Home House of Cards Telefilm e politica: ecco come le serie tv sfruttano un tema sempre attuale

Telefilm e politica: ecco come le serie tv sfruttano un tema sempre attuale

Nelle serie tv la politica è sempre presente: alcune serie tv hanno raccontato al meglio storie ambientatate in questo mondo, con analisi che rappresentano la politica con punti di vista diversi

pubblicato 9 Novembre 2013 aggiornato 3 Settembre 2020 12:15

Sbeffeggiata, parodiata, analizzata ed inventata: la politica nelle serie tv è stata mostrata attraverso diversi punti di vista. Si tratta di un fenomeno non recente, anche se negli ultimi anni, complice (forse) la maggiore attenzione forzata dai social network verso i personaggi che in politica ci lavorano (ricordate la foto di Barack Obama con la moglie Michelle postata su Twitter dopo la conferma del suo secondo mandato?), la serialità americana si è divertira a stravolgere o andare nel dietro le quinte dei meccanismi di governi, partiti e singole persone.

Non c’è genere che non si sia divertito a mostrare al pubblico la sua prospettiva di come dovrebbe essere, o di com’è, il mondo nel quale sono prese le decisioni da cui dipendono in parte le nostre vite da cittadini. E non c’è serie tv che, prima o poi, finisca con l’avere una storyline che riprenda un’elezione seppur a livello locale, di un paese, di una città o di uno Stato.

Inutile domandarsi perchè gli autori di serie tv si cimentino in racconti del genere: la politica, come altri aspetti della vita quotidiana, da una parte ha numerosi spunti da cui poter prendere ispirazione per narrare storie in cui i personaggi già noti al pubblico possono trovarsi in nuove situazioni, ma dall’altra suscita anche il desiderio di essere metabolizzata dal pubblico più vasto, magari non proprio appassionato di vicende legate a questo mondo.

Sono poche le serie tv che sono riuscite ad entrare all’interno dell’ambiente politico riuscendo a convincere pubblico, critica e gli addetti ai lavori. Non sono solo drama, ma anche comedy che facendo ridere sono riuscite a strappare qualche riflessione sulle difficoltà (quando svolto con serietà) di un mestiere come quello del politico.

La politica nei drama: da West Wing a Scandal

West Wing Indubbiamente, una delle serie tv che meglio ha rappresentato il contesto politico nei suoi numerosi aspetti è “West Wing”. Aaron Sorkin (che è tornato alla politica ma dalla prospettiva giornalistica con “The Newsroom”) è riuscito a raccontare una storia fatta di ideali, conflitti e persone alle prese con decisioni da prendere. I politici, qui, sono umani, possono sbagliare, ma soprattutto vogliono fare bene il loro lavoro. Intervistato da Stefania Carini su “Serial Writers” (disponibile in libreria e su tablet), Eli Attie, sceneggiatore della serie tv ma in passato assistente di Bill Clinton e speechwriter di Al Gore, ha spiegato che la forza di questo show sta nell’aver voluto fare in modo che i personaggi avessero una precisa posizione politica:

“Molte serie tv che parlano di politica venute dopo hanno cercato di non dare ai personaggi un’ideologia, suppongo per paura di alienarsi gli spettatori. E’ stato il caso del breve ‘Commander in chief’ o di ‘1600 Penn’. Il risultato, a mio avviso, è quello di far sembrare falso il mondo narrativo, perchè la vera politica consiste in tutto e per tutto nell’aver un forte punto di vista. Così, rendere i personaggi di ‘West Wing’ dei ‘democratici liberal’ li ha resi tridimensionali.”

Sempre Sorkin, qualche anno dopo, si è cimentato nel raccontare la politica attraverso le notizie e le interviste di “The Newsroom”. L’effetto, fin dalla prima stagione, è stato ben diverso, con i repubblicani all’attacco dello show per le sue prese di posizione, al punto che Fox News Channel ha definito la serie “una fantasia democratica”.

