Home Interviste David Parenzo: “Vorrei la Meloni a In Onda per un confronto leale. A Soumahoro oggi farei un’intervista diversa”

David Parenzo: “Vorrei la Meloni a In Onda per un confronto leale. A Soumahoro oggi farei un’intervista diversa”

Intervista a David Parenzo: l’incontro con Giuseppe Cruciani grazie a Luca Telese, il desiderio di avere Maria Giovanna Maglie a La Zanzara, l’esperienza a In Onda e i complimenti a Veronica Gentili

20 Febbraio 2023 10:40

Più anime, più passioni, più spartiti. Radio, televisione e tra un po’ anche il teatro. David Parenzo si fa in tre e si regala più identità, consapevole della difficoltà, del rischio, della crescente responsabilità. Dal 7 marzo partirà dal Parioli lo spettacolo Ebreo, lavoro realizzato a quattro mani con Valdo Gamberutti per la regia di Alberto Ferrari. “E’ un altro pezzo del mio percorso, un’idea concepita otto anni fa e rimasta nel cassetto”, rivela il giornalista a TvBlog. “Sarà un monologo, arricchito da tante voci che faranno da cameo, tra cui quelle di Enrico Mentana, Paolo Ruffini, Vittorio Sgarbi, Ale e Franz. Intendo raccontare cosa vuol dire essere ebreo. In molti alla radio mi affibbiano questa etichetta, allora mi son detto: ‘sfrutto questo brand e mi racconto’. Sarà uno show in stile Monty Python, da spermatozoo a tomba racconto un’intera cavalcata”.

Classe 1976, padovano, Parenzo è stato innanzitutto un volto delle tv locali del nord. I primi passi ad Odeon con Tutto quello che avreste voluto sapere sul Festival ma non avete mai osato chiedere (“realizzavo servizi da Venezia sulla Mostra e riportavo la cassetta in redazione in treno”), poi TeleNuovo e l’approdo a TeleLombardia, dove guidò svariate trasmissioni di approfondimento politico, tra cui Iceberg, programma talmente iconico da diventare persino set di una beffa di Scherzi a parte ai danni di Marco Pannella: “Fu spettacolare – ricorda Parenzo – lo lasciammo chiuso in camerino per tutta la durata di un finto talk, uscì che era incazzato nero. Tra i nostri complici c’era uno strepitoso Ignazio La Russa”.

Proprio mentre lavorava a TeleLombardia avvenne il primo incontro con Giuseppe Cruciani. Casuale, imprevisto. “Mi trovavo a Tetris, meraviglioso programma che Luca Telese conduceva su La7. Ero nella giuria di questo talent che giudicava i politici. Una sera venne Giuseppe, che già mi conosceva perché mandava pezzi di Iceberg a La Zanzara. Mi prendeva in giro, pur non essendoci mai conosciuti. Andammo a cena fuori e parlammo. Si divertì e mi propose di intervenire direttamente in radio. Mi chiamava tutti i giorni al telefono. Dopo 3-4 mesi cominciò la vera collaborazione”.

In dodici anni La Zanzara ha cambiato pelle più volte.

E’ una trasmissione viva, in continua evoluzione. Si adatta al cambiamento dei conduttori e delle stagioni politiche. La grande forza della Zanzara è questa, è il segreto del suo successo. E’ un flusso che muta in base alle epoche e la gente lo percepisce. Per quel che mi riguarda è come se ogni sera, dal lunedì al venerdì, entrassi in un fight club. Devi essere allenato. La definisco la colonscopia dell’Italia, raccontiamo col nostro registro quello che è il Paese. Mi infurio quando Cruciani afferma che quella sia l’Italia (ride, ndr), lo è per lo 0,5% e mi arrabbio quando si concentra solo su quello.

 

Più volte si è assistito ad una conduzione a tre, ma alla fine ha prevalso la coppia.

Nel rapporto a due c’è il ping-pong perfetto. Andiamo in onda senza vederci, da due città diverse, lui Milano, io Roma. Quali sono le coppie che ancora adesso lavorano insieme da così tanto tempo? Mi vengono in mente Luca e Paolo, Ale e Franz, Pio e Amedeo, basta. La terza voce ci può essere, a patto che sia calibrata, buttata lì ogni tanto e non sarebbe male se fosse femminile. Ad esempio, invitare Maria Giovanna Maglie una volta a settimana sarebbe straordinario. O anche Daniele Capezzone. Qualche volta ci sta la rottura della liturgia della coppia, però deve essere dosata.

Ha notato pure lei una progressiva ‘zanzarizzazione’ dei programmi televisivi?

