica – nel prime time del lunedì di Nove: nonostante lo stop dovuto alla pandemia, sembra davvero che il programma non sia mai andato in pausa, per quella capacità di confermarsi e di accompagnare il pubblico alla scoperta di se stessi, della propria italianità ancor prima di quella degli expat protagonisti e dei ristoranti ‘in gara’. Stagione dopo stagione, con crescente consapevolezza – perché sa di essere diventato un cult per molti aspetti ma non ‘se la tira’ – Little Big Italy si conferma una chicca per concept, confezione, spirito, casting e conduzione. Perché il valore aggiunto di questo programma è lui, Francesco Panella, con tutta la sua sincerità, la stessa che ricerca, giustamente, nei ristoranti che visita e nei piatti che assaggia, e che riesce sempre a far venir fuori nelle storie che racconta. Il tutto con quella leggerezza e quel divertimento propria delle cose semplici, le più difficili da far arrivare in tv.

Di tutto questo abbiamo chiacchierato con estremo piacere e in maniera a dir poco amabile perché Francesco Panella è l’essenza stessa dell’ospite, di colui ti accoglie e ti mette a proprio agio: e confessiamo che avremmo continuato con gran piacere, davanti a un bicchiere di vino, a cercare aneddoti, chiacchierare del backstage, approfondire le storie degli expat e le sue esperienze, fuori e dentro le cucine. Il suo viaggio, nel frattempo, si è arricchito di una nuova tappa, a Chicago, dove è diventato partner di Gioia. Ma ne parleremo.

Non sarà facile resituire l’atmosfera divertita, conviviale a tratti confidenziale di questa chiacchierata, ma in fondo basta pensare al Panella che vediamo ogni settimana in tv per avere chiaro il contesto. Ed essere riconoscibili fuori dal piccolo schermo in tutti i piccoli dettagli è raro e prezioso: la quintessenza dell’onestà, spirituale e intellettuale. E lo ringraziamo per averci dedicato un po’ del suo tempo.

Francesco Panella Little Big Italy

E allora, siamo alla sesta edizione, ma si può dire che il programma sia così solido e abbia un’identità così forte da dare la sensazione che di fatto non si sia mai interrotto, neanche col Covid. Come stai vivendo questa nuova stagione? Vedo tuoi post social sempre molto riconoscenti verso il pubblico – gli ascolti vanno più che bene e lunedì scorso hai toccato il record di stagione – e sempre molto entusiasti verso il programma… 

Ma sì! Io sono sempre ‘super excited’ quando inizia una nuova stagione, non vedo l’ora che le puntate vadano in onda. E ti ringrazio per quel che hai detto: il periodo del Covid non è stato facile ed è davvero bellissimo essere riusciti a mantenere questo contatto col pubblico.

Per il pubblico è evidentemente un piacere seguire Little Big Italy ma per te, dopo sei edizioni, cos’è questo programma?

È un modo per raccontare una parte dell’Italia che magari tanti non conoscono e lo facciamo viaggiando. È un viaggio fatto di sentimenti, di sapori, anche di un modo diversi di comunicare il nostro Paese all’estero. Penso che il successo del programma dipenda proprio dal fatto che ogni puntata è un’esplosione di emozioni e di divertimento. Il fulcro è sì il viaggio, ma anche i sentimenti, quelli che vengono fuori, forti, dalle interviste con gli expat, ma soptattutto con queste famiglie incredibili, davvero incredibili, che si sono trasferite e che non vogliono nient’altro se non rappresentare l’Italia fuori dall’Italia.

Il cibo diventa una ‘scusa’ per raccontare le storie di questi ristoratori, a volte all’estero da generazioni, a volte freschi expat in cerca di cose diverse:ma come scegliete i concorrenti e i ristoranti?

