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Il Boss delle Cerimonie: chi l’ha visto tra gli ospiti di Tv Talk?

Il regista Raffaele Brunetti ha cercato di difendere il programma, ma contro di lui si è schierato l’intero parterre di ospiti. L’impressione, però, è che nessuno di loro abbia visto lo show…

pubblicato 25 Gennaio 2014 aggiornato 3 Settembre 2020 09:04

Il Boss delle Cerimonie continua a tenere banco e non solo sul web: Tv Talk ha cercato una sintesi tra le posizioni dei pro e dei contro e ha invitato a parlarne l’ideatore e regista Raffaele Brunetti, che ricordiamo essere campano, e Federico Arienzo, consigliere PD della Seconda Municipalità di Napoli (che comprende le zone Avvocata, Montecalvario, Mercato, Pendino, Porto, S. Giuseppe, per chi conosce la città) che per primo si è scagliato contro il programma aprendo un gruppo su FB chiedendone la sospensione e il boicottaggio per l’immagine stereotipata di Napoli e della sua tradizione.

Il faccia a faccia si è però trasformato rapidamente in un uno contro tutti, con il solo Bernardini a sostenere il regista che si è sentito persino dire da Maddalena Crippa, ospite muta della puntata, che la confezione del programma è di bassissima qualità, roba “che chiunque potrebbe realizzare”. Un’affermazione tranchante che persino lo studio ‘ostile’ al regista del Boss ha censurato e che ci domandiamo da dove provenga. Probabilmente solo dal servizio con cui TvTalk ha introdotto l’argomento. Quindi dal solo minuto di sintesi offerto, molto bene, dalla redazione.

Già, ma di cosa stiamo parlando?
Si parte da Arienzo, che ribadisce davanti alle telecamere che

“ho visto il promo e sentir parlare di tradizioni napoletane e tipico matrimonio napoletano non risponde al vero. Penso che il programma sia il racconto di uno spaccato sociale che si trova in un qualsiasi agglomerato che supera il milione di abitanti. Sono sicuro ci siano scene del genere anche nei matrimoni di Roma, Milano… Non voglio neanche fare un’operazione di snobismo….”

ma ci auguriamo che dopo il promo abbia visto anche qualcos’altro. Nel frattempo ve lo mostriamo.

Arienzo afferma inoltre di non aver mai sentito parlare prima de La Sonrisa:

“Io non conoscevo questo posto. Sono andato a fare delle ricerche su Internet e ho visto che nel 2011 è stato sequestrato perché abusivo, che don Antonio Polese è stato rinviato a giudizio per favoreggiamento…”

e degli aspetti legali e dei vari casi giudiziari che insistono sulla proprietà e la famiglia ci siamo occupati anche noi. A dirla tutta mi stranisce che ci sia ancora qualcuno di Napoli e dintorni che non conosca La Sonrisa e la sua storia, dopo 30 anni di Napoli prima e dopo su Rai 1, dopo decine di servizi sui matrimoni kitsch de La Vita in Diretta e analoghi, dopo Reality di Matteo Garrone e, se non bastasse, dopo aver visto e rivisto il megapannello pubblicitario che troneggia all’ingresso dell’A3 Na-RC da qualche decina d’anni. Boh, sarà che io non sono mai riuscita a evitarlo….

Ma Arienzo contesta anche la scelta superficiale e offensiva del titolo:

“Io che ho un percorso di associativismo con i ragazzi dei quartieri vedo un titolo con ‘il Boss’ e mi chiedo il perché. Real Time mi risponde che rientra in un filone di programmi e che c’è anche il Boss delle Torte. Ma quello è ambientato in America e magari lì ha un’altra connotazione, magari punta sul concetto di leadership”.

Evidentemente Arienzo non segue troppo i programmi di Real Time e non sa che la connotazione del titolo, peraltro calcato da quello originale (Cake Boss), evoca tutta la cultura della famiglia italo-americana, con anelloni e catenone al collo. L’italiano ‘mafioso’ insomma. Proprio quel Boss che non piace ad Arienzo. Ma evidentemente non ha mai avuto modo di vederlo né in tv né sul web.

