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Giampiero Marrazzo: “Oggi conduco un programma di vero servizio pubblico, da piccolo passavo ore nel bar di Teulada”

Dal 2021 alla conduzione di Il posto giusto, Giampiero Marrazzo ha un preciso ricordo della sua infanzia: le ore passate nel bar di Teulada…

7 Marzo 2022 08:05

Un cognome pesante, un’eredità professionale altrettanto importante per Giampiero Marrazzo, figlio di Joe Marrazzo e fratello di Piero Marrazzo, che conduce dal 2021 Il posto giusto, il programma in onda settimanalmente su Rai3 realizzato in collaborazione con il Ministero del Lavoro e con l’Anpal.

La tua carriera giornalistica parte a Bologna, città nella quale hai studiato giurisprudenza. Il 19 marzo 2002 seguisti in prima persona i minuti successivi all’uccisione di Marco Biagi. Come andò?

Da sempre volevo fare il giornalista e avevo deciso di studiare giurisprudenza perché ritenevo che fosse utile anche per la professione giornalistica. A Bologna ho incominciato a collaborare con alcuni giornali universitari e la sera dell’omicidio di Marco Biagi mi trovavo in un pub con degli amici a vedere Liverpool-Roma. Ad un certo punto sento delle sirene e capisco che è successo qualcosa: esco e in motorino mi metto a inseguire una pattuglia che mi porta proprio sotto casa di Marco Biagi. La Rai per il momento sul luogo aveva solo un operatore e io riuscii a passare la prima barriera creata dalla polizia grazie al tesserino da giornalista di mio padre che portavo sempre con me. Quell’operatore si mise così a riprendere le prime interviste che feci ai testimoni presenti al momento dell’omicidio.

Il tesserino da giornalista era appunto di tuo padre. Quanto ha influito sulla scelta di fare il giornalista aver avuto come padre Joe Marrazzo?

Ho perso mio padre che avevo cinque anni e probabilmente proprio per questo conservo dei ricordi specifici di lui. Il lavoro che faceva lo portava a stare spesso fuori casa. Quando tornava ricordo che, invece di portarmi con un padre qualunque a giocare al parco, mi portava con lui in Rai a Teulada e io rimanevo lì nel bar alla mercé di tutti. Passava la Carrà e giocava con me: i primi ricordi che ho sono questi e li associo alla malattia per il giornalismo che aveva mio padre. La malattia, che a questo punto direi che è genetica, si è trasmessa anche a me. Avevo in fondo due opzioni: la scelta più facile sarebbe stata fare l’avvocato o qualcosa di totalmente lontano dal mondo del giornalismo, mentre la scelta più folle, quella di espiazione, come la chiamo io, era quella di scegliere proprio questo lavoro.

Una scelta di espiazione: com’è fare il giornalista essedo il figlio di un giornalista che ha creato un proprio stile e avendo anche un fratello più grande che aveva già deciso di percorrere quella stessa strada?

Credo che siamo innazitutto tre modi di fare giornalismo, anche generazionalmente, diversi, quindi fare un paragone sarebbe una battaglia impari per tutti e tre, considerando anche che abbiamo preso tre strade diverse. Se devo trovare un tratto per così dire “marrazziano” lo vedo nella capacità di ascoltare nel nostro lavoro l’interlocutore. Io non ho mai sentito il peso del nome di mio padre, ma sento sempre invece l’onore di portare quel cognome. Ogni volta che faccio qualcosa per lavoro mi auguro sempre che mio padre guardandomi possa essere fiero di me.

In occasione del tuo arrivo in Rai uno dei gli aspetti che più è stato sottolineato è stato proprio il cognome che portavi, da ricondurre inevitabilmente a tuo fratello Piero. Come hai vissuto quelle insinuazioni, frutto anche di una vicinanza a Vincenzo Spadafora, del quale eri stato portavoce per un breve periodo quando lui era Garante per l’infanzia e l’adolescenza?

Credo che allora sia uscito un articolo al riguardo, ripreso poi anche da altre testate. In quell’articolo non venivano comunque messe in dubbio le mie capacità e non ho mai voluto rispondere proprio per questo, oltre perché credo che il lavoro sia il miglior modo per mettere a tacere ogni eventuale critica.

Prima di arrivare in Rai hai avuto tante esperienze, anche ruoli importanti, come la direzione di Avanti! o di Futuro quotidiano. A Mediaset sei stato anche autore di Domenica live: cosa ti ha insegnato quell’esperienza?

A Mediaset ho ricoperto ogni ruolo possibile e tutta l’esperienza maturata in quegli anni ora mi torna utile, anche per l’aspetto autorale, che mi permette ora di dare il mio contributo nella scrittura di Il posto giusto. Ho lavorato con Brachino, Giordano, la d’Urso, tutte persone dalle quali ho imparato molto.

I programmi di Barbara d’Urso sono stati spesso giudicati “trash”. Ti sei mai vergognato per qualcosa andato in onda all’interno di Domenica live?

Se tu mi chiedi se mi vergogno di qualcosa andato in onda a Domenica live, è come se tu chiedessi ai leader di partito che negli anni sono stati ospiti a Domenica live: “Ma non vi vergognate di essere andati in una trasmissione che faceva anche del trash?”. Ognuno in un programma del genere lavora sul proprio segmento: nel mio caso erano soprattutto gli spazi di cronaca e politica.

Ora conduci un programma come Il posto giusto che vede la collaborazione del Ministero del Lavoro e dell’Anpal. Come si costruisce un programma marcatamente di servizio?

I messaggi che devono essere veicolati sono soprattutto legati agli strumenti che l’Anpal e il Ministero mettono a disposizione delle politiche attive per il lavoro. Tutto questo va reso in una maniera estremamente fruibile, senza dare l’idea di una vetrina asettica, costruendo un programma in maniera partecipata innanzitutto da studio, altrimenti chi ci guarda non può riconoscersi nelle storie che raccontiamo.

Lo scorso anno hai ereditato Il posto giusto da Federico Ruffo che era divenuto il volto della trasmissione. È stato difficile per te raccogliere il testimone e costruire il programma su tua misura?

Per me poteva essere sicuramente un testimone importante quello che mi ha lasciato Federico, che semmai ce ne fosse bisogno sta dimostrando tutta la sua professionalità a Mi Manda RaiTre. Io e lui siamo due figure completamente diverse nel modo di approcciare la professione, due figure sicuramente non sovrapponibili. Per me l’obiettivo non è mai stato che uscisse dal programma Giampiero Marrazzo: il mio interesse è sempre stato rivolto alle notizie fondamentali che dobbiamo veicolare con Il posto giusto.

Nel tuo percorso televisivo fino ad ora hai lavorato principalmente da studio, salvo l’esperienza come inviato fatta a Fuori dal coro e Titolo V. Potrebbe esserci anche altro per te in tv nei prossimi anni?

Per il futuro a me interessa continuare a fare il giornalista. La conduzione è solo una parte della professione: se l’azienda mi proponesse altro, valuterei senza problemi. In questo momento sono onorato di essere in Rai, in quella che è stata la casa di mio padre, a fare un programma di vero servizio pubblico.