Home Zelig Sergio Sgrilli a Tvblog: “Zelig mi ha dato tutto: soldi, popolarità e tante gastriti. L’Auditel impedisce di sperimentare, anche sul satellite”

Sergio Sgrilli a Tvblog: “Zelig mi ha dato tutto: soldi, popolarità e tante gastriti. L’Auditel impedisce di sperimentare, anche sul satellite”

Sergio Sgrilli parla del suo rapporto con Zelig: “Mi ha dato tutto: soldi, popolarità e tante gastriti. Ma ci siamo separati di comune accordo”

pubblicato 10 Luglio 2012 aggiornato 4 Settembre 2020 03:49

Sergio Sgrilli è stato per anni uno degli uomini di punta di Zelig Circus: negli ultimi tempi le sue presenze sul palco del programma di Canale 5 si sono diradate sempre di più, complici altri progetti nel mondo del cinema e della musica. Anche lui, dopo Beppe Tosco, Daniele Raco, Fabio Bonifacci, Enrico Beruschi e Roberto Gavelli, entra a far parte del nostro viaggio nella comicità in tv.

Sergio, qual è la situazione della comicità televisiva in questo momento?

“Beh, dipende se si vuole guardare il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Se si considera che Zelig ha preso il posto del Bagaglino, rispetto a qualche tempo fa abbiamo fatto un passo in avanti. Ma, dall’altro punto di vista, se si considera che Zelig è il nuovo Bagaglino, rispetto a qualche tempo fa abbiamo fatto un passo indietro. Detto ciò, devo ammettere che guardo davvero poca tv: non perché fa figo dire così, ma perché ho poco tempo libero, e in quel poco tempo libero non ho proprio voglia di mettermi sul divano a cercare qualcosa di interessante, anche perché non ho Sky. Insomma, sono sì un addetto ai lavori, ma non guardo lo strumento che uso”.

Quindi prendi le distanze dal piccolo schermo?

“Sì, ma non per snobismo. Anzi, mi piacerebbe scrivere un programma mio, e continuo a proporre idee, sia a Mediaset che a La7 che a Comedy Central. Però sono arrivate risposte solo negative”.

Sorpreso?

“Diciamo che da un canale monotematico come Comedy Central uno si aspetterebbe di trovare uno spazio a disposizione per sperimentare, invece no. Credo che il problema di fondo sia da individuare nell’Auditel, che crea un’ansia da prestazione che impedisce di provare nuove cose. Forse, per assurdo, lo spazio in cui si può sperimentare di più è la Rai, che può contare comunque su una fetta di pubblico consolidata”.

Foto © TM News

Chi ti piace dei tuoi colleghi?

“Stimo molto Enrico Brignano, che sta vivendo un periodo di splendida forma, è un artista in stato di grazia, un’evoluzione di Proietti e Sordi con una personalità sua: non li scimmiotta ma crea un mix perfetto. Ma in questo momento sono al massimo anche Paolo Migone e Giuseppe Giacobazzi: riescono a far ridere semplicemente stando sul palco, anche senza aprire bocca”.

Ma questo non è il frutto di un pregiudizio (anche se positivo)? Insomma, quando a Zelig un comico sale sul palco e viene accolto da un’ovazione di quindi secondi senza che abbia ancora aperto bocca, non vede sminuito il pezzo che andrà a proporre?

“Tieni conto che Zelig non viene mai registrato in uno studio, ma sempre davanti a un pubblico pagante. Ciò significa che è un pubblico vero, reale: se fa quell’ovazione, è perché vuole farla. Detto ciò, è vero che si verifica una sorta di consacrazione del personaggio, difficile da gestire soprattutto nel momento in cui l’applauso che ti accoglie all’ingresso è più forte dell’applauso che ti saluta all’uscita. È lo stesso principio per cui il pubblico aspetta il tormentone con ansia, e quasi non ascolta il resto del pezzo. Io fortunatamente (o forse dovrei dire purtroppo?) non ho mai avuto i boati iniziale, così mi godevo le ovazioni alla fine”.

Com’è il tuo rapporto con Zelig?

