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Carlo Freccero a Rai2: il mio 2019 vissuto televisivamente (Prima parte)

Bilancio di un anno alla direzione di Rai2 del suo direttore Carlo Freccero

di Hit
pubblicato 30 Dicembre 2019 aggiornato 21 Gennaio 2021 19:15

E’ terminato da poco l’incarico di direttore di Rai2 per Carlo Freccero. E’ stato un anno molto intenso per Freccero che ha ricevuto il compito di ridisegnare la seconda rete del servizio pubblico radiotelevisivo e tracciarne i connotati per il suo successore che fra qualche settimana verrà nominato.

TvBlog con grande piacere ospita sulle sue colonne la relazione di fine mandato di Carlo Freccero, in cui l’ex direttore traccia un bilancio rispetto a questa sua nuova esperienza professionale. Abbiamo deciso di dividere in due parti questa sua relazione, partendo oggi dall’inizio della sua seconda avventura a Rai2, cioè dal compito che è stato chiamato a svolgere, in particolare in questa prima parte Freccero si occuperà delle scelte che ha fatto rispetto alla nuova identità della seconda rete Rai e sui modi con cui ha deciso di portare avanti questo suo compito.

Fondare è più facile di rifondare

Sono stato incaricato di rifondare RAI2, ma mi è stato conferito un mandato a tempo di un anno. Rifondare una rete televisiva richiede tempi lunghi e vi spiego il perché. Oggi, anche il Servizio Pubblico, si misura sull’unico parametro dell’audience e l’audience è l’espressione quantitativa delle abitudini di ascolto. L’audience replica ciò che è piaciuto al pubblico. Replicandolo lo rende “naturale”, atteso dal pubblico e quindi obbliga chi fa i programmi a replicarlo ulteriormente, in un circolo vizioso che funziona come un dispositivo per produrre conformismo, inteso come uniformità di gusti, di convinzioni, di aspirazioni. Questo circolo vizioso si può rompere? Certamente.

Si può introdurre qualcosa di nuovo che generi sorpresa e rottura delle abitudini di ascolto. Ma ricreare nuove abitudini richiede tempo e si rischia di attraversare un periodo di ascolti bassi in attesa di un nuovo equilibrio da ricostruire. Oppure, come ci insegnano le tecniche di propaganda, si può spostare lentamente il discorso e gli interessi del pubblico, con un lavoro impercettibile e protratto nel tempo, ma anche questo richiede tempi biblici.
Mi sono reso conto sul campo, anche se già lo sapevo a livello teorico, che fare cambiamenti richiede più tempo che creare una rete dal nulla. Ho creato molte reti dal nulla. E’ dura, ma non hai contro il muro delle abitudini.

Mi è stata affidata una rete impermeabile al nuovo, priva di una identità precisa perché la progressiva rivalutazione di Rai1 a scapito di Rai2 ha oscurato la rete privandola di ogni specificità. Inoltre vorrei ricordare che sono subentrato a stagione ormai iniziata e con i contratti dei programmi del giovedì già in essere. Questo mi ha costretto a cambiamenti in corso d’opera, che non portano mai a soluzioni ideali. Ho ereditato Nemo nessuno escluso che veniva realizzato da un gruppo di lavoro ormai imploso, in cui le diatribe avevano portato alla formazione di 2 gruppi contrapposti, che ho dovuto dividere. Conseguentemente ho spacchettato il programma sperimentando soluzioni alternative, per non incorrere in danni erariali procurati dai contratti già in essere.

Sono nati da queste premesse Popolo Sovrano e Realiti due programmi che mi hanno insegnato che dallo sdoppiamento di un programma che faceva il 4% non possono nascere due successi. Oltre a Nemo ho ereditato Improvviserai (con Ale e Franz) che non ho potuto programmare per una palese inconsistenza, e Io e Lui / Vero e più Vero (con Ubaldo Pantani), un progetto costruito per le 21.40, ma che era, evidentemente, destinato alla seconda serata. Ho sostituito questi programmi con Made In Sud e The Voice of Italy, che per fortuna hanno funzionato.

