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Festival di Sanremo 2012 – Edizione perfetta, da 10 e lode

Il migliore dei Festival possibili nel migliore dei Paesi possibili.

pubblicato 19 Febbraio 2012 aggiornato 4 Settembre 2020 23:18


Si è concluso il Festival di Sanremo 2012. E si è chiuso col botto finale: vittoria strameritata di Non è l’inferno, una canzone che rimarrà senza dubbio negli annali della musica internazionale per originalità, arrangiamento e parole. Questo straordinario risultato meritocratico si accompagna a un televoto che, finalmente, sovverte ogni pronostico (dei giornalisti così come dei bookmakers) e che ha premiato davvero la qualità canora e musicale. L’alchimia non fa che confermare il profondo cambiamento culturale del Paese: un miglioramento tangibile, che ci investe come una nuova primavera, giorno dopo giorno, di cui la magnifica messa in scena di questo Festival è dimostrazione. Di più: cercar difetti all’evento vorrebbe dire essere ingrati e irriconoscenti verso chi ha restituito ai suoi fasti non solo la prima serata di RaiUno ma addirittura la musica italiana nella sua eccellenza; a chi ha riportato in televisione il gusto per il grande show. Se proprio si volesse parlare di difetti, bisognerebbe parlar, se mai, di imperfezioni, che impreziosiscono la bellezza anziché deturparla.

Eccellente la conduzione, sempre frizzante, mai sopra le righe: un Gianni Morandi prontissimo all’improvvisazione, limitate le gaffes, ha raggiunto un livello empatico con il pubblico, i cantanti e i telespettatori che non si era mai visto prima. Lo straordinario lavoro della direzione artistica di Gianmarco Mazzi – purtroppo all’ultimo anno di Festival – consegna alla storia della televisione Rocco Papaleo un’edizione del Festival mai approssimativa: Mazzi, sempre disponibilissimo con la stampa, ha annunciato le proprie dimissioni fra lo sconforto generale, perché dopo così tanti successi è diventato una specie di Mourinho della televisione, ha vinto tutto. E ha deciso di dedicarsi ad Amici di Maria De Filippi, per arricchire il proprio bagaglio di esperienze con una trasmissione nuova, con cui non ha mai avuto alcun tipo di contatto.

Rocco Papaleo in gran forma ha sdoganato la parola minchiata, attingendo dal Belli e dall’Angiolieri per portar un sano vernacolo colorito sul palco dell’Ariston. E’ stato una spalla perfetta, mai invadente, per Morandi. Ha sagacemente incarnato, col suo loden, quell’Italia rigorosa che si sa anche prendere in giro con tanta autoironia. Ha chiosato, infine, l’esibizione più bella del Festival – quella di Patti Smith, ma le altre non sono state affatto da meno – con una performance che, saggiamente, ha abbassato il livello senza però eccedere: tutto l’Ariston che canticchia Tuf-Tu-Tuf imitando una rarissima foca-pinguino non si era mai visto prima. Capolavoro, che si è trasformato subito in tormentone da ripetere ma con buon gusto e senso della misura.

BelenRodriguez E non si può tacere sui testi e sul capillare e puntuale lavoro autoriale. Battute sempre graffianti ma con garbo, snodi d’alta classe che mescolano, con sapienza, l’alto e il basso, si sono accompagnati per tutta la durata del Festival a presentazioni originali, puntuali e informatissime di ogni cantante, a cominciare dagli ospiti stranieri. Con questi ultimi, l’interazione sul palco è stata garantita dal poliglottismo dei protagonisti e dalla loro preparazione.

Che dire, poi, delle bellezze che hanno accompagnato queste serate indimenticabili?

La regina è senza dubbio lei, Belen Rodriguez, maliziosa ma con classe: ha osato senza strafare e ha fatto dimenticare la brutta parentesi del filmato soft-core che era circolato sul web, mostrando a tutti che il duro lavoro paga e sfoderando una inaspettata ma concreta propensione per la conduzione: è pronta per un programma tutto suo. Ivana Mrazova, giovanissima e bellissima, ha sfatato il mito deteriore della valletta incapace: impressiona soprattutto, a ripensarci, la velocità con cui ha imparato l’italiano e la sua capacità di affiancare alla perfezione, senza mai una sbavatura, lo splendido padrone di casa Gianni Morandi.

