Home Amore Criminale Amore Criminale, Matilde D’Errico a Blogo: “Barbara De Rossi è perfetta nel suo ruolo. Gli ascolti? Non abbiamo mai subito pressioni”

Amore Criminale, Matilde D’Errico a Blogo: “Barbara De Rossi è perfetta nel suo ruolo. Gli ascolti? Non abbiamo mai subito pressioni”

Lunedì 20 ottobre parte la nuova stagione di Amore Criminale. Ecco cosa ci ha raccontato l’ideatrice, autrice e regista del programma.

pubblicato 17 Ottobre 2014 aggiornato 2 Settembre 2020 23:22

Lunedì 20 ottobre, in prima serata su Raitre, torna l’appuntamento con una nuova stagione di Amore Criminale, con otto nuove puntate raccontate ancora una volta dalla brava Barbara De Rossi, alla conduzione del programma ormai da due anni. La trasmissione, così come accaduto nella scorsa stagione, prevede anche quest’anno la narrazione in ciascuna puntata di due storie: quella di una donna che è stata uccisa dal suo compagno o dal suo ex, e quella di una donna che invece è riuscita a salvarsi e a uscir fuori da un vortice di violenza. A raccontarci, oggi, ciò che vedremo dalla prossima settimana è Matilde D’Errico, che di Amore Criminale è ideatrice, autrice e regista e che ha in uscita un libro nato proprio dall’esperienza sul campo, dal titolo L’amore criminale.

Quali saranno le novità di quest’anno ad Amore Criminale rispetto alle altre stagioni?

In ognuna delle otto nuove puntate saranno raccontate due storie, quella di una donna che si è salvata e quella di una donna che invece non c’è più. La differenza, rispetto all’anno scorso, è che le donne sopravvissute saranno intervistate in studio da Veronica De Laurentiis, che ha alle spalle una storia di violenza molto pesante e che può quindi immedesimarsi in quello che le donne hanno passato e metterle molto a loro agio. E soprattutto lei è la prova provata che si può rinascere da una storia di violenza. E questa è la cosa veramente importante.

Un altro aspetto su cui mi pare di aver capito si focalizzerà molto l’attenzione in questa stagione è quello dei figli di una coppia in cui la madre viene uccisa…

Sì. Quello dei figli delle vittime, di questi orfani, è un tema che ha sempre fatto da sottofondo alle nostre storie. Quest’anno in particolare, abbiamo voluto dedicargli un’attenzione in più, perché quasi tutte le storie che abbiamo raccontato quest’anno sono storie di donne che hanno lasciato dei bambini. E la domanda è: dove vanno a finire questi bambini? Come cresceranno? Nella migliore delle ipotesi, quelli più fortunati verranno affidati magari a una zia materna, ai nonni. Ma intanto spesso i nonni sono molto anziani e si ritrovano quindi a vivere una genitorialità tardiva e spesso non ne hanno le forze, le energie fisiche o mentali. A volte questi bambini vanno a finire in istituto, in attesa che un giudice li dichiari affidabili o adottabili. In particolare – ed è questa l’altra novità di questa edizione – è un tema che abbiamo sviscerato con una psicologa e criminologa, Anna Costanza Baldry, una docente universitaria che tra l’altro sta portando avanti un progetto di ricerca con l’università di Caserta su questi orfani particolari. Ne parleremo molto quindi, sia nelle storie che in studio.

Siete arrivati alla quindicesima stagione e avete raccontato oltre 200 storie fino ad ora. La cosa che colpisce è che purtroppo ci sono sempre più storie di violenza da raccontare. Credi che la vostra trasmissione possa contribuire a far sì che storie del genere non si ripetano?