Boss Dal dietro le quinte si passa alla rappresentazione della politica, ma la stampa resta presente, pronta a documentare successi ed insuccessi: “Boss”, durata solo due stagioni, ci ha mostrato le pieghe di un uomo, Tom Kane (Kelsey Grammer, che per questo ruolo ha vinto un Golden Globe) affetto da una malattia ma che non vuole lasciare il potere conquistato negli anni passati, dovendo mentire a tutti, dalla famiglia allo staff, fino ai giornalisti. Farhad Safinia, creatore della serie tv, ha detto sempre alla Carini che il legame tra politica e giornalismo è qualcosa a cui non si può rinunciare se si vuole fare uno show di questo tipo:

“Non puoi fare uno show sulla politica e non parlare del giornalismo. Devi mostrare qual è la sua funzione in una democrazia, e se funziona o meno. La stampa deve essere l’avversario della politica. (…) In ‘Boss’, Kane gioca con la stampa, sa come gli eventi sono percepiti dal pubblico, sa come manipolare i media per portare la ‘storia’ lontano da lui, su altre questioni. E’ qualcosa su cui soffermarsi, perchè accade facilmente nella realtà”.

Anche “House of Cards”, serie tv di Netflix acclamata dalla critica, gioca con la stampa, che diventa uno strumento per il protagonista Frank Underwood (Kevin Spacey) per fare in modo che chi si ha ostacolato la sua ambizione possa pagarla cara. Lo show, senza dover rispettare un particolare ritmo televisivo, riesce così a mostrare la politica attraverso personaggi molto teatrali, con tanto di monologo del protagonista rivolto al pubblico, rompendo la quarta parete per svelare la reale natura “bestiale” dei palazzi governativi.

Scandal Ha fatto della gestione della stampa un proprio punto fondamentale “Scandal”. la nuova serie tv di Shonda Rhimes che è diventata in tre stagioni uno degli show più visti in America. La protagonista Oliva Pope (Kerry Washington) risolve i problemi di deputati, senatori e sopratutto del Presidente degli Stati Uniti dando in pasto alla stampa quello che lei vuole. E la stampa, che non ne esce proprio bene, segue le sue indicazioni senza fare troppe domande: chiaro, serve per deviare la trama verso lidi più da romanzo e meno da serie impegnata, ma il fatto che la consulente dello show, Judy Smith, sia stata responsabile della comunicazione durante l’amministrazine di George H.W. Bush, ci fa pensare che non sia tutta un’invenzione.

Anche “The Good Wife” scherza con le conseguenze che una notizia può provocare: per questo, la protagonista Alicia (Julianna Margulies) prova a stare il più lontano possibile dalla stampa, nonostante Eli Gold (Alan Cumming), che cura la campagna elettorale del marito, insista perchè rilasci interviste e sorrida ai fotografi. Raggiungerà un compromesso, ma basterà?.

Più orientato verso il drama, invece, “Brothers and sisters”, che soprattutto nelle prime stagioni è riuscito a disegnare un interessante confronto tra democratici e repubblicani attraverso una madre, Nora (Sally Field), ed una figlia, Kitty (Calista Flockhart), divise sui più vari temi di attualità politica, ma unite dalla famiglia. Come a dire: di sanità pubblica e guerra non si parla solo negli uffici.

Se guardiamo in Europa, uno degli esempi più recenti di come la politica possa avere un racconto in tv è “The Politican’s husband”, miniserie della Bbc Two che si concentra di più sull’aspetto personale dei personaggi, con il ministro Aiden Hoynes (David Tennant) costretto per un piano andato male a dover restare a casa e seguire l’ascesa di sua moglie, che occuperà il posto da lui lasciato. Meno scandali, ma il desiderio di voler raccontare la politica e l’ambizione attraverso l’interno è la stessa degli americani.

La politica nelle comedy: da Parks and recreation a Veep

La politica, però, è anche argomento da comedy e sit-com: esagerando situazioni e personaggi, anche tra una battuta e l’altra si possono trovare serie tv che nel corso degli anni hanno stimolato una riflessione sull’attuale situazione tra politica e media. Negli anni Novanta, “Spin City” ha raccontato le vicende dello staff del vicesindaco di New York, guidato da Mike Flaherty (Michael J. Fox) e poi da Charlie Crawford (Charlie Sheen), provando a limitare i danni del sindaco, poco abituato alle pubbliche relazioni.

