The Last of Us, da survival drama a hopeful drama: la recensione della serie tv su Sky e NOW
La speranza prevale sull’apocalisse: The Last of Us adatta il celebre videogioco rispettando la storia e riuscendo a portare in tv una coppia irresistibile
Per chi conosce ed ha giocato più volte al videogioco di The Last of Us non servono chiarimenti. Per tutti gli altri, però, una precisazione va fatta: nonostante alcune sinossi generiche che potreste trovare online, non commettete l’errore di pensare che The Last of Us sia “un po’ come The Walking Dead”. Superata questa errata convinzione, vi si aprirà l’occasione di godere di una serie tv acclamata ancora prima della sua messa in onda e che ci regalerà un’altra di quelle produzioni targate Hbo da non perdere.
The Last of Us, la recensione
No, non è un altro The Walking Dead
https://www.youtube.com/watch?v=h9RokZaHazk
La nostra recensione di The Last of Us, quindi, non può non partire proprio da quanto scritto sopra: la serie Hbo non ha nulla a che fare con l’appena conclusa The Walking Dead. È vero che il videogioco di Neil Druckmann da cui è tratta la serie è datato 2013, dieci anni dopo l’uscita del primo numero del comic book di Robert Kirkman e tre anni dopo il debutto della sua trasposizione televisiva; è vero che l’ambientazione post-apocalittica è simile; è vero che gli infetti sono simili a zombie, ma non sono dei non-morti.
Ma è anche vero che The Last of Us si snoda lungo una narrazione che va oltre il semplice tema della sopravvivenza e della diffidenza verso il genere umano. Lo dimostrano le numerose scene che nel corso degli episodi quasi ci fanno dimenticare di essere alla visione di un survival drama e che, invece, si soffermano sullo scontro/incontro generazionale tra i due protagonisti Joel (Pedro Pascal) ed Ellie (Bella Ramsey, di cui parliamo più avanti), sulla rassegnazione a cui a volte induce la vita e su un futuro che, grazie all’immunità dall’infezione del Cordyceps della giovane protagonista, in questa serie non è solo immaginato, ma concreto.
The Last of Us, inoltre, non fa nessun mistero sulle origini di questo mondo stravolto nell’arco di soli vent’anni (le prime scene sono ambientate nel 2003, il presente del racconto è nel 2023), mettendo lo sviluppo della pandemia subito sul piano scientifico: basti pensare che il fungo artefice della decimazione della popolazione umana esiste veramente, anche se ovviamente non è letale per l’uomo.
Tutti elementi sparsi qua e là nel corso del racconto e che rendono davvero impossibile tentare qualsiasi accostamento con The Walking Dead o qualsiasi altra serie post-apocalittica. Anche perché -cosa da non sottovalutare-, la nuova serie tv della Hbo è ambientata sì in piena apocalisse, ma non è statica rispetto al suo periodo storico.
Survival drama o hopeful drama?
Con il suo sguardo al viaggio dei due protagonisti, The Last of Us diventa così un road trip che attraversa l’incubo in cerca della speranza. Certo, parlare di survival drama è corretto, ma davvero in questa serie la sopravvivenza non è messa in primo piano tanto quanto la speranza. Così come Ellie potrebbe rappresentare (per scoprirlo dovremo vedere la serie fino alla fine) l’inizio della fine dell’infezione grazie alla sua immunità, il viaggio compiuto da lei e dal mercenario Joel indica una fuga dalla realtà che si rivolge ad un tempo che deve ancora giungere, ma che chi vive nel presente già immagina.
La rassegnazione che pervade Joel nei primi episodi lascia spazio, seppur lentamente, ad un altro virus contagioso, quello della speranza che un domani migliore possa davvero essere possibile. Perché sia così, però, bisogna muoversi, agire, viaggiare.