Con l’esperienza fatta, non so se accetterei oggi un mandato a tempo. Dico questo non perché pensi di aver fallito, nel mio lavoro, ma, al contrario, proprio perché penso di aver fatto un bel lavoro, creando un palinsesto ad una rete che ne era di fatto priva. Ma quando la rete comincerà a funzionare a pieno ritmo, io non ci sarò a raccogliere i frutti. O peggio. Il mio successore potrebbe cestinare il mio lavoro ed iniziarne un altro, protraendo nel tempo lo stato di incertezza della rete. Tutto questo rispecchia, nella dimensione limitata di Rai2, il più generale destino della RAI che, perso il ruolo di servizio pubblico delle origini, oscilla da tempo tra diverse opzioni alternative: da tv di qualità a tv industriale intesa come una vera e propria azienda di stato.

Io stesso avevo inteso il mio incarico come mandato per ridare un’identità editoriale alle rete. Ma man mano che prendeva forma l’attuale riforma che limita l’autonomia delle reti in favore di strutture comuni, il mandato è stato spostato dal piano editoriale al Target. Nel caso di RAI2 il target da raggiungere è diventato il target giovanile perché più gradito agli investitori pubblicitari. Questo target è quasi del tutto assente nell’audience della Rai, ed è anche necessario per poter attrarre gli investimenti, ma ciò ha capovolto il mio progetto iniziale. Sembra poco, ma non è una risoluzione di obiettivi. L’identità di rete è un fatto culturale. Il Target un obiettivo di marketing. Resti di questo primo mandato rimangono nel mio palinsesto con alcuni programmi di informazione e alcuni eventi che hanno avuto un forte gradimento, con un’audience non sempre all’altezza.

L’obiettivo di ricreare una rete basata su un target specifico, spazza via ogni equivoco culturale concentrando il lavoro su logiche di marketing. Sia ben chiaro, anche se resto legato al “mito” del servizio pubblico, mi ritengo un professionista e pertanto, mi sono concentrato sull’obiettivo che mi veniva richiesto. A posteriori, analizzando il palinsesto, penso che questo risultato sia stato raggiunto pienamente in almeno 5 giorni della settimana: Lunedì, martedì, mercoledì, sabato e domenica. Del giovedì e del venerdì parlerò in seguito. Il venerdì, senza alcun dubbio, rimane il giorno più critico del mio palinsesto.

Il Palinsesto

Identificare un target nel pubblico, organizzare la programmazione, sono tutte operazioni che richiedono la formazione di un palinsesto. Mi si obietterà che oggi tutta la tv si consuma al di fuori degli schermi televisivi, su smartphone, tablet, pc. E’ una televisione on demand, in cui è il pubblico a costruire di volta in volta il suo palinsesto. Ne sono consapevole. Ma resto dell’idea che non esista un solo modello di TV, ma tante televisioni, in pratica media diversi, che richiedono diverse forme di programmazione. Nell’epoca della sparizione del palinsesto, la sua presenza è l’elemento distintivo che conferisce ancora coerenza alla tv generalista.

Potrei definire il palinsesto la programmazione strutturale che sta sotto il flusso quotidiano, lo spazio televisivo in cui lo spettatore sa di poter trovare quello che cerca. Mettiamo che io sia un fan della comicità italiana. So di avere un appuntamento su RAI2, il lunedì, indipendentemente dallo programmazione di oggi. La programmazione è effimera, il palinsesto rimane, almeno per un certo periodo di tempo. In francese il palinsesto si chiama “grille”, griglia e l’immagine rende molto bene l’idea di una struttura su cui i programmi si appoggiano.
Viviamo in una società destrutturata in cui schemi e regole sembrano dissolti. Che senso, allora, può avere cercare di interrompere il flusso disordinato delle emozioni, con un palinsesto rigido?

Il primo motivo è intuitivo. In questo momento in TV (nello scenario mediale, nell’immaginario, nella sua narrazione) vincono le OTT (per questo è nata Rai Play) che propongono il loro repertorio on demand 24 ore su 24 ore ad un pubblico che la programmazione se la costruisce da solo. La tv generalista può imitare le OTT? No. Noi, come tv generalista, lavoriamo sulla programmazione. Preso atto della differenza, sarebbe stupido inseguire qualcosa che non è comunque alla nostra portata. Non solo, nell’epoca della globalizzazione abbiamo avuto ampia dimostrazione che le realtà locali possono avere comunque spazio, qualora lavorino per valorizzare la propria differenza. Una Tv generalista presenta oggi limiti, ma anche caratteristiche che una piattaforma non ha.
La sincronia prodotta dalla programmazione unificata serve a mantenere una certa uniformità nell’esperienza di tutti, crea un discorso condiviso che andrà ad alimentare i discorsi da bar, ma anche l’agenda dei media, soprattutto qualora si manifestino eventi di rilievo. La televisione generalista svolge oggi una funzione sociale, in una società ritagliata sull’individuo, la sua specificità, i suoi gusti.

