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Amiche Mie, che non è Sex & The City – Intervista a Cristiana Farina, produttore creativo /1

Questa sera comincia Amiche mie, serie tv in 12 puntate prodotta da Endemol per Canale5. E’ una serie di cui si è parlato molto, che ha avuto un buon battage mediatico anche se i colleghi della carta stampata, come al solito, hanno bisogno di fare riferimenti con realtà estere. E quindi, Amiche mie è stato

5 Novembre 2008 18:28


Questa sera comincia Amiche mie, serie tv in 12 puntate prodotta da Endemol per Canale5. E’ una serie di cui si è parlato molto, che ha avuto un buon battage mediatico anche se i colleghi della carta stampata, come al solito, hanno bisogno di fare riferimenti con realtà estere. E quindi, Amiche mie è stato definito il Sex & The City all’italiana.

A noi, francamente, queste etichette non piacciono e così, approfittando del fatto che Cristiana Farina (nella foto sul set con i registi Luca Miniero e Paolo Genovese) ci legge e ogni tanto si fa viva nei commenti, abbiamo pensato di fare quattro chiacchiere con lei a proposito della serie. Tanto per cominciare, per toglierci un dubbio che un po’ ci preoccupa (anche se già Pincelli ne ha parlato). Questo Amiche mie è Sex & The City all’italiana?

No. Non lo è . Perché lo sarebbe? Solo perché le protagoniste sono quattro donne e ogni tanto si siedono a un tavolo? Non si parla di sesso, non come lo faceva la serie americana. Noi siamo sulla tv generalista, non possiamo far vedere i vibratori, anche se Amiche Mie è una commedia brillante. E poi, il tema è completamente diverso: quattro donne, a 40 anni, hanno fatto tutto quello che a Sex & The City non è stato fatto. Hanno avuto un marito, dei figli, ma si rendono conto che per qualche motivo non hanno vissuto la vita, non hanno avuto l’amore vero. Si ritrovano tutte e quattro separate e devono ricominciare da capo. Abbiamo cercato di raccontare il coraggio di cambiare, è un viaggio all’interno di quattro personaggi che provano a vivere i secondi quarant’anni della loro vita in maniera più costruttiva.

E’ comunque una commedia brillante, anche se siamo ancora lontani dalle possibilità che si avrebbero in altre realtà produttive. Ma è una serie nella quale credo moltissimo. Le donne la dovrebbero guardare perché sono le protagoniste. E gli uomini perché, anche se ne escono male, potrebbero sfatare qualche luogo comune sulle donne, che vengono messe a nudo, che vedono scoperte le loro nevrosi, i sottotesti che stanno dietro a questa scelta, a quel comportamento. E poi, comununque, lo si prende un po’ in giro, l’universo femminile. C’è molta autoironia, anche perché… sarà politicamente scorretto da dire, ma di fatto togli l’amore alle donne e le costringi a mettersi in discussione. Senza l’uomo, senza l’amore è come se non avessero più un’identità precisa.

Io dico sempre che l’innamoramento è la droga più a buon mercato che ci sia.

Cristiana parla volentieri di questa serie, e si percepisce: è la sua creatura. Ha condiviso la scrittura di Amiche mie con Paola Fossataro, ma soprattutto ha ricoperto un ruolo inedito per la realtà italiana. Quello del produttore creativo. La prima puntata si avvicina, l’ondata mediatica della conferenza stampa di ieri è passata ma resta l’emozione, è evidente.

Sì, sono emozionata, ma solo perché credo molto al lavoro che abbiamo fatto. Ieri mattina in conferenza stampa tremavo, oggi mi sono rilassata al cinema. Certo, vedere le reazioni della stampa e delle attrici (Margherita Buy in particolare, che è stata sempre attentissima a tutte le fasi della lavorazione. Come le altre del resto) all’anteprima, è stato gratificante e liberatorio: ridevano. Questo vuol dire che il lavoro funziona. Non sono sicura che andrà bene, ma la ricetta non ce l’ha nessuno. Se non ci credessi, me ne fregherei, ma è una progetto che ho seguito in tutti i sensi, a tutti i livelli. Quindi, sì, sono emozionata.