C’è un lavoro di ricerca e di analisi molto attenta che però fa la redazione: io non voglio sapere assolutamente nulla di loro prima di incontrarli. E niente, sono fatto così! (e si ride) Non voglio sapere nulla prima né dei concorrenti né dei ristoratori perché così c’è più spontaneità, non ci sono filtri. Non voglio sapere nulla! Mi commuovo? E sia!

Beh, non si può dire che sia un approccio comune…

Guarda, credo che questa sia una cosa molto importante, perché nella tv di oggi vedo tanta ‘strategia’, anche molte cose preparate a tavolino. Little Big Italy non è così. Little Big Italy è un programma sincero, spontaneo, di cuore e la gente si è accorta della sua verità.

È bello sentire questa tua voce ferma e al contempo accorata nel descrivere l’autenticità di questo programma: è il segno di quanto tu ci sia dentro questo che non è solo un format tv… 

È così. Ed è così proprio perché è un programma che non è costruito. Certo, la barra del racconto la decide la redazione con i capi progetto. Quel che mi limito a fare io è suggerire sempre storie di italiani, punto e basta. In fondo è semplice, sai: io all’estero cerco l’Italia, no? Questo vuol dire trovarsi di fronte degli italiani e il più delle volte questo vuol dire trovarsi di fronte a delle situazioni, a delle persone, a delle storie davvero bellissime, fantastiche… ecco, ora finisce che mi emoziono… (e la genuinità, come detto, è evidentemente un tratto distintivo anche del conduttore).

Come detto, le storie sono il vero motore di questo format più del cibo, che è una sorta di miccia pur restando uno dei fili narrativi intorno cui si muove una gara in cui tutti hanno già vinto. A questi se ne aggiungono altri due, e parto dalle storie degli Expat e dei ristoratori. Ecco, inizio dagli Expat: non sono solo le ‘pedine’ del gioco, ma sono un’altra fotografia dell’emigrazione italiana, spesso la più recente, la più consapevole… 

Assolutamente sì, anche perché spesso gli expat in gara rappresentano in una sola puntata un ventaglio molto ampio di situazioni: c’è chi è espatriato da tanto tempo, chi è appena arrivato, chi sogna di tornare in Italia appena possibile. C’è il passato da cui provengono, c’è il presente nel Paese in cui vivono, c’è il futuro che sognano: ognuno di loro ha un mondo da raccontare e ciascuno di loro è la manifestazione di un universo assolutamente variegato come quello degli Expat. L’unico comune denominatore è l’amore verso l’Italia.

Personalmente però trovo che le storie dei ristoratori siano sempre le più coinvolgenti…

Beh, lì tocchi con mano il sacrificio, quello dovuto al trasferimento in una realtà diversa, abbandonando i propri affetti, e quello quotidiano con una attività che chiede sacrifici.

Ma ti capita che ti chiedano dei consigli?

Sì, a volte lo fanno e mi fa piacere darli. Per me è un privilegio fare questo programma.

Del resto lo stai facendo anche sui social, con una sorta di ‘serie’ dedicata al servizio e alla ristorazione. In più nella situazione dell’Expat tu ci sei stato e continui ad esserci: hai portato l’Antica Pesa negli States, hai creato un brand, stai continuando a crescere…

Beh, sì è una situazione che vivo e questo sicuramente mi aiuta a capire quel che vivono i ristoratori: diciamo che sono facilitato nel mio ruolo di conduttore…

Sì, però vivere la stessa esperienza non vuol dire essere automaticamente in sintonia con i protagonisti delle storia: e qui arriva il terzo filo narrativo cui facevo riferimento prima, ovvero la tua capacità di ascolto. Hai detto che non vuol sapere nulla prima di girare, ma se tu non fossi curioso delle loro storie e desideroso di esserne ‘travolto’ non ci sarebbe che un programma maldestro…