Assolutamente sì. Io tento di tenere distinti i prodotti in base ai contesti perché il pubblico è differente. Saper mutare non significa essere Zelig, è semmai un patto di chiarezza col pubblico. Non è che se uno sente Parenzo alla Zanzara poi pretende che in tv sia uguale. In una società fluida, essere in grado di trasformarsi è una necessità.

E’ un procedimento complesso?

Quando sei il padrone di casa di un talk non puoi metterti a fare quello che fai in radio, è un’altra cosa. A Radio24 siamo degli editorialisti sempre in campo e in battaglia, mentre in tv conduco una conversazione volutamente ragionata che si rivolge ad un’altra platea. Il patto è chiaro, io non cambio, sono sempre io. Anzi, negli anni questa caratteristica è diventata un valore aggiunto.

La differenza la colgono anche i politici? Capita di frequente che personaggi che prende in giro a La Zanzara poi debba incontrarli in tv.

Sì. Lo stesso Donzelli, di cui parlo abbondantemente in radio, è venuto a In Onda. Sono persone intelligenti e sanno distinguere.

La7 le ha fatto mai pesare questo doppio spartito?

In passato è capitato che me lo facessero notare, oggi non più. Pure i miei editori riconoscono che può essere un vantaggio. Quando conduco o faccio l’ospite tengo insieme il dovere di dare notizie, l’ironia e il sarcasmo. Qualche anno fa si sarebbe potuto generare un crash, ora invece tutto si tiene in piedi benissimo. Penso di aver portato un po’ di pubblico pop su La7 e, viceversa, del pubblico autorevole di La7 ad ascoltare La Zanzara. Ci sono molte persone, credimi. Magari non telefonano, ma ascoltano e ridono. Sono interessate a quello che è un fenomeno sociale. Nemmeno immagini quanti politici ed esponenti della cultura mi confessano di divertirsi con noi. Parlo di personaggi insospettabili della grande letteratura italiana.

Quest’anno ricorrono i dieci anni da Radio Belva, tentativo di trasposizione de La Zanzara in tv. Si trattò di un’unica puntata dagli esiti fallimentari, diventata al contempo mitologica.

La definisco il Gronchi Rosa, francobollo unico e raro. Un po’ come quelle banconote fallate che acquisiscono automaticamente valore. E’ il manuale di tutto quello che non si dovrebbe fare in televisione. Sarebbe bellissimo annunciarne il ritorno. Preparerei solo lo spot, ce l’ho già in mente: io e Cruciani, elegantissimi, che trasportiamo una gabbia con all’interno Sgarbi in versione Hannibal Lecter e dietro un codazzo di tutti i nostri ‘mostri’. Immagino una processione, in penombra, con le urla in sottofondo. Preparerei il promo, giusto quello, ma guai a rifarlo!

Cruciani descrisse una situazione surreale, con lui arrivato negli studi Mediaset di corsa dopo aver concluso la diretta di Radio24. Quali sono i suoi ricordi?

Sono ricordi terribili, agghiaccianti. Avremmo dovuto costruirlo diversamente e forse avremmo dovuto avere un’altra testa. Non puoi immaginare di realizzare un programma in prima serata e farlo così. Sbagliammo entrambi. Tuttavia, c’erano tante intuizioni geniali, basti pensare a Emilio Fede collegato dalla sede di Rifondazione Comunista. Mediaset giustamente lo chiuse, come darle torto. Ma c’era la volontà di ricalibrarlo e rimandarlo in onda in seconda serata, col passaggio da Rete4 ad Italia1. Svolgemmo una serie di riunioni a cui partecipò tra gli altri Giovanni Benincasa. Ci misero a disposizione Roberto Cenci come regista. Fu sbagliata anche la collocazione, Rete4 non era quella di oggi. In conferenza, scherzando, ci chiedemmo cosa ci facevamo in mezzo al Tenente Colombo. Mediaset si accorse dell’errore, voleva rimetterci le mani dopo uno stop tecnico, ma a quel punto fummo noi a ritenere che non fosse più il caso.

Sempre al 2013 risale la sua prima esperienza in Rai con La guerra dei mondi. Durò appena un’estate, come mai?

Era un programma molto bello, forse troppo avanti. Probabilmente ero giovane e poco consapevole. Era una sorta di A bocca aperta. Nella vita ogni cosa deve arrivare nel tempo giusto e a quei tempi non ero ancora sicuro di me. Sbagliai io, non Rai3 che fece una scommessa. Non andò male, ci furono problemi di natura politica, ma non recrimino nulla. Anzi, ringrazio il direttore di allora, Andrea Vianello. Ci aveva visto lungo. Oggi non lo rifarei, sarebbe abbastanza ridicolo ripetere la stessa trasmissione, ma la mia vera sfida per il futuro è riuscire a far qualcosa che tenga insieme l’ironia e il sarcasmo. Che poi è ciò che proverò a fare a teatro.