Da una parte la nostra è una trasmissione televisiva, e come tale ha il compito di sensibilizzare sul tema, di offrire degli spunti di riflessione, a chi – vuoi in modo consapevole o vuoi in modo inconsapevole – certe domande proprio non se le fa. Da questo punto di vista quindi la trasmissione dà un contributo molto prezioso, perché pone all’attenzione di tutti che la violenza sulle donne esiste, anche nelle migliori famiglie, e che naturalmente non bisogna chiudere gli occhi davanti a questo fenomeno. Non a caso alla trasmissione è associata una campagna di denuncia e sensibilizzazione che va avanti da quando è nato Amore Criminale. Credo quindi che già riuscire a far interrogare la gente, a portarla a farsi delle domande, è un grande risultato, soprattutto in una televisione dove sempre di più i programmi televisivi sono pensati solo a puro scopo di evasione. Un altro dato importante, e che ci riempie di orgoglio, è che a qualche donna la pelle l’abbiamo davvero salvata. I nostri filmati di docufiction fanno da specchio: se una donna che vive una situazione di violenza fisica o psicologica vede se stessa in una di quelle storie, che sono naturalmente degli archetipi, a volte pensa di poter fare la stessa fine, di vivere una situazione analoga, soprattutto nel caso di violenza psicologica, che è quella meno riconoscibile. E sono tante le donne che ci scrivono, dopo aver visto le puntate.

La vostra è una trasmissione di servizio pubblico. Da questo punto di vista, avete mai sentito la pressione degli ascolti o no?

È chiaro che gli ascolti vanno fatti, perché è insito nel mio lavoro di autore televisivo ragionare sugli ascolti. Così come è chiaro che una trasmissione televisiva viene fatta perché venga vista, ancora di più in una trasmissione come Amore Criminale, la cui funzione come dicevamo prima è quella di sensibilizzare e informare. Se invece parliamo di pressione degli ascolti, quella non l’abbiamo mai subita, per due ragioni: noi de La Bastoggi siamo anche gli autori del programma e il nostro format non può essere modificato da nessuno; l’altro aspetto è che Raitre è una rete molto seria e molto rispettosa, che considera Amore Criminale una trasmissione di servizio pubblico e non ha mai utilizzato gli ascolti per chiederci di cambiare qualcosa, come ad esempio premere il pedale su aspetti che magari ci avrebbero fatto fare più ascolti. Ed è chiaro quindi perché Amore Criminale vada in onda su Raitre. Detto ciò, gli ascolti ci sono e sono molto buoni.

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Dicevi prima che con la vostra trasmissione voi volete informare e sensibilizzare il pubblico. E poi, cosa credi che si possa ancora fare?

Sì, informare e sensibilizzare, ma anche fare delle domande alle istituzioni. Il problema principale è di carattere culturale, ma quando uso questa espressione non intendo che sia una cosa legata al grado di istruzione. Io parlo proprio di mentalità. Bisogna in maniera pedagogica fare una grande operazione di educazione culturale, a cominciare dalle scuole, perché la violenza sulle donne è esclusivamente un fatto di potere dell’uomo sulla donna, e questo va sradicato alla base. Questa è la prima forma di prevenzione. Del resto basta pensare al nostro mondo del lavoro, che è ancora molto maschilista. Il potere è gestito esclusivamente dagli uomini, fa ancora scandalo oggi che una donna possa gestire il potere, avere un ruolo di primo piano nel mondo dirigenziale. La seconda forma di prevenzione è legata al fatto che quando una donna denuncia si trova a vivere una situazione complessa, perché non ha un’altra casa in cui andare. Lo Stato deve porsi questo problema: dove va a stare una donna che ha denunciato una situazione di violenza? Non sempre poi alla denuncia seguono risposte veloci da parte delle istituzioni. In questa edizione di Amore Criminale, ad esempio, abbiamo raccontato un caso in cui una donna ha denunciato il 19 aprile delle minacce di morte molto serie e pesanti. I carabinieri hanno fatto di tutto per proteggerla, sono andati poi in Procura chiedendo che si potesse procedere per stalking, e questo avrebbe permesso loro di procedere all’arresto nell’attesa che si chiudessero le indagini e iniziasse il processo. Il magistrato non ha invece ritenuto che si trattasse di stalking, ma di un reato di minacce e ingiurie, che è un reato minore e che non prevede a questo punto l’arresto come misura cautelare. Quella donna, un mese e mezzo dopo, è stata uccisa. Per carità, si è trattato di un errore e può capitare, i magistrati sono uomini. Però è un errore che succede spesso e la risposta delle istituzioni è molto lenta. La violenza sembra essere considerata ancora una questione privata tra coniugi. Il terzo punto, poi, è quello di fornire ai centri antiviolenza delle forme di sostegno economico, perché altrimenti quei centri chiudono, e invece svolgono un ruolo prezioso in questi casi. In Italia i centri antiviolenza vanno avanti per miracolo, facendo i salti mortali, perché non hanno soldi per pagare gli affitti, per pagare gli operatori specializzati che ci lavorano. E questo del resto accade in un Paese in cui il governo in carica non si è posto il problema di nominare un Ministro per le Pari Opportunità.

