Home Fiction Rai impresentabili: lo dice Costanzo, regista di In Treatment. Castellitto contesta. Chi ha ragione?

Fiction Rai impresentabili: lo dice Costanzo, regista di In Treatment. Castellitto contesta. Chi ha ragione?

In Treatment debutta su Sky e si riapre il dibattito sulla fiction italiana tra ‘apocalittici’ alla Costanzo e ‘integrati’ alla Castellitto per il quale “non si può chiedere alla Rai di fare In Treatment”. Che ne pensate?

pubblicato 6 Aprile 2013 aggiornato 3 Settembre 2020 19:33

La Rai potrebbe produrre e realizzare In Treatment? Nulla lo vieta, o almeno nessuna legge ‘scritta’ lo impedisce. Eppure…

“La Rai, tranne rarissimi casi, fa fiction impresentabili. Fuori tono e fuori tempo. O cambia stile o come regista preferisco fare la fame”

così parlò Saverio Costanzo, regista di In Treatment, intervistato da Tv Talk. La serie targata Sky, trasposizione italiana del format nativo israeliano portato al successo dalla versione HBO con Gabriel Byrne, ha inevitabilmente riaperto il dibattito sulla fiction italiana, soprattutto quella Rai che Virzì definì una “camomilla per anziani” proprio nel programma di Bernardini.

Certo, il confronto tra il 1° aprile di Rai 1 e Sky Cinema è impietoso: mentre sul canale satellitare il dottor Giovanni Mari-Sergio Castellitto accoglieva la sua prima paziente, Kasia Smutniak, sull’ammiraglia di Viale Mazzini debuttava la coproduzione internazionale Barabba (o #barabbau, per gli amici). A fronte di 200 minuti di barocche ricostruzioni (para)storico-evangeliche, Sky Cinema rispondeva con 30 minuti di narrativa tv curata e ragionata, “il trionfo del piano d’ascolto, ancor più decisivo della parola per un attore” come spiega Sergio Castellitto, ferma e dinamica nello stesso tempo e capace di ibridare il formato soap (o meglio, sit-com) con un contenuto non propriamente ‘pop’, proponendo peraltro la scansione tipica dell’agenda dell’analista. Una bella serie di cortocircuiti che di certo ne fanno un prodotto sui generis, che per Castellitto ha una grande qualità, l’aver messo “grande fantasia nell’essere obbedienti al format” e che risponde a suo avviso a un desiderio,

“quello di appoggiare un orecchio al muro e di vedere cosa succede a quella persona, per capire se racconta qualcosa che riguarda anche la nostra vita. Per questo mi piace descrivere In Treatment come una finestra aperta e nello stesso tempo come una finestra in cui guardarsi”.

Niente di tanto diverso, insomma, a quel che si chiede a un prodotto di narrativa, non solo tv.

E aggiungerei che quando si parla di qualcosa, peraltro volendo alimentare un ‘dibattito’ analitico sarebbe preferibile non commettere certe ‘leggerezze’. Mi spiace, ma non si può lodare Castellitto per aver aver fatto “la grande fiction di RaiUno” e citare come esempio Ferrari e Padre Pio, realizzate per Canale 5.

Torniamo a noi.
Date le premesse d’apertura, dalla condanna di Costanzo alle riflessioni sulla sua serie, la domanda nasce spontanea: è ‘lecito volere’ (rivendicare, pretendere, a seconda…) un format in stile In Treatment sulla Rai? Costanzo ha ragione?

Risponde Castellitto:

“Penso che la provocazione di Costanzo sia troppo severa. Vado fiero dei film che ho fatto per la tv. Credo che il problema vero sia la scrittura: non si può chiedere alla Rai di fare in Treatment. Non gli si può chiedere in assoluto: esiste una televisione che si chiama generalista, che fa un certo tipo di prodotti. Qualcuno viene meglio, qualcuno viene meno bene…”.

Una posizione già espressa dall’attore. E a Sebastiano Pucciarelli, critico ‘fisso’ di Tv Talk che contesta la programmazione generalista di In Treatment in Argentina e in Quebec (paesi non proprio affini all’Italia per produzione fictional), Castellitto fa notare come

“in Argentina è maggiore la coloritura soap data alle storie rispetto alla nostra versione, che ha una classe più austera. Se poi vedete la versione israeliana ha qualcosa di più ‘furente’, più popolare che già nella versione HBO non c’era. Dipende anche da cosa proponi”.

Gli si può dare torto? Se volete, ovviamente sì…

“Non si può parlare della ‘Fiction Rai’ in ‘generale’, sennò è come parlare delle mezze stagioni”, aggiunge il prof. Simonelli. Ho pochi dubbi nell’affermare che non si possono considerare ‘equivalenti’ Il Commissario Montalbano e L’Isola (per quanto accomunati, incredibilmente, dalla stessa produzione), né si possono ‘confondere’ La Meglio Gioventù e Terra Ribelle. Sarebbe un po’ come chiedere a “chi ha fatto da Padre Pio a In Treatment” se ci potrà essere una ‘mediazione’ tra i ‘livelli’ rappresentati da questi due titoli, se potranno mai mischiarsi o saranno fatalmente ‘condannati’ alla separazione.
Quale potrà mai essere la risposta?

“Credo che rimarranno separati. Quello che si può chiedere alla tv generalista è di migliorare il più possibile la qualità della proposta, ma che va dentro un solco, che appartiene a quella tradizione perché c’è quell’audience, perché ci sono quegli spettatori e quant’altro. Ho visto delle cose in tv di grande garbo, come Tutti pazzi per amore”.

E Castellitto chiosa:

“Bisogna stare molto attenti allo snobismo”.

Che poi la qualità di certa fiction sia irritante credo che nessuno lo contesti, ma le generalizzazioni sono sempre discutibili. Voi che ne dite? Come vedete il panorama fictional italiano? So’ curiosa…

Rai 1