Home Notizie Un’altra vita, Cesare Bocci a Blogo: “Non ci aspettavamo un tale successo. Ben venga la seconda stagione, l’importante è tenere alta la qualità”

Un’altra vita, Cesare Bocci a Blogo: “Non ci aspettavamo un tale successo. Ben venga la seconda stagione, l’importante è tenere alta la qualità”

L’attore commenta con noi il successo della fiction di Raiuno che si è chiusa ieri sera con oltre otto milioni e mezzo di telespettatori.

pubblicato 15 Ottobre 2014 aggiornato 2 Settembre 2020 23:17

L’ultima puntata di Un’altra vita, andata in onda ieri sera, è stata un grande successo che ha visto oltre otto milioni di telespettatori sintonizzati su RaiUno, con uno share del 32%, numeri che difficilmente ormai vengono raggiunti dalle serie televisive delle reti generaliste. Un successo di cui abbiamo oggi parlato con uno dei protagonisti della fiction, Cesare Bocci, attore di grande bravura e anche molto amato, soprattutto dal pubblico femminile. Un pubblico che lo ama anche per il suo grande impegno in numerose iniziative benefiche, ultime in ordine cronologico quella come testimonial di Save the children e del Mese del Benessere Pscicologico, importante campagna di sensibilizzazione e promozione della cultura psicologica di cui l’attore ci ha parlato nel corso della nostra intervista. La sua esperienza sul campo nell’ambito di numerosi progetti benefici, del resto, lo aveva portato lo scorso anno ad essere uno dei protagonisti del docureality di RaiUno Mission.

Un’altra vita ha raggiunto picchi di ascolto altissimi. Vi aspettavate un simile successo e siete pronti per la seconda stagione?

Non ci aspettavamo sinceramente un successo così grande. Eravamo convinti che fosse un prodotto con una possibilità di prendere un pubblico abbastanza vasto, soprattutto quello femminile, visto che poi è una storia al femminile. C’erano tantissimi elementi che ci facevano quindi pensare potesse avere successo, ma questi numeri sono veramente alti e siamo davvero felici di essere andati oltre le nostre aspettative. Penso che quando metti elementi giusti poi i frutti si raccolgono. Bisogna puntare alla qualità e non pensare che la televisione va male. La televisione va male se è brutto il prodotto. Solitamente si festeggia per 5 milioni di telespettatori, pensando che possa essere il massimo da ottenere e invece non è così. Per quanto riguarda la seconda stagione, quando stavamo finendo di girare abbiamo pensato che ci sarebbe stata. Ora ci è stata data la conferma ed è una cosa giusta. La televisione credo debba fare anche profitto, sotto certi aspetti, e con dei prodotti così si fa. Quindi ben venga la seconda stagione, l’importante è tenere sempre alta la qualità, visto che di solito le seconde serie vanno sempre a scendere.

Pietro è un personaggio diverso da quelli che hai interpretato fino ad ora. Ti sei divertito a interpretare il cattivo per una volta? È stata una sfida dal punto di vista attoriale?

Mi sono divertito molto, perché per un attore interpretare un cattivo è sempre più divertente che interpretare un buono. Tra l’altro per questo personaggio c’era in più l’elemento che rappresentava tanti di quei personaggi reali che sono stati indagati e poi magari arrestati in questi ultimi 10-15 anni, quei furbetti del quartierino che avevano in comune con il mio personaggio una sorta di incoscienza, il dire “tanto lo fanno tutti, che ho fatto di male?”.

Non è stata una sfida. Un attore è vero che non può interpretare tutto, perché tutti gli attori hanno dei limiti, però che si pensi che io non possa fare il cattivo perché ho gli occhi azzurri e i lineamenti gentili, questo no. Vedermi solo nei panni di un buono è riduttivo per chi mi sceglie e per me che lo faccio. Se hai un bravo attore – e non mi sto incensando, questo vale per me come per gli altri – perché non rischiare sulla sua professionalità, perché non provarlo in altri ruoli?

Se nella fiction eri il cattivo, nella vita possiamo dire invece che sei un buono: nel corso degli anni sei stato testimonial in numerose e diverse iniziative benefiche, ultime quella di Save the children e quella del Mese sul Benessere Psicologico. Pensi sia un dovere, per chi fa parte del mondo dello spettacolo, pensare anche a chi è meno fortunato?

Sì, con Save the children uscirà a breve una nuova campagna. Quanto al Mese del Benessere Psicologico c’è da dire che è una iniziativa assolutamente gratuita per chi ne usufruirà. Ed è quello che mi ha spinto ad esserne testimonial, altrimenti sarebbe stato solo uno spot per l’Associazione Psicologi italiani. Questa Associazione, che ha sede un po’ in tutte le regioni, offre alle istituzioni, come ad esempio le scuole, ma anche ai singoli cittadini, la possibilità di avere una consulenza psicologica gratuita, perché spesso è difficile farcela da soli, ma anche avvicinarsi alla psicologia, perché uno ha sempre timore di fare la figura del pazzo. Invece in molti casi è utile farsi aiutare, prima che i problemi diventino più grossi e sfocino in qualcosa di più grave e più serio. Credo che sia un dovere per un personaggio pubblico prestarsi a queste iniziative benefiche, ciascuno di noi dovrebbe firmare un contratto, una volta raggiunta la notorietà, con cui si impegna a prestare parte del suo tempo per un’iniziativa sociale o benefica importante. Si fanno tante polemiche sul fatto di utilizzare o meno un volto noto per questa o quella iniziativa, ma la pubblicità è l’anima del commercio e questo concetto vale anche in questo ambito. Non tutte le campagne hanno delle idee prorompenti che possano arrivare al pubblico, quindi nella maggior parte dei casi è chiaro che con un volto noto si arrivi di più. È chiaro che non sarà il personaggio noto a far sì che si raccolgano più soldi in una campagna, quello sta alla coscienza delle persone. La nostra partecipazione serve più che altro per avere una risonanza mediatica, per far sì che se ne parli. Con Mission ad esempio abbiamo raccolto 2 o 3 milioni di euro. E allora chi se ne importa se nella campagna magari c’è un volto noto che a qualcuno non piace, l’importante è che si smuovano le coscienze e si raccolgano i soldi che servono.