Il successo del videogioco stava anche in questo: i giocatori avevano ben chiara da subito la missione che era chiesto loro di portare a termine, un percorso con uno sviluppo che segue una via d’uscita dall’inferno per raggiungere il Nuovo Mondo.
Nella sua trasposizione televisiva, però, il racconto rinuncia alla buona dose di violenza presente nel videogioco: sebbene la Hbo in passato non si sia mai posta il problema di utilizzare scene ad alto tasso di violenza visiva là dove le storie lo ritenessero necessario, in The Last of Us l’impressione è si sia preferito cercare un mix differente, che sapesse unire l’orrore provocato dagli infetti e dalla loro aggressività al sopra citato tema del viaggio e della ricerca di un futuro per l’umanità.
Joel ed Ellie, che coppia (e che brava Bella Ramsey)
In questo contesto, il compito affidato ai due protagonisti non era affatto semplice: Joel ed Ellie sono le tipiche persone che ad inizio racconto non si sopportano ma che, conoscendosi passo dopo passo in questo viaggio a cui sono stati costretti, diventano imprescindibili l’uno per l’altra.
A Pedro Pascal è toccato interpretare un ruolo in parte simile a quello del protagonista di The Mandalorian (sempre da lui interpretato), ovvero un burbero la cui esistenza lo ha costretto a costruirsi una corazzata per difendersi dal mondo esterno. Il suo Joel non ha però nessuna maschera sotto cui nascondersi, rivelandoci puntata dopo puntata quel lato paterno di cui abbiamo avuto uno scorcio solo nel primo episodio e che viene risvegliato dalla presenza di Ellie.
E poi, appunto, c’è lei, Ellie: una quattordicenne che fa la… quattordicenne. Non avendo mai conosciuto il mondo prima della pandemia, per lei le zone di quarantena e la presenza dei militari in strada sono la normalità, così come la nostalgia del mondo che era non alberga nel suo modo di vivere. Il suo atteggiamento resta così quello di una pre-adolescente qualsiasi, ancora un po’ bambina ma che vorrebbe essere trattata da adulta.
La sua curiosità ed ingenuità s’incontra con la durezza e l’esperienza di Joel dando vita ad una coppia che ci offre momenti intensi ma anche ironici, un rapporto padre-figlia ma anche tra amici, appartenenti a due generazioni differenti ma trovano l’uno nell’altra una ragione per non lasciarsi andare. E se conoscevamo già la bravura di Pascal, Bella Ramsey -che con la sua Lyanna Mormont in Game of Thrones aveva conquistato il web a suon di meme- qui trova il giusto ruolo per presentarsi ancora meglio al pubblico internazionale, senza fare l’adulta a tutti i costi.
Una scenografia da record
Prima di chiudere la recensione di The Last of Us, una nota a parte la vogliamo dedicare allo sforzo scenografico di questa serie, davvero imponente, tanto da diventare la serie tv girata in Canada più costosa di sempre. Una scenografia che ovviamente trova il suo completamento negli effetti visivi, che seguono fedelmente la grafica del videogioco e non deluderanno gli ex giocatori ora spettatori.
The Last of Us, recensione: esperienza d’autore?
Questa prima stagione di The Last of Us (ipotizziamo che non sia l’unica…) potrà trovare concordi chi aveva giocato al videogioco che la serie da cui è tratto ha dovuto trovare un equilibrio tra chi conosceva già la storia e chi, invece, ne era assolutamente digiuno.
Craig Mazin, che già ci aveva convinto con Chernobyl, interpreta l’apocalisse senza dimenticare mai l’umanità che ci nasconde dietro di essa, trovando spunti per trasformare la visione di gioco in visione d’autore. In questo senso, il terzo episodio (grazie anche al lavoro fatto da Nick Offerman e Murray Bartlett) sarà una piacevole sorpresa che, come scritto sopra, vi farà dimenticare di essere davanti ad un survival drama ma di seguire un drama su ciò che l’uomo può diventare e tornare ad essere.