Ma torniamo a Tv Talk. Nonostante gli sforzi di Bernardini, il regista de Il Boss ha potuto dire poco se non

“Non pretendiamo di raccontare tutta Napoli e tanto meno la napoletanità. Del resto come si fa a raccontare la complessità di una città come Napoli…”

Ma viene subito interrotto da Marisa Laurito:

“E perché non avete mostrato i matrimoni al Monastero di Santa Chiara? Bisogna prendere posizione su queste cose. La tv quanto meno non dovrebbe diseducare. E intanto questo programma parla di una Napoli molto limitata, di una sola faccia di Napoli, di una Napoli che non accettiamo, fatta di quel pubblico che si è abbrutito guardando la tv”.

Beh, a parte notare che il Monastero di Santa Chiara non è una location per ricevimenti (errata corrige: ha una sala per ricevimenti; si può proporre per una seconda stagione) che alla cerimonia religiosa il programma non dedica che un fotogramma (a mio avviso nel rispetto del sacramento), mi sembra sempre più evidente che il tutto ruoti intorno alla ‘Napoli’ che non accetta un’altra parte di Napoli.

Brunetti cerca ancora una volta di ‘difendere’ il proprio lavoro:

“Noi abbiamo raccontato una realtà che c’è, che è lì e che ha diritto di essere raccontata…”

e al “Perché?” che viene spontaneo dagli ospiti, Brunetti risponde col più classico dei

“E perché no? E’ tipico dell’ironia e dell’autoironia del popolo napoletano. E’ vero che molti hanno aderito al sito di Arienzo, ma è anche vero che gli ascolti sono stati alti e che sono molti i napoletani e i campani che commentano e seguono con ironia il programma”.

Ecco, l’ironia, altro punto discusso da chi è pro e chi è contro. Riccardo Bocca, critico dell’Espresso, è molto duro con Brunetti su questo punto

“Quel che mi ha ha dato fastidio è il tono totalmente esente di ironia e fintamente empatico del programma. Penso alla renna luminosa sul tavolo degli sposi. Se lei vuol far passare il programma come una rappresentazione ironica, sta dicendo il falso…”.

Ah però. Evidentemente Bocca ha visto il programma senza audio. Forse non ha percepito gli effetti sonori e non ha colto certi aspetti del montaggio, certe scelte, certi modi di indugiare sulle espressioni dei protagonisti. O forse sbaglio io, presumendo di averli colti. Anzi ho presunto anche che l’intenzione del programma non fosse quella di giudicare ma di mostrare, come ho già avuto ampiamente modo di sostenere. Di certo Bocca mostra di non apprezza la chiave favolistica che il regista oppone alla sua osservazione.

“Non capisco questo atteggiamento censorio verso un modo di raccontare il modo in cui la gente sceglie di festeggiare”

reagisce Brunetti, che consiglia di ascoltare la sigla scelta per il programma, ‘Nu matrimonio napoletano, per avere una prova dell’autoironia dei napoletani. Un brano ormai celeberrimo e cavallo di battaglia del neomelodico Daniele Bianco. Sì, proprio quel Daniele Bianco che qualche giorno fa era a La Vita in Diretta nel ruolo di giudice di “‘A voce”, parodia di The Voice. Ma forse Arienzo non ne sa nulla e probabilmente ora chiederà anche la sospensione de La Vita in diretta.

“Ritenere che i telespettatori siano così immaturi da voler chiudere un programma vuol dire avere una considerazione dei telespettatori molto bassa, soprattutto quando sono tanti. E se questi matrimoni fanno così paura vuol dire che c’era bisogno di parlarne”

chiosa il regista. Non so se ce ne fosse bisogno, ma tocca un nervo scoperto, che non fa altro che alimentare dei pregiudizi, a mio avviso. La partita è ancora aperta. Ma mi spiace aver avuto la sensazione che nessuno degli ospiti presenti a Tv Talk avesse davvero visto il programma. Voi che ne dite?

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