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Duecento al secondo, un quiz soppresso dalla stampa unanime. Non ancora orientata?

Negli anni Cinquanta la critica riuscì ad eliminare un quiz sadico. Oggi?

pubblicato 24 Maggio 2011 aggiornato 5 Settembre 2020 06:14


Oggi voglio raccontarvi una storia, che vi consiglio di recuperare integralmente nel nuovo libro Decode o/r Die, uno studio infografico applicato alla tv appena edito dalla preziosa collana Link – idee per la televisione,.

E’ la storia di Duecento al secondo, ovvero il caso di un programma televisivo che è stato letteralmente soppresso dai giornali, “quando la televisione ancora faceva scandalo… e la critica era un verdetto”. Abbeverandosi dagli aneddoti storici di Aldo Grasso, era il lontano 22 settembre 1955 quando la Rai spense dopo quattro mesi il primo gioco a premi della tv, un format americano (Dollar a Second) riscritto nientemeno che da Garinei e Giovannini e condotto dal grande Mario Riva.

La formula era spietatamente attuale, accomunata in quanto a sadismo a quella di uMan – Take Control (che in compenso è stato cassato da un lungimirante direttore di rete con posizioni tutte sue):

“Un cronometro scandisce il tempo a disposizione del concorrente, il quale, per ogni secondo che resiste in video al fuoco di prove e quesiti, guadagna duecento lire; se sbaglia, viene sottoposto a bizzarre e impietose penitenze (per esempio deve subire una pioggia di uova fresche o di cenere, cadere in un vasca piena di acqua eccetera). Il giocatore, cui è richiesto non solo di rispondere al quiz, ma anche di saper ballare con un pupazzo di gomma, mimare specialità sportive, giocare a ping pong con una padella, districarsi in uno slalom tra birilli, può ritirarsi in ogni momento e aggiudicarsi la cifra capitalizzata fino ad allora; se invece interviene ‘l’imprevisto’ (affidato al telecronista esterno), il concorrente perde la somma accumulata, che viene devoluta in beneficenza”.

Ebbene, dopo quindici puntate in diretta dal Teatro Lirico di Milano – allora ci si prendeva più tempo prima di chiudere la baracca – il quiz venne sospeso. Il motivo? La stampa lo accusò di sadismo per le penitenze che imponeva ai concorrenti. Così Giuliano Gramigna, sul Corriere d’informazione, ne tesseva il necrologio:

“Quella di Duecento al secondo è piuttosto un’esecuzione che una morte naturale: una noticina ufficiale della Rai, in tono alquanto secco, ha giustificato il provvedimento rifacendosi specialmente alle reazioni sfavorevoli di quasi tutta la stampa”.

A indignare, tra le altre cose, fu il “vedere un uomo anziano, un padre di famiglia, mettersi carponi e abbaiare, imitando un cane, è cosa che non non solo non fa ridere ma che suscita un senso di viva indignazione. Indignazione verso coloro che, speculando appunto sul disagio economico di certa gente, comprando la dignità di qualche operaio o di qualche statale per allestire spettacoli che rivelano soltanto la volgarità d’animo dei loro ideatori”. Sembra il ritratto di una trashata odierna.

Eppure Paolo Gobetti, sul Cinema nuovo, affermava che il pubblico già da allora apprezzava il ritmo e lo stile di Duecento al secondo:

“E’ adatto alla tecnica televisiva. C’è immediatezza, c’è la realtà degli uomini e si trova quel senso agonistico e di contemporaneità che è tra le qualità più importanti di una trasmissione”.

Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché la penso come Aldo Grasso, quando ribadisce che:

“la storia del rapporto fra la critica e Duecento al secondo è un unicum nella storia della tv italiana. Da allora la critica è sempre stata vissuta con un certo fastidio e comunque non ha mai più, così palesemente, condizionato la vita di uno show. Se mai è successo esattamente il contrario. La critica negativa di un programma viene incorporata nel programma stesso: si spera anzi che le polemiche sollevino un caso mediatico, che i giornali ‘ne parlino’, che si sollevi un polverone attorno a qualche piccolo o grande ‘scandalo’, a qualche involontario o cercato clamore. Secondo i meccanismi tipici della comunicazione convergente, la critica non è più un verdetto, ma si trasforma in una specie di chiacchiericcio diffuso, specie sul web. La critica televisiva non ha nessuna missione sociale da compiere: è un esercizio di pura gratuità”.

Sempre per il noto critico tv, in un’era in cui l’umiliazione non è più vergogna ma spettacolo, nessuno può avere più la pretesa di cambiare le cose. Però c’è una differenza ulteriore che mi sentirei di sottolineare, rispetto a Grasso (pure uno dei pochi rimasti a sottrarsi al presenzialismo mediatico).

Oggi una stroncatura condivisa e unanime della stampa, verso un reality o un dato personaggio, suonerebbe come un “si sono messi d’accordo”. Specialmente se questo avviene sul serio, nelle molteplici occasioni di convivialità che vedono i giornalisti – abilmente orchestrati dagli uffici stampa – confrontarsi e orientarsi vicendevolmente sulle prossime mosse.

Perché ormai anche i gusti personali dei critici sono dettati dalle mode (o dagli interessi) del momento. E, se vedi poi un giornalista ospite di una trasmissione scrivere male di quella concorrente, l’orientamento da gettone di presenza è dietro l’angolo.

Oggi come oggi, insomma, nessuno sarebbe più credibile nel gridare al boicotaggio di un conduttore o di uno show. La televisione è riuscita a sputtanare e velinizzare l’intera categoria, a forza di impregnarla dei suoi conflitti di interessi.

Voi direte che lo stesso discorso vale anche per noi di TvBlog. Può darsi, ma con la differenza che – pur finiti i tempi di Duecento al secondo – “criticare di testa propria” per poi eventualmente concordare con gli altri – è sempre rimasto il nostro marchio di fabbrica. A costo di contraddirci, anche tra noi. Meglio il contradditorio all’unanimità, no?