Home Reality Show Crisi economica uguale più spettatori davanti alla tv. E’ la fine o la rivincita della vita stile “Happy Days”?

Crisi economica uguale più spettatori davanti alla tv. E’ la fine o la rivincita della vita stile “Happy Days”?

Succede questa cosa qui, alla gente, c’è poco da fare: chiamatela, se volete, rivincita della vita, o come vi pare, certo è che esiste un modo, tutto umano, forse bestiale, più ancestrale, per il quale le persone in bilico sul baratro, pure quando non c’è più alcuna speranza gravitazionale, si affidano alle braccia, disperatamente, le

17 Marzo 2009 13:41

La crisi porta spettatori alla televisione

Succede questa cosa qui, alla gente, c’è poco da fare: chiamatela, se volete, rivincita della vita, o come vi pare, certo è che esiste un modo, tutto umano, forse bestiale, più ancestrale, per il quale le persone in bilico sul baratro, pure quando non c’è più alcuna speranza gravitazionale, si affidano alle braccia, disperatamente, le fanno ruotare per cercare di ritrovare un equilibrio ormai andato. Si chiama sopravvivenza, si chiama istinto. A sentire l’ultima ricerca di mercato dell’Eurisko, si chiama televisione.

Non è un caso se la risposta più massiccia degli italiani al disagio sociale che stanno vivendo in questi mesi – la crisi economica e compagnia bella – sia piazzarsi davanti al tubo catodico, telecomando alla mano e testa da un’altra parte. I dati emersi parlano di una crescita netta di tutta l’offerta televisiva, da quella generalista alle pay tv, con particolare riferimento all’intrattenimento, ai cartoon e alle news.

Non è una novità, non lo sarà mai, per carità: scorgiamo sempre un puntino di luce in fondo al tunnel, o almeno è così che tendiamo a credere, e pazienza se quel puntino di luce, la metà delle volte, non è l’uscita ma i fari di un tir che ci stanno puntando. Nel Medioevo, un’epoca buia per antonomasia, la gente come non mai riusciva a compensare la brutalità, la durezza del quotidiano con una fantasia e una vitalità che permettono oggi pochi paragoni: c’era la caccia, c’era lo sport, c’erano i banchetti interminabili, c’erano i grandi abiti, c’erano le feste religiose, c’era l’alcol, naturalmente, i giochi, il sesso, gli scacchi e i dadi. La gente è questo che fa, quando fuori tutto è buio: prende e accende un fiammifero, anche se è l’ultimo della scatola.

Non saprei dire se il tutto è più consolatorio o disperante. Immaginarsi, oggi, tutti questi tizi in poltrona, non particolarmente di buonumore, che osservano ciecamente quanto lo schermo propone: può portare da qualche parte? Suggeriva il poeta De André che la gente dà buoni consigli quando non può più dare il cattivo esempio. La televisione cosa farà? Giacché il compito relativo al dare il cattivo esempio mi sembra esaurito da un pezzo, adesso come agirà la televisione? Dove potranno mai portare i “buoni consigli” della televisione? Avranno la funzione di quelle braccia rotanti che l’uomo in bilico sul baratro agita per recuperare l’equilibrio? Serviranno a ritrovare il baricentro? Mi permetto di dubitare: soprattutto se queste grandi percentuali, questi impressionanti dati relativi al numero di telespettatori attivi si concentrano intorno ai soliti noti, cioè i reality show, i grandi fratelli, le fattorie, le marie de filippi. Niente di male: la gente se lo merita, perché il periodo è bruttissimo. E’ solo che torniamo a bomba: a quel puntino di luce all’orizzonte che non si sa se è l’uscita o i fari di un minacciosissimo tir contromano.

Eppure è questo che fa la televisione, la quale di per sé non è mai un medium negativo. Tutto sta a come la si utilizza e, naturalmente, a come la si fruisce.

Il più noto dei telefilm americani, Happy Days, venne fuori nella stessa maniera. Negli Stati Uniti la gente era incazzata e depressa, in piena Guerra del Vietnam: tutti si ubriacavano e sparavano alle mogli nel tempo libero: c’era una crisi, soprattutto emotiva, morale, d’intenti, che probabilmente farebbe impallidire pure questa nostra. Così arrivò Happy Days, IL telefilm, dove i protagonisti si muovevano ancheggiando tra juke box e i primi soffi di Rock & Roll di Billy Haley, cofani di Cadillac e acconciature bislacche: la trama raccontava, nei termini più entusiastici possibili, il decennio tra il 1953 e il 1963, cioè quello tra la fine della Guerra in Corea e, appunto, la vigilia di quella del Vietnam.

Succedeva allora, tra presidenti ammazzati, bugie e speranze crollate, esattamente quello che sta succedendo adesso, tra banche, viagra e falsi in bilancio: i cittadini tornavano a casa con le mani tra i capelli e si mettevano a guardare Fonzie muoversi in quell’America che non esisteva più, l’America che aveva trionfato nella Seconda Guerra Mondiale e che sorrideva al nuovo giorno, inconsapevole dei tremori imminenti. E’ la rivincita della vita, è la stolida speranza, quella dura a morire, come Bruce Willis.

Bisogna solo venire a patti col fatto che oggi le persone fanno lo stesso specchiandosi nei giovani virgulti del Grande Fratello. E’ questione di gusti, è questione di livello: dalle giacche di pelle di Fonzie a quelle con le pailettes dei tronisti. Il mondo è strano, alle volte, e la gente valla a capire.