“Discorso lungo. Il succo è che loro vorrebbero sempre lo Sgrilli con la chitarrina. Su quel palco sono stati in tanti a provare il binomio musica-comicità, ma loro sono convinti che come lo faccio io non lo fa nessuno. Ma io ho 45 anni, non posso più fare lo Sgrilli con la chitarrina come dieci anni fa. Non mi soddisfa più. Adesso vorrei fare monologhi, parlare di altre cose, proporre ragionamenti. Solo che a Zelig di monologhisti ce ne sono già tanti, e mi hanno fatto intendere che li ritengono più forti di me.
Per questo abbiamo deciso di comune accordo di separare le strade. Non definitivamente, sia chiaro. Per esempio, quest’anno sono stato richiamato per la centesima puntata, e ho fatto un pezzo di quasi nove minuti, poi ho partecipato a un’altra puntata, sempre con un pezzo di nove minuti. Insomma, è un rapporto che per il momento si è concluso, ma con la massima serenità”.

Tutti d’amore e d’accordo, quindi?

“Dico sempre che Zelig mi ha dato tutto: soldi, popolarità e tante gastriti. E’ come una grande famiglia, c’è di tutto: il fratello pronto a darti una mano, il papà saggio, lo zio ubriacone, la cugina put**na… però poi a Natale ci si ritrova tutti a pranzo allo stesso tavolo. Non ha senso tornare lì per fare qualcosa in cui non mi riconosco più, meglio cercare posti che sento più miei”.

Beh, anche perché te lo puoi permettere. Un ragazzo a inizio carriera farebbe carte false per andare a Zelig.

“No, non credo, anzi: un comico giovane rifiuterebbe più facilmente i compromessi. Sarebbe ancora vergine, incontaminato, non avrebbe nulla da perdere. Il discorso è diverso per un comico di quaranta – cinquant’anni: il mutuo da pagare, la famiglia da mantenere, il manager che ti dice che il tuo cachet si sta abbassando, l’amico a cui non puoi dire di no, la signora che ti vede per strada e ti chiede come mai non sei più in tv… Tutti meccanismi dello show business in cui è facile rimanere intrappolato: se sei un personaggio televisivo, devi rimanere tale, e ti tocca ricoprire quel ruolo sempre”.

Torniamo a Zelig: è in crisi secondo te?

“No. Comici nuovi ce ne sono, e hanno da dire un sacco di cose: o cose nuove, o le solite cose ma in un modo diverso. Io credo che il programma abbia la possibilità di rinascere, ma non bisogna dimenticare che Zelig esiste da quindici anni. E’ cambiata la trasmissione ma è cambiato anche il pubblico. Il ventenne che nel 1997 non usciva la sera per vedere i comici, oppure che puntava il videoregistratore per riguardarsi la puntata il giorno dopo, adesso ha 35 anni: ci sta che abbia altri gusti”.

Quindi mi stai dicendo che lo Zelig di oggi non attira più i ventenni.

“Ma i ventenni oggi mica guardano la tv. O meglio, la guardano in maniera totalmente diversa, si rivedono i video il giorno dopo su Internet saltando la pubblicità, mentre twittano e scrivono su Facebook”.

Mi dicevi che tu vedi nuovi comici all’orizzonte.

“Ce ne sono, certo, ma il problema è un altro: che io, a 45 anni, dopo dieci anni di Zelig, due Concertoni del Primo Maggio e un programma con Cochi e Renato, sono ancora considerato un emergente. C’è qualcosa che non va”.

Tutto qui?

“No, c’è anche il problema che il pubblico italiano non è curioso, e il comico si adegua. Ormai la comicità televisiva tende a rassicurare la gente, a sedare le paure; invece dovrebbe spronare, distruggere e sconvolgere tutti i meccanismi consolidati. Una volta assistevi a uno spettacolo di satira pungente e alla fine del programma eri più incazzato di prima. E adesso?”.

Si può rimediare?

“Il problema di fondo è che in questo Paese c’è l’abitudine di dare etichette. Sgrilli è conosciuto come comico? Non può fare altro. Non fa niente se gira film o incide dischi, rimane sempre comico. Se fai musica non puoi essere attore, se fai musica e fai rock non puoi fare musica e fare blues, e così via…”

Quindi i tuoi prossimi progetti andranno al di là della comicità.

“Certo, sono impegnato anche al cinema, a ottobre mi vedrete nel film di Gianluca Ansanelli (titolo provvisorio, L’ultima spiaggia) con numerosi altri comici. E poi c’è Sanremo: da tre anni provo ad andarci, ma non mi hanno mai preso. Magari ci riproverò con Fazio…”

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