Guarda, io posso dirti una cosa… Se guardo alla mia vita, posso dire che è fatta di due cose: la continua voglia di migliorarsi e il mettersi continuamente in discussione e sono cose che io faccio cercando il confronto con persone competenti, ascoltando loro e mettendomi in ascolto di quel che c’è intorno… Io ho rimesso in gioco tutta la mia azienda a 40 anni, ho messo a rischio tutto quello che avevo fatto in Italia, indebitandomi per seguire il mio cuore. L’ho ascoltato e ho aperto l’Antica Pesa a Williamsburg: allora non c’era assolutamente nulla, ma dopo 12 anni posso dire di essere stato il primo brand italiano a scommettere su una zona che oggi ospita gli uffici della maggiori multinazionali. Lo so, può suonare male, ma posso dirti che il mio lavoro mi cambia ogni giorno proprio perché mi permette di ascoltare gli altri, di sentire tante storie, di ascoltare persone molto più brave di me da cui cerco di imparare ogni giorno qualcosa.

Ma la televisione ti ha cambiato?

No, e proprio per quello che ti dicevo prima. Dalla prima stagione a oggi ‘Francesco-il-conduttore’ non è mai cambiato: io ho iniziato a fare tv ormai 15 anni fa con Il mio piatto preferito, poi c’è stato Brooklyn Man e ora Little Big Italy. Magari ‘Francesco-il-conduttore’ ha più esperienza, ha più consapevolezza, può essere maturato, ma non è mai cambiato. Quel che mi ha cambiato in questi anni è solo il mio lavoro, come dicevo prima. Umiltà e competenza sono le parole chiave della mia vita: ne hanno sempre fatto parte e continueranno a farlo. Sembrano una contraddizione, ma in realtà sono un percorso e suggerisco a tutti di provarci perché è un esercizio magnifico da fare.

A proposito di dare ascolto, hai iniziato un nuovo percorso come partner operativo di Gioia, uno dei migliori ristoranti italiani di Chicago. Perché? L’Antica Pesa non era abbastanza impegnativa?

(Ride) Beh, lo dicevo prima, no? Mettersi in discussione e migliorarsi. Federico Comacchio è un bravissimo chef  italiano, con 30 anni di carriera in cucine stellate e da tanti anni a Chicago. Ecco, Chicago è una città che adoro:bellissima, entusiasmante… Mi ricorda un po’ Milano. E pochi sanno che è prima città degli USA per qualità della vita. In genere quando pensiamo all’America ci vengono in mente New York, Los Angeles… diciamo che è un po’ lo stereotipo che abbiamo noi italiani sugli States. Ma Chicago è la città più importante dopo New York dal punto di vista degli economics, ma anche come storia, come cultura. È uno dei  sogni che sono riuscito a realizzare.

A proposito di stereotipi, Little Big Italy sembra essere un espositore seriale di stereotipi, ma li racconta e li smonta nello stesso momento. È un’interessante cartina al tornasole di quel che noi stessi pensiamo debba essere l’immagine dell’Italia nel mondo, senza renderci conto che il più delle volte siamo i nostri peggior ‘promotori d’immagine’. Insomma, guardarli con occhio analitico, studiare gli stereotipi che noi stessi alimentiamo è una sfida non banale, a mio avviso, ed è un notevole esercizio di sguardo critico. Come è il tuo rapporto con gli stereotipi dell’Italia all’estero, al di là di quel che vediamo in tv?

Lo stereotipo è sempre con noi, è una barriera. Come lo tratto? Cerco di abbatterlo parlando con i ristoratori a telecamere spente, cercando di far capire che l’italianità non si manifesta coi poster di attori del passato o con la cartolina dipinta sul muro, ma si trasmette con i piatti, con la conoscenza del territorio, con la proposta delle materie prime, con le emozioni che crei, con la divulgazione della varietà del paese. Queste sono le leve che ti fanno essere un piccolo ambasciatore dell’Italia: del resto il cibo è uno dei nostri punti più amati. Chiunque venga in Italia posa le valigie e va a mangiare perché il primo contatto che hanno avuto con il nostro Paese è passato attraverso il cibo ed è quello che cercano. Quest è il punto di partenza.

