Home Interviste Le Ragazze, Cristiana Mastropietro: “Accogliamo in studio gli uomini perché crediamo nel confronto”

Le Ragazze, Cristiana Mastropietro: “Accogliamo in studio gli uomini perché crediamo nel confronto”

“La segregazione non ha mai portato nulla di buono”. Le Ragazze torna nel prime time di Rai 3 con una nuova edizione e un’importante novità: ne parliamo con Cristiana Mastropietro, CCO di Pesci Combattenti

13 Aprile 2024 11:24

Tornano questa sera, sabato 13 aprile, in prima serata su Rai 3 Le Ragazze, programma ormai cult per la sua maniera di raccontare con delicatezza, e al contempo con incisività, storie comuni e straordinarie di donne più o meno note che abbracciano diverse generazioni. Il primo incontro con le ‘Ragazze‘ è avvenuto nel 2016, quando avemmo l’onore di conoscerne alcune della ‘generazione’ del ’46, le prime che potettero votare in Italia (e resta una perla di tv e di memoria storica e civile). Seguirono Le Ragazze del ’68 e si arrivò poi alla formula meno ‘episodica’ e più stabile che ormai conosciamo e che vede in ogni appuntamento – passato dall’access prime time alla seconda serata per approdare in prima – intrecciarsi storie di diverse generazioni, tutte però accomunate dal fatto di essere per qualche tratto eccezionali, spesso per la loro semplicità. il più delle volte per la loro forza. Tanti esempi di vita, tanti modi di affrontarla che hanno contribuito a restituire negli anni un quadro frastagliato e realistico delle donne, lontano dall’immaginetta polarizzata che domina l’immaginario comune.

Le Ragazze 2024, le storie della prima puntata

Questa nuova edizione de Le Ragazze torna, dunque, a raccontarci storie di donne in quattro puntate, sempre condotte da Francesca Fialdini, ciascuna delle quali ci farà entrare nella vita di cinque donne che sono state ragazze in decenni diversi. Già nella prima puntata incontreremo Rosanna Bonelli, classe 1934, prima e unica fantina del Palio di Siena, Minnie Minoprio e Claudia Beltramo Ceppi, dure ragazze che hanno vissuto gli anni ’60 in modi molto diversi, con la prima che è un’icona dello spettacolo italiano che fece scandalo per amore e la seconda, liceale del Parini, che scatenò un putiferio con un articolo scritto sul giornale della scuola, diventato un caso nazionale. Si chiude con gli anni ’80 di Clizia Gurrado, che a 16 anni scrisse “Sposerò Simon Le Bon“, diventato un fenomeno di massa e un simbolo dell’epoca del Riflusso (di cui i Duran Duran sono stati buona parte della colonna sonora), e di Marina Comandini, artista visiva e compagna di vita e di lavoro del grandissimo fumettista Andrea Pazienza.

La novità: ne parliamo con Cristiana Mastropietro

In ogni puntata, dunque, un affresco eterogeneo di storie e di sguardi, che quest’anno ha una novità e non di non poco conto, ovvero la presenza in studio di un personaggio maschile proveniente dal mondo della cultura con il quale rileggere le storie viste. Quattro uomini per 20 donne: si inizia col regista Giovanni Veronesi, ospite e interlocutore di Francesca Fialdini nella prima puntata, e si proseguirà con Stefano Massini, Giancarlo De Cataldo e Gianni Riotta.

Una scelta che sulla carta presenta qualche insidia sia narrativa, in relazione al tipo di programma per come l’abbiamo conosciuto, che ‘sociale’, visto che l’inserimento di un uomo a commentare le storie narrate può avere i suoi rischi. Proprio da qui siamo partite nella chiacchierata che abbiamo avuto il piacere di fare con Cristiana Mastropietro, Chief Creative Officer della casa di produzione Pesci Combattenti, che ha dato vita a questo gioiellino e che da ormai 9 stagioni (6 da prime time) lo cura con maniacale attenzione.

Le Ragazze Cristiana Mastropietro

Bentornate, Ragazze. Sempre un piacere ritrovarvi, dal momento che siete stata una ‘rivoluzione’ nel modo di raccontare il ‘femminile’, per usare un’espressione forse un po’ datata. Ma quest’anno avete deciso di introdurre nel racconto anche lo sguardo maschile. Perché?

