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Il decreto Franceschini che limita le serie tv americane, privilegia le produzioni italiane e dimentica un dettaglio

Il decreto legislativo voluto da Dario Franceschini limiterebbe le serie tv americane in prima serata, favorendo le produzioni italiane ed europee

pubblicato 3 Ottobre 2017 aggiornato 1 Settembre 2020 05:32

Più film e fiction italiane in prima serata, una quota maggiore obbligatoria di investimento in produzioni europee ed una fascia oraria in cui inserire di regola un tetto minimo di racconti made in Italy. Con queste tre semplici richieste, il decreto legislativo fortemente voluto dal Ministro della Cultura Dario Franceschini e passato nell’ultimo Consiglio dei Ministri (l’approvazione definitiva entro l’anno) ha scombussolato sia i broadcaster che i telespettatori.

Andiamo con ordine: il decreto legislativo ha lo scopo di tutelare le opere televisive e cinematografiche europee, seguendo il modello francese che, da anni, tende a valorizzare (non solo in tv, ma anche in radio), le produzioni locali. Un’ispirazione francese che Franceschini non ha tenuto nascosta e che ora vuole applicare al contesto italiano.

Se il decreto dovesse passare ufficialmente, le reti -dalla tv di Stato alla generalista, fino alle pay tv ed anche le piattaforme digitali- dovranno gradualmente investire sempre più risorse nella produzione italiana e nell’acquisto di prodotti europei. Non solo: il decreto prevede anche un tetto minimo di programmazione riservata a film e fiction italiane nel corso della prima serata.

-La programmazione
La quota minima di programmazione -riferita nell’arco di una giornata- per l’Italia e l’Europa, infatti, salirà al 50% nel 2018, al 55% nel 2019 ed al 60% nel 2020. La Rai, in quanto tv di Stato, dovrà fare un lavoro maggiore rispetto alle emittenti commerciali, dal momento che le sarà richiesto che, all’interno della percentuale, la metà sia occupata da produzioni italiane, mentre le tv private dovranno dedicare a queste un terzo della programmazione.

Ad alimentare le proteste dei network, però, sarebbe stato un’altra parte del decreto, legata all’imposizione di un’attenzione particolare rivolta alla programmazione di prodotti italiani nella fascia che va dalle 18:00 alle 23:00. In altre parole, in questa fascia oraria la Rai, ogni settimana, dovrà proporre almeno due opere italiane, di cui un film ed uno a scelta tra fiction, documentario o cartone. Le tv private, invece, ne dovranno proporre la metà.

-Gli investimenti
Salgono anche gli investimenti che le aziende dovranno riservare all’acquisto o pre-acquisto di opere europee: la Rai, nel 2018, dovrà investire il 15% dei ricavi annui, il 18,5% nel 2019 ed il 20% nel 2020. Di queste percentuali, secondo il decreto, la spesa minima per le opere italiane, oggi al 3,6%, arriverà al 4% nel 2018, al 4,5% nel 2019 ed al 5% nel 2020.

Le tv private dovranno anche loro modificare questi investimenti, ma in misura minore: per quanto riguarda i pre-acquisti e gli acquisti, la quota sarà del 10% nel 2018, il 12% nel 2019 ed il 15% nel 2020. Di questa percentuale, quella dedicata alle produzioni italiane sarà del 3,5% nel 2018, del 4% nel 2019 e del 4,5% nel 2020. Anche le piattaforme digitali come Netflix, Amazon e TimVision dovranno adeguarsi al decreto, puntando anche loro su investimenti italiani ed europei, in modo da avere in catalogo un maggior numero di produzioni nostrane.

Le reazioni che sono seguite a questo decreto sono state numerose e varie: se da una parte l’Anica (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive multimediali) si dice soddisfatta perchè permetterà all’industria italiana di poter investire di più, dall’altra le aziende televisive sembrano essere molto contrarie al decreto, che inevitabilmente le costringe a rivedere la propria programmazione ed ad investire di più. Un’incertezza che ha spinto tutte le aziende del settore ad inviare una lettera di protesta spiegando le proprie ragioni: un decreto di questo tipo, dicono, limita la loro libertà editoriale, potrebbe privilegiare alcune case di produzione indipendenti rispetto ad altre, creerebbe asimmetria con gli operatori stranieri (la quota di programmazione in prime time non è ovviamente applicabile a Netflix) ed aumenta le sanzioni (da 100mila euro a 5 milioni di euro) in modo insostenibile.

Dal canto loro, i telespettatori seriali temono che il decreto vada ad eliminare da una parte del palinsesto un buon numero di serie tv americane, che non troverebbero più posto in tv. In effetti, scopo del decreto è quello di far circolare sulla tv italiana un maggior numero di produzioni nostrane. Ma è qui che il decreto rischia di ottenere delle conseguenze negative.

Si dà infatti per scontato che più fiction e film voglia dire più qualità, ma non è assolutamente detto: aumentare gli investimenti, certo, moltiplica le idee che arriveranno sul piccolo schermo, ma non tutte saranno all’altezza, rischiando di portare “per legge” sul piccolo schermo produzioni di cui avremmo fatto volentieri a meno. Il decreto Franceschini spera che possano essere così prodotte maggiori serie-evento, come Gomorra o Rocco Schiavone, ma per fare una buona fiction non basta un buon investimento, serve anche una buona idea. Forse, sarebbe stato meglio introdurre nel decreto una quota anche per le scuole di sceneggiatura e di regia, da far frequentare a coloro che vogliono scrivere fiction, costringendoli a vedersi qualche ora in più di serialità americana. Perchè, alla fine, è sempre lì che si va a parare: in questo senso, il decreto sembra voler compensare un’invidia del telefilm con un’azione quasi punitiva e da collegio.