Tanti anni di viaggi, tante mete diverse, ma qual è lo stereotipo con cui ancora lotti e che è il più resistente da smontare?

Te lo dico senza esitazioni: l’arredamento! Su quello proprio non ce la facciamo ed è una cosa che, ammetto, mi dà molto fastidio. Il fiasco, i limoni, la tovaglietta a quadri, le pareti dipinte con i Golfi, le foto degli attori in bianco e nero sono una cosa che proprio non digerisco…

Ma perché? Troppa oleografia?

Ma perché noi siamo un paese famoso nel mondo per il nostro design! (E qua si infervora. Quando uno ci tiene, del resto…) L’Italia è fatta di geni incredibili nel settore del design, dell’architettura, dell’interior… siamo degli innovatori e dobbiamo ispirarci anche a questo, dobbiamo ‘divulgare’ anche questo.

Beh, giusto. Ma non pensi che sia anche un concept ‘target-oriented’? Così come ci sono menu che strizzano l’occhio ai gusti locali (tra Fettuccine Alfredo e parmigiane di pollo) così magari si mette la tovaglietta a quadri perché si sa che il cliente vuole quello. O magari opera una certa nostalgia da parte del ristoratore, il tentativo di restare attaccato a un’idea dell’Italia che non è mai esistita ma di cui si sente il portatore…

Guarda, è una questione di contemporaneità. Il termine è proprio questo: contemporaneità. Ci sono ristoratori più contemporanei che sono attenti a determinate dinamiche e magari altri, di prima o di seconda generazione, non riescono a staccarsi da certe immagini. E così trovi ancora quell’Italia un po’ polverosa, che magari nasconde un cuore pulsante bello, delle ricette fantastiche, ma manca di quella contemporaneità che suggerisco sempre. Ecco, i social possono aiutare in questo…

In che senso?

Beh, come dicevo, guardare gli altri, osservare quelli che sono migliori di noi: se scegli gli account giusti da seguire puoi scoprire tante cose, puoi guardare le cose in modo diverso. Se si scelgono gli account giusti c’è molto da imparare.

Beh, è tutto un discorso di ascolto e di scelte, no? Ma tornando al programma, ho una curiosità da fan: uno dei ‘catch-moment’ del programma è l’assaggio ‘al buio’ con cui apri le puntate. Ecco, ora svela il segreto: come fanno gli autori a ‘convincerti’ all’assaggio? 

(Si ride, ovviamente). Allora, diciamoci la verità: io faccio fatica a mangiare quella roba (e si ride ancora). È colpa degli autori (ride ancora) che scelgono questi ristoranti, ovviamente esistenti, eh, che servono davvero quei piatti. Io entro senza sapere nulla e mi trovo quei piatti lì. Capisci che abbiamo dei problemi grandi con la cucina italiana nel mondo, eh! (Ride) Diciamo anche che sono l’unico italiano sfigato che va in giro per il mondo e riesce a mangiare male… Direi che mi merito una targa, un bollino anche io! (Si ride, ma io un backstage degli assaggi lo vorrei come contenuto extra…).

Little Big Italy Francesco Panella

E torniamo alla sesta edizione: ti abbiamo visto a Marrakesh, Vienna, Nashville nella contea di Dublino e la prossima settimana ti vedremo a Budapest, prima di tornare ancora a Marrakesh. Ma c’è qualche posto in cui vorresti andare e non sei ancora mai andato?

Facile: l’Asia! Ma non è più una sorpresa. In questo periodo sto realizzando proprio le nuove puntate e sono in giro per l’Asia, tra Vietnam, Thailandia, Malesia… Non vedevo l’ora di esplorarlo e finalmente ci sono.

E noi non vediamo l’ora di vederti alle prese con la versione asiatica della ‘tradizione’ italiana, Intanto proseguiamo con questa sesta edizione e ti seguiremo sui social nelle tue tappe asiatiche. Grazie mille e a presto!

Grazie a voi!

Little Big ItalyNove