Home Notizie Franco Di Mare a Blogo: “Frontiere su Rai1 perché raccontare politica estera è dovere di tv pubblica. Semprini in Rai mortifica risorse interne”

Franco Di Mare a Blogo: “Frontiere su Rai1 perché raccontare politica estera è dovere di tv pubblica. Semprini in Rai mortifica risorse interne”

Il conduttore di Unomattina: “Sono sicuro che Semprini, magnifico collega, sia un Higuain, ma forse un Higuain, magari messo in un angolo e da valorizzare, lo avevamo già in azienda”

pubblicato 15 Luglio 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 22:33

Debutta oggi, venerdì 15 luglio 2016, in seconda serata su Rai 1, Frontiere, nuovo programma con cui Franco Di Mare racconta l’Europa e quello che resta del sogno di un continente senza confini, le barriere fisiche e spirituali che ancora separano uomini e nazioni e i luoghi dove invece si incontrano popoli, religioni e tradizioni. Il primo appuntamento andrà in onda a poche ore dall’attentato di Nizza.

Sei puntate (il programma, ideato da Di Mare e Daniele Cerioni, è firmato, oltre che dal conduttore, da Paola Miletich, Matilde D’Errico ed Enrico Biego – regia di Matilde D’Errico e Maurizio Amici, produttore esecutivo Eleonora Iannelli) per un viaggio che porterà il conduttore di Unomattina ed ex inviato di guerra anche in Sicilia, a Londra, in Olanda, a Bruxelles e Molenbeek. Tra i temi cardine l’integrazione e l’Islam.

Cosa è Frontiere?

Un programma che cerca di andare a vedere le frontiere che ancora esistono in Europa, che non dovrebbe averne più. Cerchiamo di capire dove sono ancora in piedi le frontiere, dove stanno nascendo di nuovo e perché non riusciamo ad abbatterle. Non solo le frontiere geografiche, ma anche quelle immateriali che attraversano gli animi degli uomini. Che cosa ci divide dagli altri? Perché non riusciamo ad attivare i processi di integrazione indispensabili e necessari? Non è possibile immaginare una Nazione fatta da soli italiani, soli francesi o soli tedeschi. Andiamo verso un futuro multiculturale e multirazziale, una società dove le persone vivono insieme anche se non hanno lo stesso colore di pelle, lo stesso credo religioso e la stessa provenienza. Questo è naturale, ma noi cerchiamo di capire cosa non funziona, dove e perché. Cerchiamo anche di far conoscere gli esempi positivi, cioè dove vivono tutti quanti insieme, rispettandosi gli uni con gli altri e cercando di capire le ragioni degli altri senza tuttavia far sì che la comprensione diventi un dare solo diritti e non chiedere doveri.

Un esempio positivo che vedremo in Frontiere qual è?

La Germania. Tutti i Paesi in Europa hanno proprie leggi sull’integrazione, ognuno si approccia al problema con ragioni sue. Però non funziona da nessuna parte. Il problema lo hanno tutti. C’è una parte di immigrati che fatica ad integrarsi, per lo più costituita dagli islamici. Noi li guardiamo con sospetto. È lecito, è legittimo, è colpa nostra, è colpa loro? Non lo sappiamo bene. La Germania, che aveva lo stesso atteggiamento degli altri Paesi nei confronti del problema della mancata integrazione degli islamici, si è svegliata una mattina di gennaio scoprendo che 1600 donne tedesche erano state molestate la notte di San Silvestro in diverse città. In alcuni casi anche stupri compiuti soprattutto da giovani di origini magrebine. La Germania a gennaio ha capito che è difficile integrare i magrebini e spiegare loro che le donne in Germania sono libere di scegliersi il compagno, di divorziare, se passare la notte con uno o meno. Non basta il fatto che lei abbia accettato l’invito a bere una birra perché passi la notte con te. A un magrebino, in genere, queste cose vanno spiegate, perché lui viene da una cultura per cui se una donna cammina da sola per strada di notte è una donna facile, è la donna di tutti. La Germania si è trovata di fronte all’idea che la violazione del principio di libertà è un problema educativo. Come ha reagito? Doveva uccidere migliaia di magrebini? No, ha inasprito le leggi – approvate di recentissimo – sulla violenza sessuale. Ha varato una legge che si chiama ‘no vuol dire no’; la legge tedesca precedente contro lo stupro prevedeva che le donne dovessero dimostrare di aver opposto resistenza allo stupro altrimenti lo stupratore non sarebbe stato condannato. La nuova legge è stata la prima risposta a quanto accaduto a Capodanno. La faccenda è ancora più interessante se si considera che il richiedente asilo che viene condannato sulla base di questa legge si vedrà rifiutato l’asilo, non potrà tornare nel suo Paese anche se corre il rischio di finire in galera. Quindi, le cose stanno cambiando: in Europa ci si inizia a interrogare sul fatto che se non funziona con gli immigrati islamici è perché noi abbiamo sempre dato senza nulla chiedere. Invece adesso si inizia a chiedere in termini di doveri. Le nostre leggi sono sovrane rispetto alla vostra identità culturale. Se la tua identità culturale ti consente di picchiare tua moglie, qui vige la legge dello Stato che ti condanna, che ti manda in galera.