Il successo di Amore Criminale è anche dovuto all’equilibrio perfetto che c’è tra docufiction e parte in studio. La vostra trasmissione è stata forse quella che ha reso popolare in tv lo strumento della docufiction e che ha aperto la strada a questo genere, che ora è utilizzato anche in altri programmi. Come vivi questa cosa?

In passato abbiamo realizzato forse la docufiction delle docufiction, Residence Bastoggi, ormai dieci anni fa. Io e Maurizio Iannelli siamo stati pionieri di questo linguaggio, che abbiamo portato in tv e fatto conoscere. Ovviamente era un linguaggio che c’era già e si conosceva in televisione, ma siamo stati i primi a studiarlo e a volerlo fortemente realizzare. E da Residence Bastoggi in poi abbiamo realizzato tantissime docufiction. Ci riempire d’orgoglio aver aperto una strada poi ripresa anche da altri.

Alla conduzione di Amore Criminale ci sarà ancora una volta Barbara De Rossi, che secondo me è perfetta in questo suo ruolo di narratrice. Immagino anche per voi, visto che l’avete riconfermata…

Barbara è una narratrice straordinaria e da parte di noi autori c’è la piena volontà di riconfermarla, anzi ci auguriamo che possa accompagnarci anche nelle prossime edizioni di Amore Criminale. Barbara ha veramente sposato il tema e sposato la causa. È un’attrice di grande esperienza e grande talento, con lei abbiamo fatto anche un lavoro strepitoso per riuscire a trovare la misura giusta della sua presenza in video, che deve essere partecipata, ma non assolutamente piena di enfasi, ma neanche distaccata. Poi basta vedere la trasmissione e sentire anche la qualità della sua narrazione, della sua voce fuoricampo, del doppiaggio che lei fa: è perfetta in questo ruolo.

Quanto è difficile dal punto di vista psicologico doversi occupare di un programma come Amore Criminale?

Lo è, e anche molto. Questo è stato anche l’oggetto del mio racconto in un libro che uscirà per Einaudi il prossimo 21 ottobre e che si intitola L’amore criminale. La parte più delicata e dolorosa è l’incontro con le famiglie delle vittime, perché è un rapporto con delle persone che vivono una situazione particolare. Incontrare un padre e una madre a cui è stata uccisa una figlia, e uccisa in quel modo brutale, significa incontrare dei sopravvissuti. Poi ti accorgi che in quell’incontro, per la puntata di Amore Criminale, gli dai un po’ di sollievo, perché li fai sentire meno soli, perché non li fai sentire abbandonati, perché gli dimostri che le vittime vengono ricordate. Perché le vittime vengono tutte dimenticate, diventano un numero che ingrossa una fredda statistica. Con la trasmissione, invece, è come se per due ore tu le riportassi in vita. Il rapporto con le famiglie è quindi un momento di grande dolore ma anche di grande ricchezza, perché c’è uno scambio umano vero. La cosa che mi colpisce sempre quando entro nelle loro case è che è come se ogni volta mi volessero trattenere, come se l’incontro con me, il lavoro che io sto per fare gli riporta in vita la figlia.

Quindi da questa tua esperienza con Amore Criminale è nato anche un libro…

Nasce un libro che mi ha chiesto Einaudi e che sarà nelle librerie dal 21 ottobre, dal titolo L’amore criminale. Intanto non è tout court la trascrizione di Amore Criminale, è un libro che nasce da questa esperienza, dedicato alla violenza contro le donne e che nasce da una mia riflessione sul tema. È una sorta di diario in cui racconto in prima persona tutto ciò che ho visto e scoperto parlando di violenza di genere e di violenza sulle donne. Racconto anche una decina di storie che ho conosciuto grazie ad Amore Criminale, quelle che mi hanno colpito di più e che mi hanno lasciato qualcosa. A queste donne ho voluto dedicare queste pagine, e ho cercato di utilizzare questa possibilità come ulteriore stimolo di riflessione su un tema del genere, raccontando anche il mio viaggio interiore visto che quando ti occupi per anni di queste storie il tuo sguardo cambia, anche sul mondo maschile.

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