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Videocracy, come volevasi dimostrare: il documentario sulla tv censurato dalla tv

Ieri era nell’aria, ma avevo deciso di non scriverlo per evitare strumentalizzazioni aprioristiche. Oggi il caso di “Videocracy” è definitivamente scoppiato su tutti i giornali: il documentario di Erik Gandini sulla televisione sarà “censurato” dalla televisione. E’ incredibile come un’eventualità tanto assurda possa, invece, essere del tutto pronosticabile, in questo meraviglioso Paese ridotto a una

27 Agosto 2009 10:44

Videocracy Ieri era nell’aria, ma avevo deciso di non scriverlo per evitare strumentalizzazioni aprioristiche. Oggi il caso di “Videocracy” è definitivamente scoppiato su tutti i giornali: il documentario di Erik Gandini sulla televisione sarà “censurato” dalla televisione. E’ incredibile come un’eventualità tanto assurda possa, invece, essere del tutto pronosticabile, in questo meraviglioso Paese ridotto a una larva da una successione di classi politiche moralmente, intellettualmente e umanamente indegne.

La Rai è diventata isterica anche solo a sentir parlare del trailer. Figuriamoci il resto. Idem per Mediaset: entrambe hanno rispedito al mittente le promozioni del lavoro di Gandini. A differenza di quanto detto dal direttore della mostra del cinema di Venezia, Marco Muller, stavolta la motivazione è completamente di stampo politico. Spiega Domenico Procacci, distributore del film:

“Come sempre abbiamo mandato i trailer all’AnicaAgis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro, parrà surreale, si tratta di un messaggio politico, non di un film”.

Idem in casa del Biscione:

“Ci hanno detto che secondo loro film e trailer sono un attacco al sistema tv commerciale, quindi non ritenevano opportuno mandarlo in onda proprio sulle reti Mediaset“.

La Rai, questa la motivazione ufficiale, non può prescindere dal pluralismo (una parola aberrante che fa il paio solo con un’altra: “par condicio”). Nel film, secondo Viale Mazzini, esiste una critica diretta ad una precisa parte politica e, per questo, si rende necessario un contraddittorio, diciamo così, nello specifico un film di “messaggio” opposto. “Attraverso il collegamento tra la titolarità del capo del governo rispetto alla principale società radiotelevisiva privata – si legge nel comunicato ufficiale della Rai – si potrebbe pensare che attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso”.

Ancora Procacci:

“Una delle motivazioni che mi ha colpito di più è quella in cui si dice che lo spot veicola un ‘inequivocabile messaggio politico di critica al governo’ perché proietta alcune scritte con i dati che riguardano il paese alternate ad immagini di Berlusconi. Ma quei dati sono statistiche ufficiali, che so ‘l’Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità'”.

Sottolinea la Rai:

“Con immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime si determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all’ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso (il proprietario di Mediaset – ndr) e al suo rapporto con il sesso femminile formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell’attività di imprenditore televisivo”.

Da segnalare che l’intero lavoro è stato girato e montato ben prima che scoppiasse il caso di “Villa Certosa”. That’s television, my dear.

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