Home Piazzapulita, Antonino Monteleone a Blogo: “Ho detto no a Le Iene. Renzi? Forse contro i talk show incompatibili con la sua narrazione”

Piazzapulita, Antonino Monteleone a Blogo: “Ho detto no a Le Iene. Renzi? Forse contro i talk show incompatibili con la sua narrazione”

L’intervista a Antonino Monteleone, giornalista e inviato di Piazzapulita.

pubblicato 29 Giugno 2016 aggiornato 1 Settembre 2020 23:09

Nuovo appuntamento e nuova intervista per “Tv e l’altra cronaca/politica“, la rubrica di TvBlog dedicata al mestiere dell’inviato dei programmi di approfondimento giornalistico. Dopo Francesca Fagnani di Ballarò e Simone Toscano di Quarto Grado, intervistiamo questa volta Antonino Monteleone, giornalista e inviato del talk show di La7 Piazzapulita. Ma prima di approdare nel programma condotto da Corrado Formigli, nel suo curriculum altri programmi come Exit (sempre su La7) e Report, il programma d’inchiesta di Rai3 condotto da Milena Gabanelli.

Come hai iniziato a muovere i primi passi in questo lavoro, in particolare quello di inviato?

Ho cominciato poco più che ventenne in una piccola tv locale a Reggio Calabria. Se ci penso mi viene un po’ di nostalgia: i primi servizi per il TG, la prima volta che ho condotto un notiziario. Non ho mai pensato che “da grande” avrei voluto fare il giornalista. Dopo qualche anno al notiziario della mia città ho giocato a fare l’inviato con un piccolo programma di inchieste autoprodotte. Il momento di farlo sul serio è venuto quando grazie ad Alessandro Sortino e Valentina Petrini, che mi avevano conosciuto proprio per il mio lavoro in Calabria, sono approdato a Exit di Ilaria D’Amico su La7.

Cosa aggiungeresti o toglieresti a un programma di cronaca e politica se fossi autore?

Cose da togliere: quei 60 minuti di troppo. Cose da aggiungere: facce nuove. Certo se fossi un autore sarei angosciato dal limite più grande dei talk show politici, e cioè l’impossibilità di realizzare un efficace ‘fact checking’ delle cose dette dagli ospiti. Ma forse è anche vero che col fact checking in diretta non sarebbero più dei talk show.

Quali sono per te le tre regole da seguire per essere un buon inviato?

Forse tre regole sono poche, ma ci provo. Limitiamoci al campo dell’inviato Tv. Prima regola: nessun pregiudizio, perché una storia può essere molto diversa da come appare all’inizio. Sui giornali leggi una cosa e dentro l’obiettivo della telecamera ce ne finisce un’altra; Seconda regola: stupore. Il giornalista tv che non si sorprende, si perde pezzi del racconto per strada; Terza regola: show, don’t tell.

C’è un limite che non deve essere varcato?

I limiti sono tanti. A volte entriamo nella vita di persone che non hanno mai affrontato le domande dei giornalisti. Non bisogna approfittarne.

Quanto è importante la sintonia con il conduttore del talk?

È fondamentale. Il lavoro degli inviati serve a costruire un pezzetto di un racconto più ampio rivolto al pubblico. Se non c’è sintonia con conduttore a autori diventiamo una nota stonata. Ad ogni modo non potrei lavorare con Corrado Formigli se non mi fidassi della sua passione per questo lavoro. E se non fossi certo della sua onestà e indipendenza di giudizio. Ricordati che parliamo di un conduttore che appena può torna a sporcarsi le scarpe facendo l’inviato.

Quanto margine di libertà/autonomia ha un inviato?

La mia esperienza personale mi dice che libertà e autonomia sono più che abbondanti. In generale trovo l’informazione italiana molto più libera di muoversi rispetto a come viene descritta dalle abusate classifiche internazionali. Tutta questa libertà non serve a niente, se non sai come usarla. Dipende tutto da quanto hai studiato la vicenda di cui ti occupi. Più sei preparato più sei libero. Il conformismo di ampi pezzi della stampa italiana deriva, spesso, da troppa pigrizia. Non si può negare che più di un collega abbia un approccio al mestiere di tipo impiegatizio.

Come ci si regola se un inviato dissente rispetto a una scelta editoriale? Com’è gestito il dissenso?

