Home I compensi RAI nei titoli di coda – Misura “giusta” o demagogica?

I compensi RAI nei titoli di coda – Misura “giusta” o demagogica?

La proposta arrivava da Alessio Butti (PdL), ma è stata cavalcata anche dall’opposizione, secondo una logica bipartisan che appare, almeno al sottoscritto, piuttosto demagogica e populista.Tant’è, anche se per il momento si tratta di una semplice raccomandazione della Commissione di Vigilanza della RAI che si è riunita ieri, è molto probabile che fra qualche mese

pubblicato 10 Giugno 2010 aggiornato 5 Settembre 2020 15:04


La proposta arrivava da Alessio Butti (PdL), ma è stata cavalcata anche dall’opposizione, secondo una logica bipartisan che appare, almeno al sottoscritto, piuttosto demagogica e populista.

Tant’è, anche se per il momento si tratta di una semplice raccomandazione della Commissione di Vigilanza della RAI che si è riunita ieri, è molto probabile che fra qualche mese diventi un fatto: i compensi di conduttori, ospiti, protagonisti dei principali programmi della RAI saranno resi pubblici nei titoli di coda dei programmi.

Anzi, a dire il vero – e qui interviene la proposta dell’opposizione – questa misura, che a molti potrebbe addirittura apparire condivisibile, nel nome di una presunta trasparenza, potrebbe essere applicata solamente ai programmi di servizio pubblico.



Il che apre a scenari di tassonomia televisiva abbastanza singolari: quali programmi avranno il bollino-di-qualità(?) servizio pubblico? E quali no?
E perché mai sul servizio pubblico dovrebbero andare programmi che non sono di servizio pubblico?

Quanto al motivo per cui lo scrivente definisce la misura demagogica e populista, be’, è piuttosto semplice: a chi gioverà, questa presunta operazione trasparenza? E non sarebbe, a questo punto, più corretto – come suggerisce, pensate un po’, Massimo Giletti – rendere pubblico anche quanto porta all’azienda in termini economici una trasmissione di successo?

Prendiamo un caso-limite: Michele Santoro. Non ha bisogno di ulteriori difese né di ulteriori attacchi. Ma è un un ottimo esempio. Primo: è pubblico servizio? Personalmente, direi di sì. Allora, se la RAI ammettesse che è pubblico servizio – per poi pubblicare i compensi – dovrebbero cessare i vari attacchi, no? Bene. Ma andiamo oltre. Poniamo che il suo Annozero sopravviva agli attacchi e vada in onda di nuovo a settembre. Ebbene, nei titoli di coda scopriremmo i compensi di Santoro e di tutti i suoi ospiti. Ottimo, diranno in molti. E si indigneranno, probabilmente. Ma in un’ottica aziendale, per capire se quel tal programma di “servizio pubblico” è un buon investimento o meno, è assolutamente necessario sapere quanto rende alla RAI il programma e fare un raffronto fra uscite e entrate. Altrimenti, perde tutto di senso.

Rai 1