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Tvblog a tu per tu con Aldo Grasso

Trovarsi di fronte a un luminare come Aldo Grasso mette in imbarazzo chiunque. La sua aura da professore della televisione riesce a porre in una condizione di soggezione persino colleghi del settore e addetti ai lavori, molti dei quali rivelano di essersi laureati con lui o di aver avuto filo da torcere per i suoi

15 Maggio 2007 18:23

aldo grasso telefilm festivalTrovarsi di fronte a un luminare come Aldo Grasso mette in imbarazzo chiunque. La sua aura da professore della televisione riesce a porre in una condizione di soggezione persino colleghi del settore e addetti ai lavori, molti dei quali rivelano di essersi laureati con lui o di aver avuto filo da torcere per i suoi pungenti editoriali.
Eppure, il mitico Grasso è riuscito a dedicarci qualche minuto del suo tempo durante la partecipazione al Telefilm Festival, dopo essersi vivamente scusato nel giorno di WorkShop a causa dei suoi impegni universitari che gli impedivano di trattenersi con noi.
L’intervista è iniziata da subito con una premessa inderogabile: parliamo solo di telefilm. D’altronde, in una settimana difficile che l’ha visto alle prese con l’orgoglio di Del Noce (di cui ha criticato l’operato) e le contestazioni dell’ufficio Stampa Mediaset (per aver annoverato Buon Pomeriggio tra i flop dell’anno), non potevamo aspettarci di più, tantomeno di parlare di Maurizio Costanzo che per Grasso è diventato dichiaratamente un argomento tabù anche in conferenza stampa.
Ma ripercorriamo insieme i nodi cruciali di una chiacchierata sulla serialità che ha lanciato spunti interessanti,

Si è sempre professato un fan speciale di Desperate Housewives. Cosa non ha funzionato di questa serie in Italia. Sarebbe stata più adatta a un’altra rete generalista?

“Il problema delle reti è del tutto secondario, per chi analizza un prodotto la cosa importante è riuscire a vederlo in condizioni decenti. So che sul satellite ha funzionato benissimo, io ne sono felice. Le strategie di rete non intaccano la forza di un prodotto, anche se le reti generaliste non hanno ancora capito la forza dei tempi. Li hanno sempre considerati dei tappabuchi e continuano a considerarli così. Quindi per ora il telefilm è inadatto alla rete generalista”.

Cosa ne pensa del fenomeno dei Subs che già fa spopolare in rete nuovi arrivi come Heroes?

“E’ un fenomeno interessantissimo. Ha permesso di migliorare i doppiaggi. Mi sembra un atto di amore molto bello, un esercizio linguistico molto utile. Trovo che sia una delle cose più interessanti che si sia vista ultimamente nel rapporto web/telefilm”.

Le fiction italiane perdono in partenza la sfida con i modelli americani. In termini di percentuale, quanta responsabilità va a sceneggiatori, produttori e attori?

“La percentuale è equamente divisa tra tutti. Non abbiamo ancora un’industria all’altezza di produrre telefilm di quel genere. La colpa è di tutti, compresso il basso livello attoriale”.

Quali prodotti riscuotono il suo gradimento nell’ambito della serialità italiana?

“Di sicuro quelli che più assomigliano agli americani. Ris, Distretto di Polizia, un po’ la Squadra ma solo un pochettino”.

Nel suo ultimo libro, Buona Maestra, c’è un interessante riferimento all’immagine cinematografica della Curva del Dormiglione ripresa a sua volta da un saggio di Johnson. Stando a questa brillante intuizione, quel che oggi è bistrattato e perennemente ostracizzato in ambito mediatico potrebbe un giorno essere riabilitato per il buon influsso esercitato sulle nostre capacità intellettive (vedi le competenze sviluppate dalla visione di un telefilm). Cosa potrebbe andare incontro a questo processo della tv attuale?

“Come spesso succede in questi giochi, potrebbe anche accadere un processo inverso, cioè che quello che oggi passa per essere la tv intelligente diventi una cosa inguardabile. La televisione è tanta, ci sono tanti programmi. Mi sembra un esercizio abbastanza inutile prendersela sempre con la televisione”.

Vista la sua mancata esposizione in video, ritiene che l’assenza di presenzialismo sia una garanzia di credibilità in un’era dominata dalla spettacolarizzazione del giornalismo?

“Io non vado in tv. Parlo solo per me. Ho deciso che facendo questo mestiere non posso andarci”.