Dipende se la scelta editoriale che non ci piace è occasionale, oppure no. Può capitare di non essere d’accordo sulla presenza di un ospite, ad esempio su quello che, volgarmente, si definisce il “ruolo che deve giocare” nel talk. Oppure sul significato da attribuire a un fatto specifico. Ad esempio un risultato rivendicato dal Governo. È fisiologico, siamo una squadra nutrita che lavora a stretto contatto. Corrado Formigli più di una volta ha riferito in diretta ai telespettatori quando su un tema specifico si sono registrati dibattiti interni molto contrastati. L’ho trovato un segno di coraggio e trasparenza nei confronti del pubblico. Quando invece non la “scelta” editoriale, ma la linea editoriale non è comprensibile oppure è distante in modo insanabile dalla propria visione del mondo, allora è meglio andare via.

Questo tipo di lavoro porta spesso a stare lontani da casa: quanto è difficile conciliare carriera e vita privata?

Il nostro è quel tipo di lavoro dal quale non si stacca mai veramente. L’importante è costruire relazioni solide, è quella la parte difficile, e non dipende dalla distanza fisica da casa.

Che consiglio daresti a un giovane che vuole intraprendere questo lavoro?

Lo dico sempre a chi mi scrive: per farsi notare e mettere alla prova le proprie capacità bisogna osservare ciò di cui tutti si occupano e concentrarsi su qualcosa di inesplorato; studiare moltissimo; cercare sempre opinioni diverse dalle proprie: mettere in discussione le proprie convinzioni è un punto di partenza importante. Queste sono le cose che hanno aiutato me. Avevo un piccolo blog in una città dell’estremo sud con mille problemi. Ero diventato un punto di riferimento per molti grandi inviati di giornali e tv perché leggevano sul mio blog cose che non trovavano altrove.

Come si gestisce al meglio un problema tecnico del collegamento?

Gli inconvenienti sono una regola, ma sono fortunato: non mi è mai capitato niente di particolarmente complicato. Solo piccoli intoppi che cerchiamo di non far pesare al telespettatore. Ecco credo che qualunque cosa che possa infastidire il telespettatore vada annunciata quando inevitabile.

L’inviato deve mantenersi equidistante o può lasciar trapelare il proprio punto di vista?

Le domande che rivolgiamo, a volte, anzi spesso, se guardi bene nascondono un’opinione, non trovi?
Ho paura che l’equidistanza venga usata come un alibi per l’insipienza. Mi spiego meglio. Se intervisto il figlio di un mafioso che difende il padre, posso davvero essere equidistante? E tra l’autore di un reato e le vittime di quel reato, dovrebbe esserci par condicio? Posso stare alla stessa distanza tra uno che crede alle scie chimiche e un astronauta come Luca Parmitano? Certo il nostro bagaglio di esperienze e formazione influenza buona parte del nostro lavoro. Cerco sempre di avere un punto di vista sulle cose, ma sospendo il giudizio su tutto.

C’è un caso o un argomento che ti ha particolarmente coinvolto, per esperienze personali o lavorative?

Mi colpiscono sempre le storie delle persone “senza paracadute”. Chi ha perso i risparmi di una vita e di lavoro fa l’operaio. Chi sta vicino ad un malato di Alzheimer e può contare solamente sui soldi di una magra pensione. Chi perde la casa, il lavoro, la famiglia.

C’è competizione (interna ed esterna Rai/Mediaset/La7) tra inviati?

Vedo che c’è. Sì c’è. A volte ci concentriamo sulla “caccia” alla notizia. Ma quello che conta è trovare un modo originale per raccontare la notizia o la storia che tutti conoscono già. Quella è una bella competizione.

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La critica che più ti ha colpito per un servizio che hai realizzato?

Prendo le critiche molto sul serio. Cerco di rispondere a chiunque e spiegare ogni scelta nei limiti del possibile. Mi incazzo quando leggo dietrologie. A volte un taglio viene confuso per una censura. Non c’è censura, spiego. Se qualcosa non quadra è un errore mio, solo mio.

C’è un reportage, un servizio o un’inchiesta che, tornando indietro, non rifaresti? Perché?

No, se potessi tornare indietro rifarei ogni pezzo meglio. Gli unici rimpianti ce li ho per i servizi che avrei potuto girare e una volta perché non erano aderenti alla puntata, una volta perché costavano troppo, una volta perché non erano convincenti, una volta perché mi son fatto passare la voglia, alla fine non ho girato.

Secondo te i talk show politici sono in affanno? Se sì, per quale ragione?