Elisabetta Canalis Elisabetta Canalis si è elevata definitivamente dal piccolo schermo – e qui, dunque, la differenza con le altre due bellissime – e ha sfoderato eccellenti doti attoriali in una performance di grande intensità con Adriano Celentano. Sguardo intenso alla Anna Magnani, piedi scalzi come Nada, è pronta per il cinema d’autore ma anche per il mainstream più ricercato: il suo viso dolce ed espressivo ipnotizzava il molleggiato. C’è stato spazio anche per Geppi Cucciari: è stata brava, come tutti. Per alcuni, però, sarebbe stata addirittura il meglio del Festival: si tratta sicuramente di persone che non possono concepire che un fisico statuario come quello della Rodriguez possa coincidere con un’innata capacità di intrattenere. Non ce ne voglia Geppi, dunque: le sue battute strappavano sì più d’un sorriso, ma la performance delle altre colleghe era senza ombra di dubbio da standing ovation.

Adriano Celentano

E veniamo a Lui. Il Nume Tutelare del Festival. Adriano Celentano. Un Giordano Bruno cantore, un uomo al passo coi tempi, un cantante ancora capace di singoli da hit ma, al tempo stesso, un divulgatore come non se ne erano visti prima, crasi perfetta di quel libero pensiero, di quell’autonomia culturale che dovrebbero essere proprie di tutti. Non solo di tutti gli uomini di spettacolo, ma anche di ciascun buon cittadino. Cui vanno senza dubbio rimproverati gli errori, che pure il molleggiato non ha esitato ad ammettere: debordante nella genialità dei testi del monologo si è, fatalmente, lasciato scappare anche qualche inesattezza, insieme a verità mai rivelate, o quantomeno troppo spesso nascoste dal servizio pubblico. Giusto esser fermi, dunque. Ma giusto anche riconoscerne la grandezza: capita di sbagliar qualcosa, quando si ha così tanto da dire.

Foto d’apertura | © TM News

Nel corso della finale, la conferma: Celentano non ha ignorato – con saggia eleganza – pochi cafoni che gli urlavano, dalla platea, di smettere di parlare: ha interloquito con loro, riuscendo a convertirli al suo verbo con poche ma illuminate parole. E con canzoni che hanno sostituito tutto il resto, perché non c’era più nulla da dire.

La comicità dei Soliti Idioti che ha rallegrato la seconda serata attingeva a modelli altissimi: i guru della stand up comedy internazionale e, prima di loro, i Monthy Python, ma rivisitati in chiave italica. E’ questa, la comicità che ci piace. Mai legata a tormentoni o a sketch di basso livello, mai eccesiva nel travestitismo, sempre capace di pungolare il ventre molle del Paese e di applicare alla nostra realtà la lezione dei maestri della commedia, da Plauto in avanti, con un raffinato gusto per il citazionismo.

Luca e Paolo, per nulla invasivi nella prima puntata, hanno condito, come nella miglior tradizione goliardica, il loro humor con qualche motto un po’ volgare ma mai fuori posto. Hanno riproposto una canzone-parodia come lo scorso anno, e nel loro numero hanno bacchettato tutti a destra e a manca, senza però cadere nella trappola del cerchiobottismo. Nè sono mai saliti in cattedra: nel corso della finale, si sono giustamente limitati a ricordare che chi ha avuto parole di critica per loro non ha senso dell’umorismo.

La terza serata ha colmato una volta per tutte il gap fra la musica italiana e le eccellenze internazionali. Non un solo ospite “sbagliato” (da Patti Smith a Gary Go, tutti sullo stesso livello), non un solo cantante italiano che abbia sfigurato: persino un gigante come Brian May ha messo la propria chitarra al servizio di un’Irene Fornaciari che ricordava – davvero – una versione al femminile del miglior Freddie Mercury.