Seguire a tutti i livelli Amiche mie vuol dire aver ricoperto questo ruolo, appunto, del produttore creativo. L’equivalente dei producer americani, per intenderci. Quelli che negli States vengono gratificati dal created by. E che in Italia, di fatto, non esistono.

Sono stata molto fortunata a poter ricoprire questo ruolo, e anche un po’ premiata dal lungo lavoro con Endemol. Ma per fare il produttore creativo mi sono servite tutte le esperienze che ho fatto. Lavorare con Grundy per un anno a Un posto al sole mi ha fatto entrare in contatto con il modello produttivo industriale. Poi ci sono state Vivere e Centovetrine (per quest’ultima, ho impostato il lavoro del gruppo di scrittura). Poi i reality: ho imparato sul campo, insomma. Il montaggio, la realtà produttiva. E poi, quando si è trattato di cominciare con Amiche Mie, ho chiesto di poter andare a seguire qualche set americano, perché quello è il modello cui ispirarsi.

E poi, il produttore creativo è colui che può garantire la qualità e contemporaneamente che si accelerino i tempi, che non si buttino i soldi dalla finestra: scrivere, girare, montare e mettere in onda con un gap di pochi mesi.

Il problema è che in Italia non siamo pronti, probabilmente, ci sono professionalità da rivedere, da formare.

Non lo siamo. Passa troppo tempo dalla proposta della serie alla realizzazione alla messa in onda. Non c’è il tempo né il modo di correggere in corsa, come si fa in America. Eppure da questo modello ci guadagnerebbero tutti: in America riescono a sfornare prodotti di grande qualità girando episodi da 50 minuti in una settimana. Perché applicano un modello produttivo specifico, che non è quello cinematografico: se di docidi episodi ti organizzi per girare tutte le scene della stessa location consecutivamente, si rischia di perdere in freschezza e continuità. E poi, appunto, non si può correggere in corsa. Per fortuna – e per scelta – abbiamo coinvolto delle bravissime attrici, che hanno fatto un gran lavoro sugli script. Ma a volte mi confondevo io stessa.

Eppure, in giro si sente dire spesso che in U.S.A. le cose funzionano perché ci sono più soldi. Io, personalmente, non credo che sia così. Credo che tutto dipenda dalla libertà e dalle idee. Tu che ne pensi?

Certo. C’è più libertà, e le idee sono unaconseguenza della maggiore libertà. Il mercato a livelli alti, il background stimola perché se sono abituata a vedere cose belle, cercherò di produree cose ancora più belle. produrrò cose ancora più belle.
I soldi non sono tutto, anzi, ci sono mercati molto più esili di quello statunitense che producono cose più interessanti di quelle italiane, con maggiore identità della nostra fiction.

Fiction nostrana che poi, appunto, attinge a piene mai dai format esteri.

Ecco. Da noi si copia, si riadatta, si investe sul già visto e non ci si prendono responsabilità, non c’è il coraggio di cambiare.

Prima dell’esordio, però, è naturale chiederti se sei preoccupata da un altro grande esordio, quello dei nuovi episodi del Commissario Montalbano

Macché preoccupata. Anzi. Sono contenta, perché un successo per una fiction è importante per tutto il settore. Poi Montalbano è un bellissimo personaggio, raccoglie un pubblico larghissimo, lo vedono tutti anche grazie ai bei libri di Camilleri. Era un successo annunciato ed è bello che sia stato un successo.

Ovviamente fa parte dei grandi eventi, non può rientrare nel modello di fiction industriale da lunga serialità, e quindi richiede un tipo di produzione diversa, più cinematografica: non è un tipo di fiction da produttore creativo.

(…continua…)