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Storie Maledette, Franca Leosini a TvBlog: “Racconto i delitti senza giudizi né pregiudizi”

TvBlog intervista Franca Leosini, autrice e conduttrice di Storie Maledette, programma cult per gli amanti del noir, da 20 anni in onda su Raitre.

pubblicato 13 Settembre 2013 aggiornato 3 Settembre 2020 14:33

A partire da domani, in seconda serata su Raitre, torna l’atteso appuntamento con Storie maledette, programma cult per gli appassionati del noir. Ideatrice, autrice e conduttrice è Franca Leosini, Signora del giornalismo d’inchiesta della Rai, che negli ultimi venticinque anni ha portato in televisione trasmissioni che hanno fatto storia e che sono state le apripista del genere crime. TvBlog ha avuto il piacere di intervistarla e, come potrete constatare voi stessi, la giornalista si è prestata con grande generosità.

Quasi 20 anni di Storie Maledette e sempre lo stesso successo di pubblico. Cosa dobbiamo aspettarci quest’anno?

Quest’anno c’è un piccolo ritocco, nel senso che ci saranno più spezzoni filmati. Il motivo è che la televisione è fatta soprattutto di immagini e comunque ci sono delle storie, in particolare storie forti come quelle di questa stagione, che vanno proprio raffigurate, che hanno bisogno di una presenza maggiore di schegge di immagini, di fiction. Questa nuova serie è molto forte e sarà incentrata sul personaggio femminile, che sia vittima o colpevole. Nella prima puntata, ad esempio, che ha un titolo che è volutamente un ossimoro – “L’ho ucciso, sono innocente” – mi occuperò di un caso che ha fatto giurisprudenza, quello di Luciana Cristallo, processata per l’omicidio dell’ex marito. Un caso che ha fatto giurisprudenza, come dicevo, perché è la prima volta nella storia della giustizia italiana che una persona, pur avendo ucciso, viene assolta in quanto ha agito per legittima difesa, senza che però ci siano stati testimoni.

Quali sono le caratteristiche principali della sua trasmissione?

Io frequento tre verbi: capire, dubitare, raccontare. Ma innanzitutto capire: i miei protagonisti non sono mai professionisti del crimine, ma persone comuni che a un certo punto della vita cadono nel buio, nel baratro di una storia maledetta. Gente nella cui coscienza si è spalancato il vuoto, e in quel vuoto sono cadute, senza essere dei criminali. Capire non vuol dire giustificare: i delitti non si giustificano mai, però si interpretano. Storie maledette non è una semplice intervista, è una struttura narrativa, è un percorso nella vita, nella psicologia, nel percorso giudiziario. Inoltre mi avvicino a queste persone con un rispetto infinito, senza giudizio e senza pregiudizio. Poi parlo di storie che non sono mai state trattate prima in altre trasmissioni, e che non vengono neanche trattate dopo. E ancora, io non baro mai, non invento, non faccio sensazionalismi. Questi sono gli elementi caratterizzanti di Storie maledette.

Come sceglie le storie da affrontare e le persone da incontrare?

In generale le scelgo per tematiche. Però per me conta moltissimo la forza della storia e anche la forza del personaggio. Mi è accaduto, ad esempio, in serie precedenti, di voler incontrare dei personaggi con una storia molto forte, ma quando poi li ho incontrati in carcere mi sono resa conto che non erano in grado di esprimersi, non tanto per una questione di linguaggio, quanto per una povertà interiore. In quei casi rinuncio.

C’è un delitto o una vicenda giudiziaria, tra quelle degli ultimi anni, che non ha ancora trattato e che le piacerebbe conoscere da vicino?

Ce ne sono tante, tra quelle che hanno però già concluso il secondo se non il terzo grado di giudizio, e che abbiano quindi un percorso giudiziario concluso. Storie del passato anche, in particolare una, quella di un magistrato di Cassazione che aveva un’amante e ne ha ucciso il marito, pure lui magistrato, perchè non voleva rinunciare a lei. Ho anche incontrato questo giudice, ma lui ha preferito sottrarsi e non comparire in video.

Storie Maledette – Franca Leosini – Intervista: seconda parte

E c’è invece una delle storie che ha raccontato che le è rimasta particolarmente impressa?

Non una in particolare. Ma ce ne sono certamente alcune che hanno fatto storia, ad esempio quella del “collezionista di anoressiche” o la storia di Mary Patrizio, che io ho intervistato nel carcere di Castiglione delle Stiviere. Sono stata la prima a entrare in quel carcere e a raccontare il dramma di queste madri che uccidono i loro bambini. In quest’ultimo caso credo di aver restituito la vita a questa ragazza, perché dopo la trasmissione in tanti hanno capito il dramma di questa mamma, stravolta dalla depressione post partum.

Nei suoi racconti lei è sempre molto misurata, quasi distaccata direi, nel senso che non si lascia mai andare a dei giudizi netti. È così?

Cerco sempre di non far capire cosa penso veramente della storia che sto raccontando. Se si capisse sarebbe un giudizio. E io non ho gli strumenti necessari per giudicare. C’è sempre una verità processuale da cui io devo partire e a cui io faccio riferimento, e da lì cerco di non distaccarmi e di non far discostare chi ho di fronte. Devo essere sempre preparata sui dettagli, ma anche sul senso profondo della storia.