Ancora una osservazione. Nel villaggio globale anche il gossip, l’interazione dei social, conservano una dimensione di socialità, perché rappresentano un mezzo per uscire dall’isolamento e per misurarsi con gli altri. A questo proposito vorrei citare l’esempio che meno ci aspetteremmo di vedere proposto: i docu-reality-talent. Questi programmi fondati sull’ibridazione del reality, talent, docu del Martedì (Pechino Express, The Voice Of Italy, Il Collegio) sono stati le trasmissioni di maggior successo perché si autoalimentano dei commenti/interazioni sui social. Vicende televisive che sono state sempre al centro dell’attenzione di un pubblico giovane che twittava in diretta i suoi commenti, proponendo un’agenda non con i media cartacei ma con la rete.

La Programmazione

Avendo come competitors le reti “giovani” Italia1 e Canale5 come organizzare il palinsesto?
Lunedì: per sopravvivere di fronte alla programmazione di Rai1 e Canale5 ecco il ricorso alla controprogrammazione con il genere comico popolare, 2 i titoli Made In Sud – Stasera Tutto è possibile. Le chiavi per rilanciare questi programmi sono state diverse. Innanzitutto la scoperta e l’affermazione del conduttore Stefano De Martino, a cui, secondo me, bisognerebbe fare un contratto di esclusiva. In secondo luogo la nuova riscrittura che la sua presenza ha reso possibile accentuando ritmo, musicalità anche all’interno di format consolidati e riconosciuti. Tutto questo ha prodotto, al lunedì, contro la programmazione di Canale5, ottimi risultati sia in termini quantitativi che in termini qualitativi.

Martedì: non controprogrammazione, ma programmazione con 3 produzioni fondamentali – The Voice of Italy, Il Collegio, Pechino Express – che hanno contribuito in modo decisivo al posizionamento della rete e hanno permesso di raggiungere target straordinari e irrinunciabili per il mercato pubblicitario. Anche in questo caso la messa in onda è stata preceduta da un’importante lavoro editoriale che tenesse conto di un restyling con un decisivo lavoro sul casting e una inedita impaginazione all’altezza di quanto viene realizzato da tutte le piattaforme internazionali.

Mercoledì: giorno della fiction italiana che ha avuto come punti fermi La Porta Rossa, Rocco Schiavone e Volevo Fare la Rockstar. Per quel che riguarda le prime due serie è stato di fondamentale importanza la programmazione delle stagioni precedenti sia per fidelizzare il pubblico, che per promuovere un asset fondamentale dell’Azienda. L’ultima serie è l’esperimento più interessante perché raggiunge i target prefissati dalla rete e, soprattutto, perché lavora su un target femminile importante per controprogrammare le partite di calcio. Anche questo giorno è un giorno di programmazione.

Giovedì: il giovedì, specie in riferimento al target giovanile, era occupato sino all’ottobre scorso, da Le Iene, che vantano uno zoccolo durissimo di fans. Le Iene è il manifesto di Italia1: una fusione riuscitissima di comicità irriverente, populismo, infotainment. Di fronte a questo prodotto ho pensato ad un programma che non potendo concorrere sullo stesso target, si riferisse a una fascia generazionale precisa: 40-50 anni. Maledetti Amici Miei è tutto quello che Le Iene non sono. Vuol essere un varietà classico di sevizio pubblico fondato sul tema dell’amicizia e sulla storia del paese attraverso il cinema. Nel bene e nel male Maledetti Amici Miei è diventato un programma di culto. E’ un programma con un’audience bassa, ma con un altissimo indice di gradimento. Seguirà a febbraio Arbore con un programma che scherza e gioca su Sanremo, a marzo una serie di One Man Show di Enrico Brignano, ad aprile ancora Arbore e Salemme per omaggiare il talento di Renato Carosone. Insomma il giovedì è il giorno della quality tv e della sperimentazione.

