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Domenico Marocchi a TvBlog: “Maurizio Costanzo è un faro per raccontare l’attualità in modo colloquiale”

Ora impegnato con UnoMattina e Citofonare Rai 2, Domenico Marocchi, inviato in passato per numerosissime trasmissioni, si racconta a TvBlog

27 Novembre 2023 11:29

“È l’anno dei ritorni e delle ripartenze”. Si apre così la chiacchierata con Domenico Marocchi, che, dopo anni di costanti trasferte, quest’anno grazie a UnoMattina e a Citofonare Rai 2 trova spazio anche in studio. “Con UnoMattina sono tornato nello studio dove ho fatto il mio stage universitario e dove oggi invece oggi ho un mio piccolo spazio, mentre a Citofonare Rai 2 ho ritrovato Paola Perego con cui ho debuttato” ci spiega infatti.

Avevi mai accarezzato l’idea del giornalismo prima di iniziare il tuo percorso di studi universitario?

Io da piccolo avevo la passione per i giornalini. Ho imparato a leggere dal Corriere dei Piccoli e il mio sogno era fare il giornalaio perché immaginavo che avendo un’edicola mi sarei potuto leggere tutti i giornali prima di metterli a posto e poi venderli.

Non avevi però mai pensato di fare il giornalista?

Beh, forse in fondo sì. Ho sempre avuto la passione per il giornalismo e sono sempre stato attratto dalla televisione. Ero incuriosito dalle televisioni locali perché mio padre faceva anche l’allenatore di calcio e per me era strano vederlo in uno studio televisivo mezz’ora dopo aver cenato con noi. Era un effetto ancora più straniante rispetto a quello che produce la televisione nazionale.

Dal 2008 sei giornalista professionista. Hai subito messo nel mirino la tv? In quegli anni, infatti, sei stato anche ufficio stampa del comune di Monteprandone (Ascoli Piceno).

Io il praticantato giornalistico l’ho fatto in tv locali. L’esperienza in comune è arrivata dopo e anche lì alla fine ci è finita dentro la tv. Monteprandone, un comune piccolissimo, partecipò a Mezzogiorno in famiglia e arrivò in finale, dopo dodici puntate. Mi ricordo che andavo a Teulada per assistere i ragazzi che partecipavano al programma.

La svolta nella tua carriera è stata Rai Lab, un laboratorio sperimentale per risorse artistiche a cui si accedeva dopo una selezione pubblica. Tu con che spirito presi parte a quella selezione?

Io venivo già da un’esperienza a Sky e avevo provato ad entrare in Rai già altre volte. Mi ero detto: o la va o la spacca.

Se non fosse andata, cosa avresti fatto?

Probabilmente sarei tornato nelle tv locali o a Sky.

Invece ti presero e dopo la prova finale risultasti il primo nella graduatoria. Quali erano le tua ambizioni?

La prima cosa che ci proposero fu quella di sostituire i colonelli per le previsioni meteo. Ci provinarono proprio nello studio dove si fa UnoMattina. Eravamo io, Fabio Gallo, Giorgia Rossi e un altro ragazzo. Poi la cosa si fermò perché si valutò che servisse una formazione adeguata per parlare di meteo. Per me però non era un problema, a me andava benissimo lavorare anche in redazione.

Il primo lavoro in redazione fu quello a La Vita in Diretta. È lì che poi hai esordito come inviato.

La prima edizione a cui lavorai fu quella di Mara Venier e Marco Liorni, con Daniel Toaff come capo progetto. In redazione organizzavo anche i viaggi per gli inviati. Nella stagione successiva a decidere di mandarmi in video fu Angelo Mellone, che era allora capostruttura. In quell’edizione Paola (Perego, ndr) credeva in me nella versione più leggera e d’intrattenimento, mentre il primo collegamento lo feci con Franco Di Mare in occasione dell’arrivo del movimento dei Forconi a Roma.

Da quel momento la tua carriera da inviato non si è più fermata. La cronaca nera però ti imbarazza e tendi ad evitare di farla. Ti sei mai chiesto il perché?

Innanzitutto diverse persone mi hanno detto che ho la faccia simpatica, che a volte stride con il dolore che devi raccontare. Nella cronaca nera il lavoro che devi fare è entrare nei drammi delle persone ed utilizzarli per il tuo lavoro. Una volta mi sono trovato ad una veglia funebre di un ragazzo e dovevo cercare dei suoi amici da portare in diretta. Lì ho detto basta. La caccia al parente non è una cosa che sento mia. Ci sono colleghi che lo fanno benissimo, però ci vuole molto tatto o il pelo sullo stomaco.

La Vita in Diretta, Storie Italiane, Agorà, Oggi è un altro giorno. Questi sono solo alcuni dei programmi che hai fatto come inviato. Ce n’è uno a cui rimani più legato?

Sicuramente Agorà. Per me è il programma migliore che abbia fatto. Lì ho raccontato con Serena (Bortone, ndr) dal terremoto di Amatrice al Covid, passando per i grandi cambiamenti politici di quegli anni.

Dei tanti conduttori con i quali hai lavorato con chi mantieni ancora un rapporto e a chi ti senti più legato?

Sicuramente Serena e Paola. Paola è stata la prima a darmi fiducia in maniera gratuita: è una persona che ascolta le idee anche di chi come me era agli inizi e che sa fare squadra. Con Serena per sette anni abbiamo condiviso tutto. La sua voce nell’auricolare era diventata per me un’abitudine e ancora a volte ho la sensazione di risentire nell’orecchio lei che mi chiama per nome. Abbiamo vissuto insieme i drammi del paese e i nostri privati. Lei ha fatto molto per me e io spero di aver dato il massimo.

Questa è una stagione di cambiamenti. Dopo anni di incessanti trasferte, a UnoMattina alterni settimane in studio con altre da inviato, mentre a Citofonare Rai 2 per ora ti stai occupando principalmente di Ballando con le Stelle. Come sta andando?

Innanzitutto sono stato ufficialmente riconosciuto dalla Rai come inviato, dopo aver già ottenuto nel 2020 il contratto giornalistico. Questo è un modo per riconoscere il giornalismo, con delle carriere regolarizzate, anche nei programmi d’intrattenimento. Il mio obiettivo ora è quello di continuare ad alternare il lavoro in studio con quello in esterna, un modello di lavoro molto comune in America, soprattutto nei morning show. È uno schema che fa bene a tutti: se sei sempre in studio, vivi in un ambiente troppo asettico, se sei sempre fuori, invece, ti perdi tante relazioni e non comprendi pesi e contrappesi di un programma.

Sogni un giorno di condurre un programma tutto tuo?

No. Io so che posso essere utile in alcuni frangenti all’interno dei programmi, con un mio spazio o una mia rubrica. Per me il faro è la notizia e sarebbe forse anche frustrante chiudersi in un unico progetto, soprattutto se questo non si affacciasse sulla realtà.

Fra dieci anni lavorativamente come ti immagini?

A raccontare l’attualità in modo colloquiale. Nel fare questo lavoro per me un punto di riferimento resta Maurizio Costanzo, che sapeva fare una televisione intelligente con un linguaggio giornalistico colloquiale. Mi piacerebbe lasciare il segno con una televisione della parola.