Perché non vogliamo fare un gineceo. Perché credo davvero che ci sia un urgente bisogno di confronto col maschile, mai come in questo momento. Penso che la ‘segregazione’ non sia mai stata una via utile per nulla; credo piuttosto nella condivisione, nella dialettica, anche nello scontro se vuoi, ma sempre all’insegna dello scambio.

Qual è l’idea di confronto che vi ha guidato?

Intanto avevamo voglia di far vivere di più lo studio e avevamo deciso di avere un ospite di puntata. Se avessimo chiamato altre donne avremmo avuto un doppio ordine di ‘problemi’: in primis, quello di ‘giustificare’ la presenza di una ospite femminile in una formula diversa dalla consueta. Perché, insomma, una sarebbe stata in studio e non protagonista della storia come le altre? In secondo luogo, avremmo corso il rischio di chiuderci in una dimensione autoreferenziale e non volevamo farlo. Perché allora non aprire le porte di questa sorta di ‘sorority’ agli uomini, perché non  accoglierli in studio per sentire cosa ne pensano delle storie di puntata e ascoltare le loro esperienze con il femminile. Del resto ne ‘Le Ragazze’ si parla molto di maschi: le storie delle protagoniste sono attraversate dai confronti, dagli scontri, dalle complicità, dall’amore, talvolta dalla violenza di padri, fratelli, fidanzati, mariti, amanti, figli… Si parla tanto di uomini, in tanti modi diversi e abbiamo voluto incontrarli e sentire la loro opinione, in forma di breve intervista a commento – e non solo – delle storie di puntata guidata da Francesca Fialdini, sempre preziosissima. Io sono molto contenta di quello che ne è venuto fuori…

Inevitabilmente, e in modo senza dubbio banale, sentendo parlare di storie di donne e di uno sguardo maschile a commento il mio pensero corre subito ad Harem, soprattutto nelle edizioni condotte da Catherine Spaak. Ai più giovani non dirà nulla, ma RaiPlay ci aiuta a fare storia della televisione e chi non l’avesse mai visto può approfittare dell’archivio Rai. Diciamo che si sentono echi di quella dimensione lì…

Beh, Harem è un programma che ha fatto veramente la storia della televisione: possiamo dire che è stato il primo programma ‘di genere’. Col massimo rispetto e con la più grande ammirazione anch’io ho pensato ad Harem quando è venuta fuori questa questa idea, sebbene l’idea di fondo e la struttura siano molto diverse: noi non abbiamo nessun ‘uomo misterioso’, non facciamo un talk tra donne, le storie sono tutte diverse e filmate… Insomma, è un altro format, ma capisco che il fatto che ci sia un uomo sul finale di puntata possa far venire alla mente Harem e devo confessare che la cosa in fondo mi fa piacere: è un programma che seguivo e che ho sempre ammirato, con una sua liturgia e uno stile meraviglioso.

Torniamo a noi. Qual è stato il criterio con cui avete scelto gli ospiti?

Come per le storie delle Ragazze, anche per gli ospiti abbiamo cercato profili diversi e generazioni diverse: abbiamo un ‘ragazzo’ degli anni ’80, uno degli anni ’90 e 2 ragazzi degli anni ’70, per cui direi che le proporzioni anagrafiche sono state rispettate rigorosamente anche nella scelta degli ospiti maschili. Tutti però hanno un tratto in comune: sono persone abituate a raccontare e ad ascoltare storie, ciascuno nel proprio campo. Avremo, dunque, Giovanni Veronesi, Stefano Massini, Giancarlo De Cataldo e Gianni Riotta. Ad interessarci non è solo il loro modo di guardare alle storie di puntata, quanto – e soprattutto – ascoltare le loro storie.

Come si sono ‘comportati’? (Si sorride) C’è stato qualcosa che ti ha sorpreso in maniera particolare?

Devo dire che tutti sono entrati in punta di piedi, quasi ‘preoccupati’ di disturbare, di invadere spazi non concessi. Sono stati tutti davvero fantastici ed estremamente generosi. Sono arrivati tutti con un amore per le donne, con un rispetto, con una delicatezza, con la voglia di portare il proprio contributo, di partecipare… è stato molto bello e spero lo vediate. Se vuoi sapere la cosa che mi ha colpito, più che sorpreso, è che sono più ‘arrabbiati’ loro per certe dinamiche e certe condizioni di molte donne, legate a o cresciute con certe convinzioni. Certo, il tema di genere è anche estremamente aspro e doloroso e anche per questo non bisogna mai semplificare troppo, non bisogna mai banalizzare, né polarizzare…

Ti aspetti delle critiche per questa scelta?