Venerdì: è il giorno irrisolto della rete, il giorno più critico del mio palinsesto, dove ho avuto a disposizione solo serie già consumate, sfruttate. Una rete non può rivolgersi ad un pubblico giovane senza serie di livello, contemporanee, come quelle prodotte dalle OTT. Ho un target giovanile, come obiettivo, quindi non posso avvicinarmi ad un giovane offrendogli anziché uno smartphone, un “Motorola” di prima generazione. Nella lotta per la sopravvivenza delle reti generaliste il budget è concentrato sulle reti ammiraglie e sta alle reti minori inventarsi alternative. Ad esempio, ho tentato di diversificare la proposta seriale di Rai2 con un prodotto chiave delle OTT. La casa de papel non era ancora diventata un successo planetario e già Alex Pina stava scrivendo El Embarcadero, la nuova serie destinata ad aggiungere un altro capitolo alla “complex tv” di matrice europea. In questa evoluzione qualitativa della serialità, le storie lineari sono diventate sempre più ricche, hanno acquisito profondità. La terza dimensione, lo scarto, è la variabile che non solo nutre lo sviluppo delle trame, ma le rende sempre portatrici di un inquieto sentire, di quell’instabilità che caratterizza il flusso della contemporaneità, sociale e individuale. La Direzione Generale invita a programmare di venerdì l’informazione, di cui scriverò tra poco. Io invece ritengo che per ottenere risultati immediati sia più semplice programmare nei mesi di maggior concentrazione pubblicitaria, programmi che ibridano reality, talent, infotainment o acquistare contenuti di fiction capaci di ottenere target ricercati dalla pubblicità.

Sabato: è un giorno ormai consolidato da anni di programmazione di serialità americana. Ritengo sia importante confermare questo punto fermo della rete, ma che sia indispensabile scegliere per questo slot titoli che aprano nuove prospettive e che siano in grado di assicurare un futuro ad una programmazione che, se si limita a ricalcare le scelte del passato, rischia di diventare asfittica. 2 ottimi esempi a riguardo sono F.B.I e The Good Doctor.

Domenica: è il giorno targato Fabio Fazio con Che tempo Che fa, il programma che negli anni è diventato un rituale mediatico. Il cambio di canale già nella Stagione autunnale ha assunto un valore specifico in quanto ha rappresentato la rifondazione di Rai2 come Rete di servizio pubblico. Il programma deve svolgere per la rete un inedito ruolo di cerniera tra una settimana e l’altra, tra i generi e soprattutto tra le generazioni. Mantenendo la propria esemplare linearità Che tempo Che fa aggiorna e sviluppa continuamente gli ambiti consueti dell’informazione, dell’approfondimento e dell’intrattenimento. Questo Prime Time conclude una giornata completamente caratterizzata dal Servizio Pubblico con produzioni originali e restyling di classici della rete. Si parte al mattino con le rubriche religiose per arrivare al pranzo con due nuovi programmi, il riuscitissimo In Viaggio con Marcello che esplora l’enogastronomia e il territorio con un sapiente uso delle Teche, e un esperimento prodotto da Rai Sport condotto da Simona Ventura. Al progetto iniziale che puntava sulla centralità del calcio è seguito una nuova versione che gioca sulla specularità della settimana calcistica con quella televisiva. Il pomeriggio prosegue con Quelli che il Calcio, un marchio storico completamente rinnovato in chiave satirica e spettacolare, e le rubriche sportive. Insomma, nella giornata della domenica non c’è un solo programma d’acquisto, ma tutto è autoprodotto made in Italy.

Il lavoro svolto quest’anno mi ha permesso di mettere a fuoco una serie di considerazioni che derivano da specifici esperimenti realizzati non al chiuso di un laboratorio teorico, ma sul campo aperto del lavoro mediatico.

L’adolescenza e i giovani

Dai primi giorni del mio incarico come Direttore di Rai2 ho avuto – da parte dell’Azienda – un mandato preciso e un obiettivo chiaro: riposizionare la rete nel panorama complessivo dell’offerta televisiva e dell’offerta OTT incrementando l’audience del pubblico giovane. Il lavoro fatto dal primo giorno su programmi come Il Collegio, Made In Sud, The Voice mi ha permesso di raggiungere il target teen, fasce pregiate, inedite per il Servizio Pubblico e di impostare il lavoro per l’Autunno. I Target di ascolti sono sempre una conseguenza. Non possiamo pensare prima al target, altrimenti facciamo la tv commerciale. Noi siamo servizio pubblico.

