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Di cosa parliamo quando parliamo di fiction italiana

Cari lettori, come sapete il nostro TvBlog è molto seguito anche dagli addetti ai lavori. Sperando di fare a lettori e addetti cosa gradita, approfittando del nostro seguito e del Roma Fiction Fest, ho cercato di instaurare un rapporto privilegiato – per noi e per voi – con gli sceneggiatori italiani, ben sapendo che dietro

14 Luglio 2008 13:12

Romanzo Criminale Cari lettori, come sapete il nostro TvBlog è molto seguito anche dagli addetti ai lavori. Sperando di fare a lettori e addetti cosa gradita, approfittando del nostro seguito e del Roma Fiction Fest, ho cercato di instaurare un rapporto privilegiato – per noi e per voi – con gli sceneggiatori italiani, ben sapendo che dietro a quei nomi che molti dimenticano o non leggono nei titoli di testa – o magari nei tagliatissimi titolo di coda – ci sono ottimi professionisti. Approfittando della presentazione di Cachemere Mafia, che ha una serie di caratteristiche tali da renderlo un caso emblematico – ben fatto, ma flop in America, e poi comprato per la televisione generalista italiana – ho cercato di costruire un piccolo dibattito sullo stato dell’arte della fiction in Italia. Per non lasciarlo fra i commenti, ve lo ripropongo, nel nostro Di cosa parliamo quando parliamo di televisione.

Il primo intervento è degli sceneggatori – fra l’altro – dell’atteso Romanzo Criminale, Barbara Petronio e Leonardo Valenti. Ecco il loro punto di vista.

Il buon Malaparte ci ha invitato ad intervenire e lo facciamo volentieri. Per chi non lo sapesse (la maggior parte dei bloggers) siamo Barbara Petronio e Leonardo Valenti, ex sceneggiatori di RIS – Delitti imperfetti (fino alla 4 stagione) e Distretto di Polizia (fino alla 6 stagione) ed ora tornati in pista con Romanzo Criminale – la serie.

E’ difficile tracciare uno stato dell’arte della fiction italiana, proprio perché una delle arti che la compongono, ovvero la scrittura, continua ad essere poco considerata e valorizzata. Lo dimostra il continuo ricorrere ad idee acquistate da fuori e soprattutto il rapporto con i network generalisti, poco inclini a lasciare spazio alla voce degli scrittori.

Sì perché, che vi piaccia o meno, gli sceneggiatori sono scrittori, al pari dei romanzieri. Abbiamo tecniche diverse, ma il materiale di partenza, le idee, rimane lo stesso.

Vi immaginate se Faletti fosse costretto a riscrivere un romanzo di King “ma stando attento a non metterci troppo horror chè poi non vende abbastanza?”. O se Camilleri fosse incatenato a riadattare un legal di John Grisham “mettendoci però un po’ di sapore italiano?”. O peggio ancora se un editore si mettesse a dire a Baricco quale sarà l’argomento del suo prossimo libro, indicandogli pagina per pagina come dovrebbe scriverlo, persino lo stile da usare?
Eh già, la situazione della scrittura televisiva italiana è questa.

Malaparte dice, giustamente, che in America la Farina avrebbe il titolo created by. Sì, perchè lì dove le cose funzionano, lì dove il mercato e i profitti comandano, lo scrittore, primo movens di qualsiasi progetto, ha la giusta centralità.

Centralità non è solo un titolo, è assunzione di responsabilità. In Italia gli sceneggiatori sono deresponsabilizzati, perché “o ci pensa il network o il produttore a far funzionare le cose”. I risultati di questo sistema di gestione si vedono in onda quotidianamente. E si vedono anche al Roma Fiction Fest.

Gli sceneggiatori si barcamenano per far quadrare tutto, richieste del network, del produttore. Sono tappabuchi di una nave in costante pericolo di affondamento.

E in questo panorama aspirare ad avvicinarci alle industrie che funzionano (non c’è mica solo l’America, guardate la Spagna e l’Argentina solo per fare altri esempi) risulta difficile, se non impossibile.

Ora tutti sperano nel satellite, in Sky, in Fox. Probabilmente ci saranno dei passi in avanti, Romanzo Criminale dovrebbe già esserlo, ma sarà, per ora, poca cosa rispetto al monte ore di fiction prodotto da Rai e Mediaset.

Ma qui è il sistema ad essere viziato. Finché gli sceneggiatori non saranno responsabilizzati veramente, finché non diventeranno centrali nell’industria, finché noi stessi autori non saremo costretti a spremerci per avere un’idea di serie competitiva e continueremo ad adattare solo format presi dall’estero o ad accroccare una vaga idea nata tra una veloce discussione tra un produttore e il network, la tv italiana non avrà chance.

Qualcuno ci chiederà, e perché continuate a fare questo mestiere? Devo dire che il nostro è un caso particolare. L’audacia non ci è mai mancata ma la fortuna ci ha aiutati. Abbiamo avuto una progressione ed una crescita costanti e il destino ce lo ha permesso.

Ma ora è il momento di fare delle scelte. Noi ci siamo fatti una nostra linea guida: lavorare solo su cose che ci stimolino e che ci permettano di dire che continuiamo a migliorare la nostra scrittura.
Ci auguriamo che lo facciano anche altri colleghi.

Perchè solo noi scrittori, uniti tutti assieme, possiamo farci interpreti del malcontento di questa nuova generazione di telespettatori e promotori di un rinnovamento della tv italiana.

N.B. per essere chiari non siamo aprioristicamente contrari ad adattare i format esteri. Lo abbiamo fatto anche noi (uno di prossima uscita per il satellite molto interessante, tra l’altro). Ma pensiamo che dovrebbero costituire una minima parte del palinsesto italiano.