Nel programma come viene declinato tutto questo?

Siamo andati in Germania e in giro per l’Europa per cercare le ragioni dell’incontro e le ragioni della distanza. A cercare le frontiere.

La prima puntata parte da Schengen.

Sì, perché nessuno sa dove caxxo sia. È in Lussemburgo. Schengen è un principio meraviglioso: niente più frontiere all’interno dell’Europa, è una cosa bellissima, magica, meravigliosa. Tutto può circolare liberamente. Ma quando sono arrivati i migranti, la paura per i migranti ha fatto scattare le prime frontiere interne e qualcuno ha sospeso Schengen. Noi abbiamo provato a capire perché. Da Schengen siamo andati nel luogo dove per primo c’è stato un campanello d’allarme e che nessuno capì: nel 2005 nella vicinissima Olanda il regista Theo van Gogh venne sparato e poi sgozzato come un capretto da un 26enne di origini marocchine che si sentiva insultato nella sua religione perché nel film di van Gogh, Submission, aveva proiettato dei versi del Corano sulla schiena di una somala nuda. L’Olanda invece di reagire cercando di stabilire una nuova relazione si è chiusa in se stessa, ha fatto finta di non vedere ed è scattata l’autocensura. In Olanda, semplicemente, di Islam non si parla più.

Avete girato anche in Sicilia.

Sì, siamo andati nella zona di Enna dove gli arabi vogliono finanziare i musei locali in cambio della costituzione di un centro della cultura islamica. Ma, come? Invece di difendere la nostra identità, noi prendiamo soldi dagli arabi in cambio di un centro della cultura islamica? La zona non ha radici islamiche! La domanda è perché l’Arabia Saudita ha questo interesse? Risposte non ce ne sono.

La maggiore difficoltà nella realizzazione di Frontiere dove l’avete riscontrata?

A Molenbeek. Il Belgio si è coltivato il radicalismo islamico nel suo interno. Dal Belgio sono partiti tutti i terroristi che hanno compiuto il massacro del Bataclan a Parigi e quello all’aeroporto di Bruxelles. Erano cittadini belgi, non dell’Isis, non venivano dalla Siria, erano nati in Belgio. Siamo andati nel quartiere dove è nato il radicalismo islamico e lì abbiamo avuto qualche difficoltà, siamo stati quasi aggrediti. È stato complicato girare. Però in quello stesso quartiere in cui erano basati gli attentatori del Bataclan ci sono anche esempi di integrazione. Una sera abbiamo registrato la fine del periodo di digiuno del ramadan: musulmani non radicali e cattolici hanno festeggiato mangiando insieme all’interno della cattedrale del quartiere. E abbiamo sentito le preghiere Allāh Akbar dentro quella cattedrale.

Le riprese a quando risalgono?

È da un mese che siamo in giro, lo faremo fino a metà agosto. Quando andrà in onda la prima puntata saremo a Londra.

Il programma è tutto in esterna.

Sì, nasce proprio così l’idea. Non lo studio e il lancio dei servizi, ma siamo noi che andiamo fuori. Non ci accontentiamo di avere i servizi. È una fatica enorme (ride, Ndr).

La collocazione in seconda serata era già prevista?

È una necessità aziendale. A quell’ora c’era uno spazio, non c’è stato uno studio strategico, diciamo. Ci si immagina che la gente d’estate stia fuori casa, ma a quell’ora lì dovrebbe essere tornata a casa. Quindi noi parliamo a quelli che il venerdì dopo essere stati fuori a mangiare la pizza e a prendere un po’ di aria fresca tornano a casa e accendono la tv. Vogliamo fornire una chiave di lettura di problemi che sono anche nostri. Andiamo a vederli all’estero, ma sono problemi nostri. I profughi vengono collocati tutti in una zona e gli abitanti della zona protestano. Come risolviamo il problema? Come hanno fatto gli altri? Come faremo noi? Queste sono le domande.

