Home 60 anni di Rai – Carlo Freccero a TvBlog fa i conti con la storia della televisione in Italia

60 anni di Rai – Carlo Freccero a TvBlog fa i conti con la storia della televisione in Italia

I Sessant’anni della televisione in Italia con la nascita della Rai il 3 gennaio del 1954 è l’occasione qui su TvBlog, per ospitare una serie di interventi che parleranno di questa importante ricorrenza per la televisione del nostro paese.

di Hit
pubblicato 2 Gennaio 2014 aggiornato 21 Gennaio 2021 16:59

Mentre domani festeggeremo la data del compleanno della TV ospitando un intervento di Pippo Baudo, oggi diamo la parola ad uno che di televisione se ne intende, ovvero Carlo Freccero. Con l’ex direttore di Rai4 parleremo di televisione a 360 gradi, partendo dai primi vagiti del piccolo schermo nel nostro paese, passando per la nascita della televisione commerciale, fino ad arrivare all’esplosione della miriade di canali, coincisa con l’arrivo della televisione digitale e la possibilità, arrivata negli ultimi tempi, di fruire dei contenuti televisivi anche su altre piattaforme multimediali. Ecco dunque il colloquio di TvBlog con Carlo Freccero.

Il 3 gennaio 1954 nasce la televisione e la Rai. Come ha cambiato questo evento l’Italia ?

Riporterò qui un concetto che non è farina del mio sacco, ma ottiene il consenso dei linguisti. La televisione non ha cambiato gli italiani, ha fatto gli italiani. Quando nasce la televisione l’unità politica del paese era cosa fatta da un secolo. L’unità linguistica e culturale era però ancora da venire. Ogni regione aveva usi e costumi propri, nelle famiglia si parlava correntemente il dialetto. La Rai insegna l’italiano agli italiani e facendo condividere a tutti il patrimonio culturale delle singole regioni, fa di queste differenze un patrimonio comune e condiviso. Ad esempio il Festival della canzone napoletana, non riguarda più solo i napoletani, ma tutti gli italiani. Certi consumi alimentari come la pizza diventano condivisi ed identificano non più una singola regione, ma il paese. E’ questo processo d’integrazione che la Lega Nord negli anni ’80 cercherà di rendere reversibile con l’invenzione della Padania, capite l’assurdità.

Dal 1957 arriva Carosello, sono gli anni in cui nascono i sogni dei consumatori. Come Carosello ha soddisfatto tale bisogno ?

Per quanto ricordo di Carosello l’aspetto di questa forma di pubblicità era di separare lo spettacolo dal messaggio promozionale vero e proprio. Carosello, se ben ricordo, non promuoveva tanto consumi “importanti” come per esempio i televisori (oggi la TV non fa altro che promuovere Ipad, telefonini etc), ma copriva l’universo dei bisogni primari famigliari: generi alimentari, articoli per l’igiene personale. Una gamma di prodotti che farà da base alla televisione generalista commerciale degli anni ottanta, ma se qui l’accento era posto sullo slogan e sul consumo, Carosello intendeva essere più discreto. Non a caso non interrompeva i programmi, ma, all’interno di una televisione pubblica, pedagogica, era messo in qualche modo tra parentesi, tra la sigla di apertura e di chiusura. Il consumismo di Carosello è ancora un consumismo sussurrato, ed infatti, chi ha la mia età, ricorda gli scketch ed i personaggi più che i prodotti pubblicizzati. Carmenchita, l’ippopotamo, Gregorio, Susanna, Calimero e si potrebbe continuare all’infinito, sono stati e sono oggetto di culto, di un collezionismo vintage ispirato alla nostalgia. Ma più che a persuasore, Carosello fa pensare ad una baby sitter che accompagna i bambini a letto, non a caso nelle famiglie c’era l’imperativo: “a letto dopo Carosello”.

Dalla metà degli anni Settanta, in forte ritardo rispetto agli altri paesi, arriva da noi il colore. Come è stato avvertito il suo arrivo e quale effetto ha avuto in Italia ?

La prima cosa e la più forte è il cambiamento della “normalità” dell’immagine. Pensiamo ad esempio ad una corrente pittorica che è l’iperrealismo che è di qualche anno precedente. L’immagine non ritrae il reale, ma la sua rappresentazione fotografica, gli artisti usano spesso il bianco e nero, anziché il colore. Oggi questa scelta rende queste opere “inconsuete” anziché iperreali. La fotografia artistica ed il cinema impegnato, prediligevano il bianco e nero sul colore, l’irrompere del colore nella televisione, che costituisce l’esperienza quotidiana di tutti, relega il bianco e nero che prima rappresentava una scelta stilistica, nell’archivio di un remoto passato.