Credo che siano in affanno le prima serate dell’approfondimento che cominciano alle 21:15 e finiscono oltre mezzanotte. Mi chiedo se una cosa del genere è tollerata dagli inserzionisti o se è proprio quello che vogliono. I talk show politici, un genere che si fatica a trovare fuori dall’Italia, tra l’altro scontano pesantemente due problemi: il primo è l’abbassamento del livello medio della materia prima, cioè gli stessi politici. L’altro è che il pubblico è molto più informato di quello che crediamo e quando cerca un pezzetto di informazione che non abbia già letto sui giornali o in rete, spesso lo deludiamo. Gli altri motivi di affanno, secondo me, sono più complessi. Il talk funziona quando c’è molto contrasto tra differenti letture della realtà. Dal 2011 le cose sono cambiate. Destra e sinistra si distinguono meno facilmente perché governano insieme. Invece il racconto delle forze di “sistema” che si difendono da quelle “anti-sistema”, o viceversa l’assalto delle seconde sulle prime, non l’abbiamo ancora digerito. È ancora troppo piatto. Infine tutti i talk scontano una sempre maggiore debolezza nel racconto della società italiana. Per questo motivo a Piazzapulita facciamo sforzi enormi perché nello studio “accadano” delle cose. E perché il nostro racconto della realtà, che è il nostro marchio di fabbrica, non sia replicabile altrove. Ed è un merito dell’intera squadra. Dal conduttore alla post produzione.

Un talk show o programma d’approfondimento (sia La7 che Rai o Mediaset) che ti piace e uno che ti piace meno?Spiegandone il perché?

E poi c’è Cattelan è un programma bellissimo. Ci vedo molta cura per i dettagli e io amo i dettagli. Proprio perché mi piace gli rivolgo una critica: se fosse un filo più cinico e un filo più impegnato sarebbe esplosivo. Che ci vuoi fare, sono un orfano di Satyricon e Decameron di Daniele Luttazzi. Sull’informazione Report di Milena Gabanelli, dove ho lavorato, è ancora l’unico posto dove le chiacchiere stanno a zero. Olimpo del giornalismo tv che, nonostante decenni di successi di ascolto, di critica e di pubblico, la Rai, formalmente, tratta come un corpo estraneo. Guardo anche tutti gli altri programmi di approfondimento. Cerco sempre di imparare da tutti i colleghi. Il programma che mi piace meno, però, non te lo dico.

Perché il Presidente del Consiglio Renzi ha avuto spesso parole critiche per questo genere televisivo?

Il Presidente del Consiglio deve fare uno sforzo di coerenza. Se non gli piacciono i talk show perché lo vedo spesso da Bruno Vespa o da Barbara D’Urso? Forse ci va controvoglia? Oppure semplicemente non gli piacciono i talk show incompatibili con la sua “narrazione”? Ah magari è rimasto particolarmente legato al quiz a premi, chi lo sa..

Piazzapulita è stata pesantemente attaccata da Gasparri su Twitter: vi definì “programma fallito, lo spostano di continuo ma è finito, annegato nella menzogna e nella faziosità” Come mai un giudizio così severo?

Pensa che poche ore dopo quel tweet era ospite in un programma concorrente, quando si dice lo stile. Ha messo il dito nella piaga dello spostamento, secondo me ingiusto, dal giovedì al lunedì che nell’immediato ha bruciato a tutta la squadra. Io pensavo che il collega Gasparri, che è un giornalista, fosse molto impegnato a fare il Vice Presidente del Senato, ma leggo sempre dei suoi successi su Twitter e ogni tanto scopro che fa il critico tv. Secondo me ne capisce più di polizze assicurative che di tv.

Nella stagione di Piazzapulita che sta per concludersi ti abbiamo visto protagonista, talvolta tuo malgrado, soprattutto in due casi: il primo è stato il fermo di polizia nel Tribunale di Napoli quando hai provato ad intervistare un giudice che era coinvolto nella vicenda giudiziaria che riguardava il governatore della Campania Vincenzo De Luca. Sei stato denunciato? In quel caso ti sei detto “Colpito e impressionato” dal trattamento ricevuto. C’è stata solidarietà da colleghi e addetti ai lavori?

Beh colpito e impressionato lo sono ancora adesso. Il precedente è pericoloso. Per sequestrarmi il telefono è stato usato il pretesto della legge sulla privacy. Una cosa fuori dal mondo. Dopo 190 giorni, senza che avessero trovato un modo legale per accedere al suo contenuto, mi è stato restituito il telefono ed è cambiato il capo d’imputazione. Adesso rispondo di “molestie” e “inosservanza degli ordini dell’Autorità”. Due reati con pene massime irrisorie. Per giunta in un Tribunale dove sono state manomesse le casseforti dei magistrati, sono spariti fascicoli, il pericolo da neutralizzare è stato un giornalista con cellulare e taccuino. La solidarietà c’è stata, certo, è stata tanta e ne sono grato. Ma non basta.