Rai2 è stata utilizzata come esempio emblematico della nuova Media company. Il cambiamento è già stato avviato in questi mesi e continuerà con la riorganizzazione messa in piedi dal Piano Industriale 19-21 affinché sia sempre più la rete aperta alla convergenza tra i media digitali, facendo da ponte tra tv e radio e tra on air e on line e, soprattutto, coinvolgendo il pubblico più giovane: “È un Piano Industriale che guarda ai giovani, esaltando la visione multipiattaforma” Alla luce di questo ho pensato di impaginare in modo originale una parte importante del Palinsesto Autunnale di Rai2 in un’unica storia: l’adolescenza e i giovani. In tre tasselli un unico storytelling.

La triangolazione perfetta

Il Collegio, il docureality entertainment che si è imposto come uno dei titoli più rappresentativi della rete. Una storia di successo che ha prodotto risultati di grandi rilievo in termini di popolarità e gradimento di pubblico e critica, di rivoluzione del linguaggio, di appeal sui social network, di capacità di parlare al nostro pubblico di riferimento. Ambientato ad hoc negli anni Ottanta, con il suo immaginario caratterizzato dal cosiddetto “riflusso”, ha sfruttato al massimo le potenzialità narrative del progetto e la sua natura di esperimento sociale.

Volevo fare la rockstar la serie di fiction italiana che vince la scommessa della declinazione dramedy e di una nuova proposta narrativa. Il titolo, interpretato da Valentina Bellè e Giuseppe Battiston, ambientato in un inedito Friuli, si apre alla fruizione di un pubblico family. Ispirata al blog di una ragazza oggi trentenne – la fiction racconta le tragicomiche avventure di chi oggi ha una sola scelta: adattarsi. I protagonisti di questa serie sono anti eroi, caratterizzati più dalle loro debolezze e nevrosi (sono nevrotici persino i sogni in questa serie) che dagli obiettivi elevati e dai buoni sentimenti degli eroi borghesi. Una serie che racconta il riso amaro italiano: i poveri, gli amori assurdi, le difficoltà della vita in provincia, le situazioni scorrette.

#Ragazzicontro il docu-reality originale, tutto Made In Rai condotto da Daniele Piervincenzi, uno dei volti emergenti su cui abbiamo puntato per aumentare l’impatto della rete sul pubblico d’elezione. Un documentario che fa emergere senza retorica, ma in modo molto forte le contraddizioni dei ragazzi. Gli autori e il conduttore vivono nelle scuole per una settimana, e insieme ai ragazzi affrontano una specie di psicoanalisi in cui emergono i problemi dell’adolescenza, i tic del nostro tempo. #Ragazzicontro è la scuola, un luogo dove si riuniscono diversi tipi di ragazze e ragazzi che hanno mille problemi. Il programma diventa una specie di diario: un racconto inedito, a metà strada tra il docureality e il talk. Un vero e proprio esperimento sociale che coinvolge gli studenti di sei scuole italiane, chiamati a discutere, analizzare e raccontare in prima persona le speranze e le paure dell’età adolescenziale, attraverso alcuni temi chiave come il bullismo, l’esclusione, la diversità, la disabilità, la sessualità, il cyberbullismo e la violenza del branco.

Questo programma fa una triangolazione perfetta con Il Collegio e Volevo fare la rockstar. Insieme danzano nel palinsesto di Rai2 e interagiscono fra loro, come se fosse un unico programma con tre diverse declinazioni: Il Collegio è un reality, è un talent, fa parte del dna della tv generalista di oggi, Volevo fare la Rockstar è una fiction family, #Ragazzicontro è una scommessa totale, è una cosa più intima e riservata (viene programmato in seconda serata perché mi interessa passare dalla fiction family alla realtà della scuola). Il tema teens è stato centrale durante tutto l’anno attraverso una serie di scelte precise e mirate su questo specifico target sperimentando e contaminando i linguaggi. Un esempio sicuramente riuscito è quella della docu e della musica proposto nella programmazione in varie occasioni. Ne citiamo due particolarmente rilevanti: il concerto di Guè Pequeno che ha chiamato a raccolta il meglio della scena rap e il film doc Volare, prodotto da Michele Santoro, che si è “sporcato le mani” raccontando la miscela esplosiva dei ritmi trap e delle periferie italiane.

Carlo Freccero

Si chiude qui la prima parte del bilancio di Carlo Freccero del suo anno alla direzione di Rai2, appuntamento a domani per la seconda parte.

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