L’impegno quotidiano a Unomattina ti impedisce di viaggiare nel mondo da inviato. D’estate invece di riposarti preferisci approfittare della libertà per ritornare al tuo ‘vecchio’ mestiere…

Un po’ è così, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Ho sempre avuto in testa l’idea di un programma che provasse a spiegare agli italiani in termini comprensibili le questioni di politica estera. Sono sempre un po’ ostiche. Ma in questo caso la politica estera parla a quella interna. Anche noi stiamo cambiando sulla base di ciò che fanno gli altri Paesi. Il ministro dell’Interno Alfano ha detto che gli imam che verranno nel nostro Paese dovranno imparare l’italiano; le omelie nelle moschee devono essere tenute in italiano; così si evita che le moschee diventino un covo di fondamentalisti e si fa in modo che nelle moschee si predichi la pace e non la Jihad. È un piccolo passo per l’integrazione.

Negli ultimi mesi i temi dell’Islam e dell’integrazione sono stati molto attuali. Anche a Unomattina spesso ve ne siete dovuti occupare a causa degli attentati. Frontiere va in onda proprio adesso anche per queste coincidenze temporali?

Avevo da tempo l’idea di fare un programma in cui raccontare in maniera comprensibile e affascinante la politica estera. È un dovere della tv pubblica farlo. Adesso, con tutto quello che è accaduto e che sta accadendo nel mondo, il tema è diventato di straordinaria attualità, le cose hanno magicamente coinciso. E quindi l’idea è passata.

Unomattina 2016-2017, ci saranno novità?

Sono allo studio. Con Francesca Fialdini, una collega formidabile e iper-preparata, abbiamo capito che in questo momento particolare del nostro Paese abbiamo sì bisogno di soavità ma anche di comprendere cosa sta succedendo intorno. Abbiamo fatto la scommessa, ormai da due anni, di portare il programma sempre più verso l’approfondimento. E l’approfondimento in termini di divulgazione è stato un successo, il programma è andato bene, è in crescita rispetto al passato. Una inversione di tendenza rispetto ai programmi della tv generalista che, complessivamente, registrano una fase di stallo se non di calo. Quindi noi siamo orgogliosi, non cambieremo un granché, anzi continueremo su questa strada dell’approfondimento e dell’attualità. È evidente che nel corso del programma che dura oltre 3 ore, tra le 9 e le 10, alleggeriremo un po’. Manterremo anche il mini talk finale, dalle 9.40 a chiusura, su temi duri, dal femminicidio all’Isis. Continueremo a parlarne, ma senza morbosità. Non l’abbiamo mai fatto, non è la nostra cifra. Non ci interessa sapere quanto coltellate ha dato l’assassino, ma perché le ha date.

La Fialdini recentemente a Blogo in merito al futuro di Unomattina ha detto che “forse siamo al momento in cui dobbiamo scegliere se fare più informazione o più intrattenimento o rendere più variegato il programma“.

Stiamo valutando. Di sicuro dalle 9 alle 10 è una fascia più morbida, in cui si può alleggerire. Il punto è capire quanto zucchero mettere nel caffè, ma di sicuro lo zucchero ci deve essere – chi lo beve senza non so come faccia. Unomattina accompagna il risveglio di tutti gli italiani, dal professore universitario al portiere del professore universitario. Noi parliamo ad entrambi, soltanto che il professore alle 8.30 è uscito da casa, così come tutto il ceto professionale. Chi rimane davanti alla televisione dopo le 9 – che noi rispettiamo tantissimo – sono i pensionati, gli anziani, chi si trova negli ospedali, nelle carceri o chi non lavora. Persone alle quali noi abbiamo già parlato nella prima parte del programma, che si rivolge a tutti con il compito di informarli sui temi dei quali il Paese discute.

Lo spazio Sarò Franco sarà confermato?

