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La tv di Antonio Ricci è volgare?

Mi riallaccio finalmente alla questione di un precedente post che mi andava di approfondire da tempo. Giovedì scorso, infatti, vi anticipammo la partenza di Cultura Moderna, il nuovo game show estivo di Antonio Ricci, presentato da Teo Mammucari, che si propone di irridere “la pseudo-cultura dell’uomo medio” (volendo riprendere una frase culto della blogosfera). In

6 Giugno 2006 20:09

Mi riallaccio finalmente alla questione di un precedente post che mi andava di approfondire da tempo. Giovedì scorso, infatti, vi anticipammo la partenza di Cultura Moderna, il nuovo game show estivo di Antonio Ricci, presentato da Teo Mammucari, che si propone di irridere “la pseudo-cultura dell’uomo medio” (volendo riprendere una frase culto della blogosfera).
In quell’occasione, dopo aver documentato la notizia, ho chiuso il mio articolo con una morale del tutto personale riferita allo stile del papà di Striscia:

“lo sberleffo a regola d’arte è sicuramente più godibile della volgarità gratuita e senza filtri”.

A intervenire, è stato lo stesso Malaparte, con cui mi ero ripromesso di tornare sull’argomento:

Sul fatto che Ricci non abbia mai fatto programmi volgari, non sono propriamente d’accordo. Basta pensare a Matrjoska, poi diventata L’Araba Fenice.

Ammetto che per la mia giovane età non avevo mai sentito parlare di quel programma (perchè la televisione non la guardavo ancora), nè ho avuto modo di venirne a conoscenza negli anni. E’ per questo che ho deciso di tornare “sul luogo del delitto” per sottoporvi una piccola provocazione: quella trasmissione, e più in generale l’intero percorso televisivo di Antonio Ricci, è per voi indice di volgarità?
Io continuo a rimanere della mia, convinto che la demenzialità delle papere, il cinismo della denuncia satirica e il disimpegno di Drive In non meritino una sentenza così lapidaria e penalizzante. Tuttavia, aspetto le opinioni di chi avesse visto il programma e volesse partecipare attivamente alla simpatica querelle redazionale. Spinto dalla curiosità di saperne di più, ho consultato la mitica Garzantina della Televisione e mi fa piacere condividere con voi l’esito della mia ricerca. Ho scoperto, infatti, che Ricci aveva progettato un programma comico-satirico secondo la formula del contenitore – da qui il riferimento alla bambola russa del titolo -. Per la feroce ironia, gli spunti anticonformistici e dissacratori del comune senso del pudore – la pornostar Moana Pozzi, come si è detto, appariva nuda -, il programma è stato cassato prima della messa in onda (prevista per lunedì 22 febbraio 1988, ale ore 22.30 su Italia1) da un prudente Berlusconi. Dalle ceneri della trasmissione è nata in seguito L’araba fenice, che ha ripreso la formula originale, riveduta ed edulcorata. Costruita sugli interventi sfrontati dei comici che vi partecipavano, la trasmissione vide come protagonisti, tra gli altri, personaggi tuttora famosi come Syusy Bledi, Silvio Orlando, David Riondino, Eva Robin’s, Patrizio Roversi, Francesco Salvi, Sabina Guzzanti (Corrado Guzzanti era invece, co-autore con Ricci). Non pienamente soddisfatto e deciso a saperne di più, mi sono riversato sull’altrettanto preziosa Storia della Televisione di Aldo Grasso che, in una delle sue rubrichette “A video spento”, ha così commentato l’Araba Fenice:

“Non è solo il desiderio di cinema di Antonio Ricci a emergere nel programma più disperatamente d’autore del millenovecentottantotto. Il riferimento al cinema, ai film, ai modi e vezzi della produzione cinematografica, è diffuso, si dissemina attraverso le forme e i corpi comici più diversi. Impegno alto, cattivo, perfino sgradevole nel durissimo numero zero di Matrjoska, non certo mirante alle ampie platee domenicali e hamburgheristiche di Drive in, il cui titolo è già, naturalmente, un omaggio cinematografico. Il programma nonfestivo di Ricci ha come soggetto-oggetto ossessivo il cinema, quasi riconosciuto come sfondo culturale globale tanto superato da essere ormai cult ritornante, tratto distintivo di una generazione meno giovane e più variegata e esigente di quella che al Drive In cerca e ottiene soprattutto la rimascheratura della paranoia televisiva e del basso teatro politico. La critica sembra essere il bersaglio e insieme il movente di quasi tutte queste manipolazioni del verbo cinematografico. L’immagine in fondo è scomparsa, a favore della rutilante baracconeria coloristica della televisione in voga (vedi gli “intelligenti” studi di Arbore) e resta il discorso del cinema, il percorso tra le immagini, l’evocazione e la rievocazione”.

Insomma, se il fustigatore dei costumi più temuto della critica televisiva è stato clemente e scrupoloso nell’analisi di questa trasmissione, ritengo doveroso sottoporvi un controverso spunto di riflessione. Quanto sottile è la soglia che separa, nell’era dei media, la percezione della volgarità dalla sfrenatezza della creatività?