Le è mai capitato, alla fine di uno dei suoi incontri, di convincersi dell’innocenza – non accertata in giudizio – di uno dei suoi intervistati?

Mi è capitato più di una volta. E per alcuni di questi casi mi sto ancora battendo perché ci sia la revisione del processo. Uno di questi, per cui purtroppo non ho fatto in tempo, è il caso di Michele Perruzza, che ho trattato sia a Storie maledette che a Ombre sul giallo. Proprio in occasione di quest’ultima trasmissione Michele è morto, senza riuscire a dimostrare la propria innocenza, sulla quale io metto la mano sul fuoco. E ci sono poi altri casi, come quello di Bruno Lorandi, assolto vent’anni prima per l’omicidio del figlio e condannato poi per quello della moglie. Anche per lui sono certa dell’innocenza. Così come per Gianfranco Cherubini, condannato all’ergastolo con l’accusa di aver ucciso la moglie sordomuta. I magistrati sono degli uomini e possono sbagliare, come tutti.

Da cosa nasce questa sua passione per la cronaca e per le vicende e le carte processuali?

Sono sempre stata una lettrice onnivora, ma non sono mai stata una lettrice del giallo per il giallo. Ho cominciato ad appassionarmi al noir quando sono stata chiamata come autrice di Telefono Giallo, insieme ad altri giornalisti, in un periodo in cui seguivo per la carta stampata, come commentatrice, un importante processo a Napoli, quello sull’omicido della giornalista Anna Grimaldi. Mi sono appassionata quando mi sono resa conto che nel noir scorrono tutte le grandi passioni: vendette, rapporti genitori-figli, gelosie, rivalità, e così via. E poi mi sono appassionata non solo al giallo, ma in generale ai meccanismi della mente.

Mi è rimasta impressa la frase di una sua precedente intervista: Attraverso i delitti io racconto l’Italia. È davvero così?

Sì, è così. Racconto l’Italia perché la tipologia dei delitti cambia proprio da Nord a Sud. Prendiamo come esempio la violenza sulle donne: la maggior parte di questi delitti si svolgono al Nord perché lì la donna si è affrancata dall’uomo, è indipendente e in grado di scegliere per il destino della coppia, e all’uomo questo non sempre va giù. E al Nord questa emancipazione femminile è più forte. Al Sud, invece, hanno ancora radici profonde dei valori antichi che fanno sì che la donna sopporti di più, cerchi di tenere unita la famiglia.

Storie Maledette – Franca Leosini – Intervista: terza parte

Tra gli altri programmi che si occupano di delitti e misteri – dimenticando per un attimo Storie Maledette – ce n’è uno che invece le sarebbe piaciuto condurre?

Intanto non riesco proprio a dimenticare il mio programma (ride, ndr). Un programma che però ad esempio mi piace molto è Chi l’ha visto, è fatto bene e io sono una grande estimatrice di Federica Sciarelli.

Avrebbe ad esempio mai accettato di condurre un programma come Quarto Grado, se gliel’avessero proposto, dopo l’abbandono di Sottile?

È una domanda difficile, anche perché nel corso della mia carriera ho detto davvero tanti no alle proposte che mi sono state fatte. Diciamo che è un programma che avrei condotto, ma lo avrei impostato in un modo completamente diverso.

Nel corso degli anni l’attenzione del pubblico per i programmi cosiddetti crime, che affrontano comunque i delitti, grandi o piccoli di questo Paese, è notevolmente aumentata. Da cosa crede dipenda?

C’è un misto di tante cose: sono storie vere e spesso ci si appassiona ai personaggi. C’è poi un misto di identificazione, di interesse e anche di intelligenza, se me lo passi. Perché non è vero che le persone seguono solo per curiosità morbosa, a volte subentra anche una partecipazione corale a un evento che alla fine riguarda un po’ tutti. Abolirei l’espressione ‘curiosità morbosa’, perché a volte è meglio seguire certe trasmissioni piuttosto che certi filmacci che si vedono in televisione.

Per lei che ormai in un certo senso ci convive, per via del suo lavoro: ci si abitua mai al male?

No, non ci si abitua mai. Il male è una ferita che ti porti dentro e che non va mai via. Quando prima dicevamo del distacco che lascio trasparire durante le puntate, è tutto vero. Però ti faccio un esempio: quando ho finito l’incontro con Mary Patrizio, nel carcere di Castiglione delle Stiviere, ho messo la testa sul tavolo e ho pianto per un quarto d’ora.

Per chiudere e salutarci: lei che la televisione la fa, la guarda mai?

Certo che la guardo, non durante il giorno perché non ci sono mai, ma la sera la guardo. E la guardo con molta selezione. Seguo molto la politica, e quindi tutti i talk politici, anche programmi di altre reti. Guardo sempre Chi l’ha visto. E l’unica fiction che vedo è Montalbano, perché è di un livello davvero elevato, con una trasposizione perfetta dei racconti di Camilleri. Non sono tra quelli che per fare gli snob dicono “Ah, io non ho la televisione”. Chi non ha la televisione vive fuori dal mondo, come chi non usa internet. Sono strumenti che vanno usati con la testa, con intelligenza, ma che aprono un mondo. Si tratta di saper scegliere, di saper selezionare: c’è tanta buona televisione, ma c’è anche tanta brutta televisione. Usare il telecomando è davvero un dovere.