Poi è stata la volta del servizio sull’inadeguatezza degli equipaggiamenti di polizia denunciati da un poliziotto in anonimato. In quell’occasione il servizio è stato sequestrato dalla Procura e tu hai lamentato il silenzio della politica. La protezione della fonte da parte del cronista e la normativa di riferimento è un tema su cui, secondo te, si deve discutere a livello politico?

Temo che siano tutti tasselli di un puzzle che si sta componendo. Di fatto la protezione della fonte, in Italia, sta per finire. Magnolia, che produce il programma, e La7 che lo manda in onda hanno agito al meglio di ciò che è consentito. Io e l’operatore non abbiamo girato un solo centimetro del volto degli agenti per ridurre al minimo il rischio. Ma la Procura ha individuato una scorciatoia che considero scorretta. Come sostiene l’avvocato Caterina Malavenda l’iniziativa è contraria al diritto europeo. In questi giorni in Sicilia, il collega Marco Bova, viene rinviato a giudizio per “false informazioni al pm” per non aver rivelato la fonte con la scusa che non è giornalista professionista, ma pubblicista. Nel frattempo, in Parlamento, fior di cervelli pensano a come farci pagare i risarcimenti danni o mandarci in galera se pubblichiamo notizie vere, ma coperte da segreto.

Nella tua carriera hai ricevuto molte intimidazioni (una macchina bruciata), sei stato quasi aggredito o cacciato in diverse occasioni mentre realizzavi dei servizi (a Milano, come inviato di Exit, a Reggio Calabria, solo per citarne alcuni): questi episodi sono stati per te la conferma di aver svolto un buon lavoro o ti hanno fatto pensare di mollare tutto?

Nell’immediato pensi ad entrambe le cose. Ma cerco di far prevalere la prima convinzione sulla seconda. Gli ostacoli che ho superato mi hanno reso quello che sono, nel bene e nel male. Poi ho il dono dell’autoironia. Si vive molto meglio senza prendersi troppo sul serio.

Come si passa dai reportage d’inchiesta all’orto della Santanchè (oggetto di un collegamento in diretta per Piazzapulita)? Come si conciliano le due ‘anime’?

“Bisogna saper maneggiare tutto. Il sacro e il profano. L’alto e il basso. La breaking news e l’orto di Daniela Santanché. Tu sei un televisivo, prima di essere un giornalista. Quanti sarebbero in grado di farlo?”. Almeno questo è quello che mi hanno detto prima di andarci. Non mi hanno proprio convinto, eh. In compenso Daniela Santanché, fuori dal ring della politica, è una persona simpaticissima.

Mi risulta che in passato le Iene ti abbiano cercato per averti come inviato. Se è vero, come mai non hai accettato come invece ha fatto il tuo ex collega Gaetano Pecoraro?

Sì è vero. Era il 2012. Mi sembrava di fare un salto troppo impegnativo, pieno di incognite e, pur trovando Davide Parenti un genio assoluto, non me la sono sentita. Le domande sono opinioni: vuoi farmi dire che ho sbagliato?

Francesca Fagnani, inviata di Ballarò che abbiamo intervistato per questa rubrica, ha detto che non si può fare l’inviato tutta la vita perché faticoso: sei d’accordo?

Completamente. È un lavoro bellissimo, ma se lo fai al meglio delle tue possibilità ti prende tutte le energie.

Faresti altro dal giornalista/inviato?

Certo che sì. L’autore è un mestiere molto stimolante, ma altrettanto faticoso. Mi piacerebbe contribuire a scrivere i testi di un programma come Comedy Central News di Saverio Raimondo.

E condurre un programma?

Condurre un programma!? Ora sono costretto a prendermi sul serio. Forse sì, ma non dipende da me e sarebbe comunque un rischio. Tu vedi in giro molta gente che rischia? Mettici pure che io sono un granellino di sabbia sulla spiaggia della tv. La strada da fare, comunque, è lunghissima: prima c’è da capire se il mio talento è compatibile con una simile ambizione. Per ora faccio l’inviato precario che è meglio.

Ti rivedremo nella prossima stagione di Piazzapulita?

Le vacanze sono appena cominciate e già mi parli della prossima stagione. Non mi vuoi bene.

Amici di Maria De Filippi