Sì, è stato un successo insperato. Abbiamo fatto arrabbiare qualcuno, ma la maggior parte delle persone è contenta. È uno spazio di libertà, sono contento che la Rai me lo consenta. Io, in maniera responsabile e cercando di non offendere nessuno, dico delle cose che corrispondono al mio pensiero. È un elzeviro, un corsivo, uno spazio in libertà. Mi spoglio dalle vesti di giornalista pubblico e dico la mia opinione. Non lo faccio mai, in questa zona franca sì. È stato un successo tale che stiamo pensando di anticiparlo di qualche minuto, forse alle 7.33, perché molte persone, soprattutto insegnanti, me lo chiedono.

Uno dei grandi temi che riguardano Unomattina è l’interazione con le edizioni mattutine del Tg1. Continuerete sulla stessa linea?

Continueremo sulla stessa linea. Godiamo del formidabile apporto del direttore del Tg1 Mario Orfeo, oltre che di quello del direttore di rete Andrea Fabiano. Orfeo ci sta dando una mano formidabile, è una presenza indispensabile per Unomattina. La grande attenzione che mette nella cura degli spazi del Tg1 è motivo di vanto per noi. Se complessivamente Unomattina è migliorata è anche grazie a lui. Lo si capisce anche dalle curve di ascolto del Tg1 in crescita. Meno male che c’è questa interazione forte tra Tg e rete, è una delle ragioni del successo di Unomattina.

Le continue interruzioni di Unomattina proseguiranno, dunque.

Noi crediamo che il Tg1 dovrebbe integrarsi in maniera ancora migliore. Stiamo cercando una chiave perché l’interazione funzioni ancora meglio. Per esempio alle 8 il Tg1 lancia i temi che tratteremo subito dopo a Unomattina.

L’anno scorso commentando l’idea del nostro Hit di “un open space con i momenti delle news che vanno ad amalgamarsi con i momenti classici di Unomattina, senza orari e sigle prefissate del Tg1”, rispondesti: “Si tratta di intervenire sul “concordato storico” fra rete e Tg. Occorre vedere cosa ne pensa il corpo redazionale del Tg1, che magari vivrebbe questa cosa come un depauperamento e non come una innovazione positiva. Personalmente ritengo che questa contaminazione potrebbe dare effetti positivi al programma”.

In realtà abbiamo capito che l’interazione paga per noi, per loro e per tutti. Paga in termini di dati di ascolto, la gente gradisce. Dà l’idea di un gruppo di lavoro coeso.

Cosa ne pensi della protesta dei giornalisti interni Rai a proposito della scelta di un esterno come Semprini per la conduzione del talk che su Rai3 prenderà il posto di Ballarò?

Credo che Semprini sia un magnifico collega, ma mi chiedo anche se tra i 1100-1200 giornalisti già in Rai non ce ne fosse uno in grado… Il fatto che si chiamino da fuori è lievemente mortificante per le professionalità aziendali. Sono convinto che abbiamo al nostro interno risorse straordinarie a cui attingere, che magari sono messe in un angolo, che si sentono un po’ mortificate o mal utilizzate. Ci sono meravigliose esperienze professionali che potrebbero essere valorizzate. Semprini è un magnifico giornalista, però l’idea che l’erba del vicino sia sempre più verde è un po’…. Nel calciomercato Higuain lo compri in Argentina perché qui non c’è. Sono convinto che Semprini sia Higuain, ma un qualche Higuain tra di noi c’è. E non parlo di me, sia chiaro.

Ecco, ma ti sei mai chiesto perché non abbiano mai scelto te per condurre un titolo Rai importante come Ballarò o affini?

Francamente no, perché per anni mi hanno affidato una trasmissione che è un asset aziendale. Unomattina è una delle trasmissioni più longeve dell’azienda, affidarla a me è un grandissimo atto di fiducia nei miei confronti. Io sono felicissimo e sto benissimo dove sto. Ma dico: ci sarà qualche mio collega in gambissima in grado di fare un programma come Ballarò? Ripeto: sono sicuro che abbiamo comprato Higuain, ma forse qualche Higuain lo abbiamo anche noi.

Con Filippo Facci tutto bene? Vi siete risentiti?

No, non ci siamo risentiti, ma per me l’incidente è chiuso. Lui si era rivolto in maniera sgarbata nei confronti della Fialdini che lo aveva interrotto. Ma per me è finita lì. Quando vuole tornare potrà farlo, ma non dovrà dire ‘non mi interrompete’, perché non lo dice neanche Papa Francesco. Il conduttore può interrompere chi vuole, è il suo lavoro. In quell’occasione gli ho ricordato solo questo. Lui ha ritenuto di doversene andare. Per me l’incidente è chiuso.