Home Notizie E venne il giorno in cui la TV scappò

E venne il giorno in cui la TV scappò

Se una accusa feroce e spietata poteva essere mossa alla televisione dei nostri tempi era l’ubiquità, l’intromissione forzata – cinica, ma allo stesso tempo morbosamente necessaria – nelle nostre vite con una profusione incessabile ed ipnotica di immagini e notizie. Dall’agonia di Giovanni Paolo II agli incombenti marosi dello tsunami asiatico, dalla ricostruzione minuziosa dei

19 Luglio 2005 16:47
Il Tubo Canonico - di Nick

londra

Se una accusa feroce e spietata poteva essere mossa alla televisione dei nostri tempi era l’ubiquità, l’intromissione forzata – cinica, ma allo stesso tempo morbosamente necessaria – nelle nostre vite con una profusione incessabile ed ipnotica di immagini e notizie.
Dall’agonia di Giovanni Paolo II agli incombenti marosi dello tsunami asiatico, dalla ricostruzione minuziosa dei fatti avvenuti in una baita valdostana ai disperati gesti degli impiegati intrappolati nelle Torri Gemelle in fiamme, le telecamere (e con loro i nostri occhi e le nostre coscienze) sono state sempre presenti per testimoniare e documentare, per investire le nostre intimità con fiumi irrefrenabili di zoom, replay, ipotesi e scoop, spesso rubati con teleobiettivi ai quali non potevamo (o volevamo) sottrarci, se non privando di attività elettrica il fulcro della nostra giornata interattiva: quella scatola ultrapiatta e arrogante che ci guarda immobile dal salotto.
Bastava rimanere lì seduti, immobili e sconvolti, per ricevere le frustate morali di una decapitazione o di una rivendicazione, di un omicidio e di una speculazione, inaugurando quella che da molti è stata ribattezzata “l’era dell’informazione passiva”, take-away, da asporto, consegnata al nostro domicilio già cotta e masticata… solo da digerire.

Gli attentati londinesi del 7 luglio scorso, invece, hanno stravolto ogni aspettativa e ogni routine televisiva imponendo quello che Furio Colombo, dalle colonne dell’ultimo numero di Diario, definisce “embedded London“, la Londra proibita e sottratta al voyouerismo sensazionalista, alle speculazioni universali, al furto di immagini ingrandite a dismisura, allo scontato teatrino delle parole attorno al nulla. Per la prima volta la realtà si è voltata dall’altra parte, si è coperta il capo adombrandosi di dolore e dignità, ci ha sospinto lontano con ferma delicatezza. Certo, i teleobiettivi si sono affannati nel strappare qualche fotogramma sfocato e mosso alla disperazione dei soccorsi e allo smarrimento dell’evento, ma la televisione vivida, aggressiva e invasiva che conosciamo quotidianamente era lontana anni luce dall’alienante isolamento di quella lunga mattinata.

Un’occasione per fermarci a riflettere, abbassare il volume e cercare dentro di noi quelle risposte che troppo stesso riceviamo impropriamente dalla saccente scatola di plastica.