Il bianco e nero ricorda un po’ la fanciullezza di chi ha vissuto quel periodo

Trovo il bianco e nero molto appropriato ad un modello di televisione pedagogica come la Rai delle origini. Il bianco e nero è tradizionalmente associato al periodo d’oro del cinema italiano, è la scelta cromatica più adatta al cinema d’autore ed infatti, quando in tempi più recenti si “colorizzano” le pellicole classiche scoppiò lo scandalo. Negli anni ’50 non esisteva il colore in televisione, ma al cinema si ed il bianco e nero era per gli autori cinematografici una scelta stilistica. Ora che la televisione in bianco e nero era naturalmente autorevole, non dava spazio al divertimento e allo svago. Il bianco e nero dava immediatamente un’idea di serietà, che era secondo me la metafora della televisione educativa.

Quindi ritieni che il colore è in qualche modo un “virus” che corrompe quella Rai, in attesa della sua esplosione poi con la Tv commerciale ?

Il colore arriva nel 1977, la televisione commerciale nel 1979. Una televisione commerciale senza colore è impensabile. Quando nacque Canale5, uno dei problemi, fu quello di creare un’immagine alternativa all’estetica Rai. Ricordo ad esempio una tecnica speciale come lo Squeeze Zoom, che conferiva alle immagini un look d’avanguardia, suggerendo potenti mezzi, opulenza, aggiornamento e sinergia con la pubblicità e con gli spot.

Nel frattempo era nato anche il secondo canale della Rai. Come, secondo te, questo evento cambia la televisione ?

Una televisione pedagogica deve essere autorevole, imporre le sue scelte al pubblico, monopolizzare l’attenzione, anche quando il tema trattato non è divertente. Dare una alternativa, una via di fuga, corrisponde già a rinunciare in parte al progetto educativo. Qualcuno ha definito la televisione senza pubblico, un complemento della pubblica istruzione. Io amo specificare che questa forma d’istruzione corrisponde al modello di scuola pre-sessantottesca, con il professore in cattedra e la classe in silenzio senza alcuna interattività. Due reti significa già la rottura di un monopolio ed anticipa quella rivoluzione copernicana che, con il telecomando prima e con l’invenzione dell’auditel poi, farà del pubblico il vero programmatore dei palinsesti.

Parliamo ora di due personaggi che ci hanno lasciato e che sono stati i pionieri della televisione in Italia. Partiamo dal primo, proprio in senso strettamente cronologico, ovvero da Mike Bongiorno

Mike è la televisione nei due opposti modelli, ovvero pedagogica e commerciale. Quando la Rai nasce, Mike è là e crea un audience nei bar, nelle case, nei cinema. E’ commerciale ma anche pedagogico, perché il suo quiz Lascia o raddoppia, è un monumento al nozionismo ed il nozionismo era allora l’immagine popolare della cultura. A Lascia o raddoppia, passa di tutto, l’alto e il basso, ma l’alto figura come basso e viceversa. Esempio: John Cage, grande artista di musica d’avanguardia, partecipa come conoscitore di funghi e si esibisce in una performance musicale. Mike loda la sua erudizione sui funghi, ma gli raccomanda di non suonare per non far annoiare il pubblico. Mike è il fondatore della televisione pedagogica. Ma è anche fondatore della televisione commerciale. Basta che si trasferisca da Berlusconi, perché tutti capiscano che Mike impersona anche e forse in modo ancora più convincente, la tv commerciale. Mike è l’America, è in sintonia con il pubblico e ha una capacità innata di capire la pubblicità.

Enzo Tortora è stato un altro grande innovatore della Rai

Ho sempre sostenuto che il Portobello di Tortora, anticipa la televisione commerciale, o meglio ancora, la neo-televisione. Con Portobello Tortora selezione una massa di personaggi improbabili, incapaci,assurdi, tenuti insieme dall’unico comune denominatore dell’incapacità a fare qualcosa “professionalmente”. Sono l’avanguardia di quel pubblico che progressivamente si prende le scene, imponendo l’uomo privo di qualità, come star indiscussa della televisione.

Affrontiamo ora il tema della nascita del talk show in televisione e di colui il quale lo ha portato sul piccolo schermo, ovvero Maurizio Costanzo

Bontà loro di Costanzo rappresenta il capostipite di tutti i talk show italiani. In ogni trasmissione, soprattutto in quelle successive, accanto ad un ospite di successo, ci sono sempre ospiti “comuni”. La televisione si allontana dalla pedagogia, dal far parlare l’esperto, per avvicinarsi alla gente comune, che non ha niente da dire, ma proprio per questo, genera empatia ed identificazione presso il pubblico televisivo.

Come è cambiata la televisione italiana e l’immagine degli italiani con l’arrivo della Tv privata ?