Proprio a La guerra dei mondi ospitò Veronica Gentili, all’epoca attrice e in seguito diventata conduttrice e sua diretta concorrente nel weekend.

Vuol dire che ci avevo visto lungo. Veronica è brava e talentuosa. E’ bello quando persone con cui hai lavorato fanno strada, fa piacere. Ho tantissimi difetti, ma non sono né complottista, né invidioso. Se noto persone brave, le osservo e mi ispiro. Sono contento che la Gentili abbia effettuato questo switch.

A In Onda è ormai un’istituzione, mentre i suoi partner sono spesso cambiati: Tommaso Labate, Luca Telese e ora Concita De Gregorio. Con quest’ultima il rodaggio ci è sembrato più complicato del solito.

Tutte le coppie vanno testate. Secondo me la trasmissione ha trovato una sua dimensione. Le alchimie si costruiscono strada facendo. Il bello delle sfide è rimettersi sempre in discussione, in maniera tale che il programma trovi sempre un pizzico di novità. Qualsiasi coppia crea delle proprie dinamiche.

C’è un ospite che vorrebbe invitare, o che si rifiuta di partecipare?

Mi piacerebbe avere Giorgia Meloni per dare vita ad un confronto leale. Una delle ultime volte, nell’estate del 2019, si arrabbiò, ma poi ci rivedemmo più volte. Dopo la vittoria elettorale le ho mandato un messaggio di congratulazioni, ci conosciamo da vent’anni. Il rispetto da parte mia rimane assoluto, non vorrei si confondesse la vis polemica con l’educazione. Sono contento che come premier ci sia una donna, giovane e della mia generazione. Se i politici scegliessero di andare negli studi dove c’è meno complicità sarebbe meglio, aiuterebbe anche a placare una certa aggressività dei giornalisti. Vale per tutti.

Ritiene anche lei che le performance migliori avvengano nella tana del nemico?

Certamente. La Meloni è una persona capace, sono convinto che nell’ambito di una intervista garbata ma incalzante funzionerebbe. Quando i leader scelgono di lottare in un’arena a loro non favorevole, nove volte su dieci ne escono con l’apprezzamento del pubblico. Dovrebbero esserne tutti consapevoli, a destra e a sinistra.

A novembre ospitaste Aboubakar Soumahoro senza calcare troppo la mano sui dettagli dell’indagine che lo riguardava. Col senno di poi modificherebbe qualcosa?

Rivedendo le interviste, e non solo quella a Soumahoro, è normale fare determinate valutazioni. Ci si domanda se si sarebbe potuto approfondire questo o quel tema. Però esiste anche il momento in cui certe cose accadono. Si trattava della sua prima uscita pubblica, a poche ore dall’esplosione del caso. In mano avevamo soltanto una testimonianza sulla questione delle cooperative che era stata pubblicata sui giornali.

Solo cinque giorni dopo a Piazzapulita l’approccio di Corrado Formigli fu decisamente differente.

Quel sabato l’inchiesta non era così avanti, almeno pubblicamente. Ci siamo basati su ciò che avevamo. Se poi vuoi sapere se gli chiederei cose diverse, ti rispondo ‘assolutamente sì’, ma sulla base delle nuove informazioni che ci sono. Noi non siamo un tribunale, gli facemmo le domande che ci sembrarono più interessanti in quella fase. Certo, se oggi tornasse gli chiederei tutt’altro, o molte cose in più. Con Soumahoro non concordammo nulla, gli spiegammo che sarebbe stato utile venire per metterci la faccia.

Da mesi si parla di un possibile cambio alla conduzione de L’Aria che tira e tra tanti nomi è uscito anche il suo. Che c’è di vero?

Sono a La7 da tanti anni ed è il posto migliore in cui stare. Nessuno mi ha mai imposto cosa dire e chi invitare. Sono felice di far parte della squadra. L’Aria che tira è un programma creato e voluto da Myrta Merlino che ho sostituito quando mi è stato chiesto da lei e dalla rete, ma sono qui per fare In Onda, dove sto molto bene assieme all’ottima Concita.  Voglio portare a termine e bene questo lavoro. E’ un talk che ha il suo pubblico e sono felice di raccontare l’attualità in modo originale, con una modalità identificata. Tutto quello che verrà un domani lo valuterò con l’azienda.