Ma guarda, probabilmente ci sarà qualcuno che contesterà la scelta. “Bisognava chiamare un uomo perché venisse riconosciuto il valore delle donne? C’era bisogno di avere degli uomini alla fine per sentirci dire che siamo brave?”. Ecco posso immaginare commenti del genere, ma la risposta per me è nella convinzione profonda che, come dicevo prima, la segregazione non sia utile mai a nessuno e che il confronto sia un modo per crescere. Come dicevo, abbiamo cercato di mettere insieme delle persone che avessero voglia di dare un contributo, in questo caso ovviamente ‘di parola’, e che lo avessero in fondo già dato con il loro lavoro. Sicuramente ci potrà essere qualcuno che storcerà il naso, ma ti dico anche che nessuna delle ‘Ragazze’ lo farebbe: considero la presenza degli ospiti maschili un importante arricchimento del programma. Vorrei, però, aggiungere una cosa…

Le Ragazze Francesca Fialdini

Dimmi…

Permettimi di ringraziare Francesca Fialdini: ha fatto suo questo programma con talento e sensibilità grandissimi. Vedrete come, nelle interviste, gli ospiti si siano affidati e si sia ‘sciolta’ ogni timidezza, ogni barriera nel dialogo con lei. È stato un dialogo sempre assolutamente libero, aperto, in un contesto in cui non si è mai voluto aspettare l’ospite al varco della polemica o dell’inciampo. Sono venute fuori storie bellissime. Quel che mi ha fatto molto piacere è stato percepire nettamente l’autenticità degli ospiti nel raccontarsi e nel partecipare… Ecco perché parlo di arricchimento.

Autenticità è forse LA parola chiave del programma: tutte le storie che ci avete raccontato in questi anni profumano di vero, di vissuto, di verità, con tutta la forza dirompente della testimonianza che la confezione esalta e non mortifica, non esaspera, non spettacolarizza. 

Ecco, sì, l’autenticità per noi è la condicio sine qua non. Ti dico che ci è capitato di dover rinunciare a storie anche molto interessanti perché rischiava di mancare proprio questa, che invece è proprio l’essenza del programma…

Storie autentiche per le quale c’è sempre un grandissimo lavoro di casting. Ecco, dove le trovate queste storie? Come ci si arriva?

La redazione è il vero motore del programma col suo incredibile lavoro di ricerca, che dura mesi: si cercano le storie, talvolta ci si imbatte in esse, ma poi vanno ricostruite, approfondite, verificate… Tanto più sono ‘minime’ tanto più ci piacciono e richiedono tempo. Io ho una passione particolare per le storie di donne che hanno fatto mestieri ‘semplici’ e che apparentemente hanno condotto vite ‘semplici’, ma che sono sempre di una potenza assoluta. Abbiamo avuto contadine, lavandaie, panettiere. Quest’anno abbiamo una pescatrice…

Mestieri semplici o inusuali, spesso storie di pioniere oltre a quelle di personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura: la varietà è uno dei tratti distintivi di questo grande affresco corale e storico della ‘Questione femminile’ (motivo per cui inserirei questo programma nelle collezioni dedicate all’argomento…). Puoi raccontarci qualcosa di più delle protagoniste di quest’anno?

Beh parto proprio da Rosella Orlandi, prima e unica donna pescatrice del lago di Garda, che impara il mestiere dal padre e lo farà per tutta la vita: la sua storia è uno spaccato sociale, culturale, antropologico di un territorio e anche di storia di un mestiere antico. C’è la storia meravigliosa, con cui apriamo, che è quella di Rosanna Bonelli,unica donna nella storia a correre il Palio di Siena, nel lontano 1957, per una serie di circostanze assolutamente fortuite che però non sono riuscite ad aprire la strada alle fantine per il Palio. Il suo soprannome era ‘Rompicollo’ ed è talmente rompicollo che ormai quasi novantenne, Rosanna continua ad andare a cavallo. Un’altra storia bellissima, che ti racconta gli anni ’80 da una prospettiva del tutto particolare è quella di Marina Comandini, moglie di Andrea Pazienza, cui fa da ‘contraltare’ quella di Clizia Currado, autrice di “Sposerò Simon Le Bon”. C’è poi la storia di Maria Grazia Calandrone, arrivata in finale allo Strega con Dove non mi hai portata nel quale racconta la sua storia che mi ha incantato – e che per questo ho voluto – per il suo essere incredibilmente dolorosa ma anche di grandissima rinascita: Maria Grazia è una ragazza degli anni ’80 ma racconta un’Italia  rurale degli anni ’50 agghiacciante, in cui la madre era sostanzialmente una schiava del marito e della famiglia.