Qui cominciamo a parlare di una televisione che non ho vissuto da semplice spettatore, ma da addetto ai lavori. Negli anni ottanta avviene una vera e propria rivoluzione copernicana. Il pubblico che nella televisione pubblica era il semplice destinatario del progetto pedagogico e quindi recepiva passivamente i programmi, ora diventa con le sue scelte l’artefice della programmazione. Il meccanismo con cui i programmi vengono selezionati e mandati in onda, risiede ora nella rilevazione dell’audience. La televisione commerciale sposta il senso delle scelte televisive, dall’educazione alla spinta al consumo. Gli inserzionisti pagano in base all’audience, ed il problema ora diventa catturare il pubblico più vasto, generalista e questo risultato si ottiene attraverso il messaggio più generico. Come in insiemistica, l’insieme meno definito è sempre più ampio di un insieme che raccoglie oggetti con maggiore definizione. Nell’immaginario della nuova televisione è tutto orientato in direzione dei consumi come status symbol. La società italiana si ricostruisce in chiave americana, la televisione pedagogica esaltava il capitale culturale, ho scritto nel mio libro “La Televisione”, ora il capitale culturale sparisce sostituito dal solo capitale economico, come possibilità di consumo.

Un altro piccolo grande evento per la televisione è l’arrivo del telecomando. Come ha cambiato questo arrivo nella storia della Tv?

Il telecomando sancisce la fine della televisione pedagogica. Contenuti culturali alti possono venire infranti in mancanza di alternative. Il telecomando permette di trovare sempre al telespettatore una via di fuga verso contenuti più bassi e apparentemente più gradevoli. Il telecomando introduce una fruizione discontinua dei programmi ed è compatibile con un ascolto distratto. Il telecomando promuove poi l’esigenza di moltiplicare i televisori in casa, perché ogni telespettatore deve costruire il suo palinsesto (qui c’è già il futuro). Non a caso per Arbore in una famosa canzoncina di quegli anni in presenza di un televisore unico, il telecomando diventa un simbolo di potere.

Facciamo ora i conti con l’arrivo dei canali tematici digitali

La Tv digitale rappresenta la seconda rivoluzione copernicana: dalla televisione generalista alla risposta ai gusti delle minoranze. Perché ciò sia possibile ed economicamente conveniente dipende da un cambiamento strutturale del mezzo. La televisione generalista tenta di raccogliere il massimo dell’audience in un unico passaggio. Le reti tematiche, al contrario, realizzano audience minoritarie ma fedeli nel tempo è la teoria che in pubblicità viene definita come “coda lunga”, è un audience che si costruisce nel tempo con una serie di passaggi successivi. E’ un criterio che sta anche alla base del fenomeno del “culto”. Prendiamo il cinema: un film di successo si gioca tutto nei primi week end sulla base dell’afflusso del pubblico. E’ in prima visione che si fanno gli incassi, perché ormai non esistono più sale di seconda visione. Ma il film di culto, per esempio “Rocky Horror Picture Show” esordisce malissimo, per poi recuperare nel corso del tempo. Per trent’anni nelle sale cinematografiche sparse in tutto il mondo il film viene proiettato con grande partecipazione di pubblico. Moltiplicando così le piccole audience delle singole serate, per innumerevoli proiezioni successive, realizza nel tempo un audience più importante di quelle raccolte dai grandi successi in prima visione. Qualcosa di analogo avviene con le televisioni tematiche, un telefilm oggetto di culto può essere riprogrammato per infinite volte, perché la sua complessità richiede molteplici letture e perciò paradossalmente, il suo pubblico diventa sempre più fedele ad ogni passaggio, ad ogni replica.

Chiudiamo con la nuova frontiera della televisione che ormai ha integrato al suo interno anche il web, come per esempio succede con le “smart tv”

Sta verificandosi oggi il processo di cui ha parlato Stefania Carini nel suo libro. La televisione generalista oggi è in crisi, nel frattempo però i contenuti televisivi escono dal piccolo schermo per proiettarsi nei nuovi media. Un telefilm può essere fruito sul piccolo schermo, ma anche su computer, su telefono, sul dvd. Viviamo in un epoca di multimedialità, possiamo leggere questa evoluzione come la fine della televisione generalista o al contrario come conquista da parte della televisione di tutte le piattaforme comunicative presenti. Non esiste “la televisione” come scrivo nel mio ultimo libro, ma tante televisioni. La televisione commerciale è profondamente diversa dalla tv pedagogica, ugualmente le tv tematiche differiscono profondamente dalla tv generalista. La televisione multipiattaforma ha caratteristiche ancora diverse e qui inizia il futuro e di questo torneremo a parlare qui su TvBlog.

E noi ovviamente ti aspettiamo. Grazie e buon anno a Carlo Freccero, ai nostri cari lettori ed un augurio di buon anno e buon compleanno alla nostra cara televisione.

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