Ospite della stessa serata, Federica Pellegrini eccellenza italiana, ha mostrato come si possa essere donna di sport e spettacolo senza dar scandalo e mostrando una ricchezza interiore personale abilmente sottolineata da un’intervista vera, sentita, emozionante e ricca di spunti divertenti e piacevoli nella messa in scena: l’intervista-ballo, che, non riuscendo perfettamente, ha mostrato la sua timidezza; l’intervista ai blocchi di partenza, citazione doverosa che trasporta l’eleganza del nuoto nell’elegantissima, nient’affatto ridondante scenografia di Castelli.

Il meccanismo dei giovani è stato un altro esempio di perfezione: dopo la grandiosa idea di utilizzare Facebook per creare Sanremo Social, la macchina organizzativa ha saputo garantire una reale e funzionale interazione fra il popolo del web e il Teatro Ariston: sul palco c’erano, finalmente, i migliori esponenti della miglior avanguardia della musica italiana, provenienti da realtà completamente slegate dal mondo delle case discografiche.

Alessandro Siani E che dire del bravissimo Alessandro Siani, erede di Totò e di Massimo Troisi? Battute originali, risata sempre spontanea dalla platea, standing ovation finale: un vero e proprio maestro della commedia e del monologo.

Una tirata d’orecchi andrebbe dunque a quella stampa che, con il suo atteggiamento propenso alla critica per sollevar lo scandalo ad ogni costo, ha rovinato – ma solo dal lato della comunicazione – quel clima di serenità e professionalità che si respirava nel roof dell’Ariston. E anche a quei critici sempre così parchi di giudizi, così stretti nei voti, così poco propensi a mostrare il vero volto della loro professione, che li porta a stretto contatto con i cantanti che devono criticare e che, dunque, li spinge a pretendere da loro sempre di più. Non è necessario: le eccellenze italiane vanno incoraggiate, e i rapporti interpersonali fra chi scrive e chi si esibisce sono alla base di un sano mondo dello show business.

Infine, dicevamo, le vittorie. Due giovani che meritano, Alessandro Casillo ed Emma. Due che hanno fatto la gavetta vera e che non hanno certo sfruttato, per il loro trionfo, la misera e ininfluente visibilità che avevano ricevuto da Io canto e da Amici di Maria De Filippi, ma si sono invece rimessi al lavoro per proporre due progetti musicali fortemente indie che, semplicemente, hanno strameritato il risultato ottenuto. A riprova della maturità del televoto e del pubblico a casa. Stupisce, poi, questa commozione così sincera e sentita di Emma, che non si aspettava affatto di vincere e che non è riuscita a dare sfogo alle lacrime. Il testo, scritto per lei da Kekko dei Modà, conferma una volta di più l’impegno della Emma barricadera già vista da Santoro, una cantante lontana anni luce dal mondo dello show business, che racconta, con splendidi affreschi quasi deandreiani la vita della gente comune.

Quando un prodotto è vincente, poi, funziona anche la macchina degli ascolti, nonostante Mediaset avesse messo in campo una controprogrammazione che, pur sospendendo certi programmi, non aveva nulla da invidiare al resto dei suoi palinsesti, offrendo addirittura alternative da “servizio pubblico” al Festival. Ma non si poteva fare nulla contro uno show che ammicca ai grandi eventi d’oltreoceano, con una regia perfetta a impreziosire una macchina sapientemente oliata, dove nulla era lasciato al caso, nemmeno il più piccolo dettaglio tecnico o artistico.

E dunque, grazie, Festival di Sanremo 2012. Grazie per averci regalato un Paese più lieto, più colto, più moderno: come il governo tecnico che ci sta salvando dalla crisi, sei stato il migliore dei Festival di Sanremo possibili. Grazie, Gianmarco Mazzi, Gianni Morandi, Mauro Mazza, Lucio Presta. Grazie per essere stati rock. Grazie per questo Festival da 10 e lode. Ci si vedrà non troppo in là, speriamo. Alla prossima straordinaria ed emozionante avventura di cui si dovrà per forza dire bene. E grazie anche a quelli che verranno, già pronti per sperimentare e per rinnovare ancora: faranno meglio, nel 2013? Sembra impossibile, oggi, reduci da questa ubriacatura di eccellenze.

Ma chi verrà saprà senz’altro stupirci ancora: vedremo dunque un incredibile ribaltamento che renderà il Festival di Sanremo 2013 ancora più bello.

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