Veep Il dietro le quinte della politica fatta da “pezzi grossi” torna ad essere al centro di un racconto con “Veep”, la comedy della Hbo che ha convinto la critica grazie al mondo assurdo ma irresistibile intorno al quale lavora la protagonista Selina Meyer (Julia Louis-Dreyfus, che per questo ruolo ha vinto due Emmy Awards), vicepresidente degli Stati Uniti. In “Veep” la vicepresidenza è raccontata come un premio di consolazione, a cui Selina ed il suo staff, composto da personaggi altrettanti sopra le righe e fuori dall’approvazione dei colleghi che lavorano col Presidente o della stampa, si rivolgono a volte con mancanza di rispetto ed altre cercando di fare più di quanto il loro ruolo consente. “Veep” racconta così la politica americana come una lotta tra chi è più potente e chi vorrebbe esserlo, fornendo una satira dell’America che prova a migliorarsi finendo però col creare pasticci e gaffes che divertono senza annoiare.

Sempre alla Casa Bianca è ambientato “1600 Penn”, comedy della Nbc durata solo una stagione, in cui la famiglia del Presidente degli Stati Uniti Dale Gilchrist (Bill Pullman) lo mette in situazioni imbarazzanti davanti alle telecamere. Di nuovo, la maggiore preoccupazione per lo staff del Presidente è l’immagine che può dare alla stampa, che anche qui serve a monitorare il suo operato ed ad evidenziarne i guai. Una show che avrebbe potuto avere successo ma che, però, frenando su certi temi e concentrandosi solo sulla parte familiare del racconto, non è stato gradito dal pubblico.

“Parks and recreation”, infine, si svolge in una dimensione più a misura d’uomo, con la protagonista Leslie (Amy Poehler) al lavoro nel dipartimento per la manutenzione dei parchi pubblici nell’immaginaria cittadina di Pawnee. Il suo ottimismo e la voglia di produrre cambiamenti tramite il suo lavoro dipinge un aspetto della politica che nelle altre serie non compare, preferendo l’analisi più pessimista di un mondo dove, sembra, tutti devono interpretare un personaggio.

Una risata per dimenticare gli errori?

I Simpson In conclusione, la politica in tv ci sarà sempre: troppo numerosi gli spunti che offre, sia sul piano dell’attualità che su quello dei programmi elettorali. Le serie tv, insomma, diventano attraverso le loro storie inventate dei cani da guardia della politica, confrontando personaggi e situazioni sceneggiate con quelli reali, ed alimentando nel telespettatore una maggiore consapevolezza sul tema. E la politica se n’è accorta, stando sempre più attenta al piccolo schermo ed alle sue storie. Il rischio è quello di avere una nuova situazione come quella che ebbe come protagonista Barbara Bush, che nel 1990 definì “I Simpson” come “uno dei programmi più stupidi che avessi mai visto”. Non solo gli ascolti ed i premi ottenuti dal cartoon dimostrarono il contrario, ma la stessa Marge Simpson inviò alla first lady una lettera di risposta:

“Ho recentemente letto le sue critiche alla mia famiglia. Mi ha fatto male. Il cielo sa che non siamo perfetti, e forse un po’ normali; ma come dice il Dr. Seuss ‘una persona è una persona’. Provo ad insegnare ai miei figli Bart, Lisa, ed anche a Maggie di dare sempre a qualcuno il beneficio del dubbio e di non parlare male di loro, anche se sono ricchi. E’ difficile fargli comprendere questo consiglio quando anche la First Lady ci chiama non solo stupidi, ma ‘la cosa più stupida’ che abbia mai visto. Signora, se fossimo la cosa più stupida che ha visto, Washington deve essere molto diversa da come mi hanno insegnato al gruppo della chiesa.”

Una querelle che si è risolta con un episodio della settima stagione, “Due pessimi vicini di casa”, in cui George H. W. Bush e sua moglie si trasferiscono vicino alla casa dei Simpson, finendo a litigare con Homer. Il lieto fine c’è, ma ancora una volta la politica ha dovuto subire il ciclone televisivo.

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