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Di cosa parliamo quando parliamo di fiction italiana /3

Ho quarantanni non mi manca niente, ho un marito che dice di volermi bene, un figlio che non mi dà problemi, una suocera che pensa a tutto eppure, quando guardo fuori dalla finestra e vedo gli alberi…. tutto quello che desidero è impiccarmi a quello più alto! Eppure so cosa dovrei fare, dovrei trovare il

18 Luglio 2008 10:54

Amiche mie

Ho quarantanni non mi manca niente, ho un marito che dice di volermi bene, un figlio che non mi dà problemi, una suocera che pensa a tutto eppure, quando guardo fuori dalla finestra e vedo gli alberi…. tutto quello che desidero è impiccarmi a quello più alto! Eppure so cosa dovrei fare, dovrei trovare il coraggio di cambiare.

Questo è il testo della voice over che aprirà il primo episodio di Amiche mie, come ci è stato annunciato da Cristiana Farina, sceneggiatrice (o forse possiamo dire produttore creativo?). E proprio Cristiana è intervenuta, a più riprese, su TvBlog per parlare dello stato dell’arte della fiction italiana. E proprio su quel coraggio di cambiare, ecco cosa ci dice Cristiana, in un intervento che parla del modello produttivo americano, delle sigle, del coraggio, appunto. Quello che troppo spesso sembra mancare ai network e della cui assenza si dà, troppo spesso, la colpa agli autori. Il dibattito continua e continuerà. (Primo e secondo capitolo)

Il coraggio di cambiare! Per quanto riguarda il cambiamento della fiction italiana ritengo che il passo da compiere sia più semplice di quanto si è abituati a credere. Bisogna sì, guardare oltreoceano o nella più vicina Spagna, non per acquistare le idee però, ma solo il modello produttivo!

Infatti è quest’ultimo che fa la differenza nella realizzazione di un’idea pensata per una lunga serie televisiva. I famosi ‘format’ tanto ambiti dai produttori e dalle emittenti, non sono altro che un’idea applicata. I cesaroni ad esempio si fondano su un’idea molto semplice (tra l’altro, per ammissione degli stessi sceneggiatori spagnoli, ispirata alla commedia all’italiana) quello che in spagna li ha resi un prodotto di successo a mio avviso è la ricetta produttiva con cui vengono realizzati, ricetta ispirata alla produzione industriale americana.

Gli steps che gli americani seguono per realizzare una fiction sono i seguenti:
– L’ideatore propone al broadcast la propria idea (poche pagine), quest’ultimo decide di farne un pilota.
– L’ideatore insieme al broadcast decide il cast artistico e realizza il pilota.
– Esaminato il primo episodio della serie si decide se entrare in produzione.

Se sì l’ideatore mette in piedi la propria squadra di sceneggiatori e sotto la sua supervisione iniziano a scrivere gli episodi successivi. In gergo si dice che ogni serie ha un franchising preciso (ogni singolo elemento che lo caratterizza è ben presente nella testa dell’ideatore ed ogni episodio successivo al primo ne tiene conto) il franchising può essere già individuato nella sigla. Ad esempio negli states sono in onda decine di polizieschi, ma ognuno di loro si differenzia in maniera precisa e questo viene subito raccontato nella sigla: in CSI vediamo microscopi, laboratori, elementi scientifici; in The Shield, la squadra, la strada, le botte, il machismo e le gangs; in The Closer, una donna, le indagini, gli interrogatori; in Criminal Minds elementi che ci riconducono ai serial killers, etc.

Ognuna di queste serie appartiene allo stesso genere ma si differenzia dalle altre in maniera precisa.

– Scritti i primi tre episodi si inizia la produzione del primo.
– scritti cinque/sei episodi si va in onda con il primo.

Essendo una serie da cinquanta minuti lunga in media dai 18 ai 24 ep si fa in tempo ad aggiustare il tiro in funzione del gradimento del pubblico durante la messa in onda.

Questo a mio avviso fa la grande differenza. Scrivere mentre si produce, girare episodio dopo episodio (in cui ogni singolo scrittore è responsabile di ciò che ha realizzato) permette di avere un controllo preciso su ogni singola emozione. La continuità e la tensione che tiene insieme l’equilibrio di una puntata è gestita con maggior semplicità. Tutto è più armonioso, misurato, efficace, proprio per questo si può osare di più!

In Italia invece continuiamo a girare serie televisive (anche quelle tratte da idee originali, purtroppo!) come se fossero dei lunghi films, dividendo i tempi della scrittura da quelli della produzione e da quelli della messa in onda: preistorico!

Con il piano di lavorazione che prevede giorni in cui lo stesso attore deve girare scene tratte dal primo del quarto e dall’ultimo episodio.

Per concludere voglio dire che a mio avviso i produttori italiani più che andare a rubare le idee degli altri dovrebbero studiarne i sistemi produttivi. In Italia lo abbiamo fatto con le soap e siamo riusciti ad aprire un mercato. Perché non applicare il fortunato esempio anche su generi più ambiziosi?

Il timone della lunga serie televisiva a modello industriale deve essere dato in mano allo scrittore che, in veste di produttore creativo, (in america direbbero executive producer ma qui ha un altro senso) è responsabile della messa in scena di tutto ciò che scrive, anche a livello economico. In questo modo non ci saranno mai amputazioni giustificate da quell’orrida frase: quella scena l’abbiamo dovuta tagliare…. costava troppo.

Tale modello produttivo a mio avviso riduce i rischi economici, perchè se una serie va male si può interrompere la produzione e non buttare dalla finestra milioni di euro per un girato che nessuno vedrà mai, e inoltre, favorisce l’avvicendamento di più idee.

In America questo sistema alimenta un mercato da oltre trenta anni, gli spagnoli e gli argentini lo hanno capito, speriamo che anche ‘i nostri’ trovino: il coraggio di cambiare!