In tutto sono venti le protagoniste di questa edizione: non sono certo poche…

Sono tante le storie, non voglio far torto a nessuno, ma è difficile non pensare alle decane: tra loro Misselvia, all’anagrafe Elvia Figliuolo, la prima paroliera italiana, che ha tradotto in italiano musical come Cantando sotto la pioggia, che ha scritto per Mina, per Natalino Otto, per Dalida… a lei dobbiamo anche “Siam tre piccoli porcellin”… Insomma, una istituzione che tra pochi mesi compie 100 anni e ne dimostra sì e no 70! E poi c’è Franca Re Dionigi, un altro personaggio meraviglioso che dal 1939, ovvero da quando aveva dieci anni, lavora nel negozio di materiale elettrico del papà in corso Garibaldi a Milano. Una vita spesa tra quelle quattro mura, ma di una potenza straordinaria: oggi è ormai cieca, ma tutti i giorni scende dall’appartamento in cui vive e apre il suo negozio. Ci sono delle persone ad aiutarla, ma sa esattamente cosa è meglio per ciascun cliente e dove trovarlo: sai, pensavamo che con lei sarebbe stato complicato affrontare il racconto con le foto e invece le ricorda tutte, nel dettaglio… Una storia bellissima. E poi ce n’è una davvero particolare quest’anno…

Sono curiosa…

Una delle decane di questa edizione è mia madre. Ci siamo interrogati molto io e mio fratello Riccardo, che con me ha ideato e produce il programma del quale è anche regista, sull’opportunità di farlo. Ma poi ho pensato all’omaggio che il regista Rob Reiner fece alla mamma regalandole la battuta cult di Harry ti presento Sally nel diner (ride). Scherzi a parte, nel 2024 è caduto l’80esimo anniversario delle Fosse Ardeatine e mia mamma è un’orfana di uno dei martiri delle Fosse, una delle bimbe salite sui cosiddetti Treni della felicità, che trasportavano i bambini da rifugiare in altre zone di Italia in attesa di tempi migliori. Mio fratello ed io ci siamo guardati e abbiamo capito che nessuno meglio di nostra madre poteva raccontarci quella storia, anche perché noi ci siamo cresciuti con quei racconti… È stato un momento davvero catartico…

A proposito di memoria, di madri, di catarsi, di storie, di donne, l’ultimo anno cinematografico è stato segnato dal successo di C’è ancora domani di Paola Cortellesi. I racconti al femminile, insomma, sono di grande attualità, diciamo…

Direi di sì. E ben venga il dibattito. Come dicevo, è sempre importante parlare e confrontarsi. E questa è una delle nostre cifre…

Giusto. Detto questo, a mio avviso, la forza delle testimonianze dirette non è paragonabile a questo genere di film: da questo punto di vista, Le Ragazze del ’46 è un documento davvero potente, che merita di essere rivisto, studiato, portato nelle scuole. Le ragazze che hanno potuto votare nel ’46 stanno ormai scomparendo…

Ci pensavo giusto in questi giorni: molte di quelle dieci donne così belle, forti, straordinarie non ci sono più…

… e quindi, e a maggior ragione, quella raccolta di storie è una memoria preziosissima. Il racconto della ‘terza generazione’ rischia di essere edulcorato, diluito, mitizzato, travisato. E allora nel rinnovare l’appuntamento con la nuova edizione de Le Ragazze, da stasera su Rai 3 e su RaiPlay (in streaming e on demand), ne approfitto per rinnovare a tutti l’invito a rivedere Le Ragazze del ’46: non c’è niente di meglio – per storie, confezione, racconto, spirito, atmosfere e autenticità – per capire cos’era l’Italia del Ventennio e del Dopoguerra e per capire meglio cos’è oggi. Davvero.