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Claudio Brachino a Reputescion: “Vorrei Gazebo. Berlusconi? Ama Tiki Taka”

Claudio Brachino ha parlato da Andrea Scanzi di Barbara D’Urso, di Fabrizio Corona, del giudice Mesiano e del successo di Pierluigi Pardo, ma ha anche elogiato a sorpresa la novità linguistica di Diego Bianchi

pubblicato 4 Dicembre 2014 aggiornato 2 Settembre 2020 21:13

“Magari dopo questa puntata qualcuno del web mi troverà più simpatico…”. La cura Andrea Scanzi ha vinto anche stavolta. Riuscendo a dare un volto umano e a restituire un background culturale al giornalista Claudio Brachino, a molti inviso sul web per la sua militanza di lungo corso a Mediaset scambiata per partigianeria.

Invece il sottoscritto per primo, che spesso lo ha ingiustamente considerato alla mercé della D’Urso o della Panicucci, si è dovuto ricredere gustandosi la sua recente intervista a Reputescion. Innanzitutto nello scoprire che Brachino è un ricercatore mancato di letteratura italiana:

“Feci una tesi di laurea sperimentale su un poeta preromantico dell’Ottocento, il Solitario delle Alpi, avevo trovato i testi e li avevo messi in un impianto critico molto strutturato. Io sono un amante dello strutturalismo francese, Roland Barthes… Feci una tesi molto pesante, grande laurea… Poi un mese dopo mi presentarono il maestro, Walter Binni, che aveva letto la mia tesi. Però mi disse che scrivevo in un modo per lui insopportabile. Questa frase mi scioccò. Ero troppo pieno di nouvelle critique rispetto alla sua scuola. Ci rimasi male e fui costretto a cercarmi altre cose”.

Il neo Direttore di Sport Mediaset ha commentato in maniera altrettanto alta il suo web-feeling negativo, al 58%, raccontando il suo nobile rapporto con il concetto di simpatia e antipatia.

“Fa piacere parlare di antipatia, a uno come me che ha avuto come maestro Eduardo De Filippo. Ho avuto il privilegio di sentire una sua lezione sulla simpatia e l’antipatia. Poi la piece Simpatia fu fatta con Gassman alla Bottega del Teatro di Firenze. Io ero studente di lettere, seguii un suo corso di drammaturgia a Roma. Feci quel corso e poi lui scelse il mio testo per metterlo in scena. Poi ho scritto una commedia a 22 anni, sempre per De Filippo. Era il 1982. Io lavoravo da solo, ebbi l’autorizzazione. Si chiamava Mettiti al passo, pubblicato da Einaudi. C’è scritto ‘Claudio Brachini’ perché il mio cognome non gli piaceva, mi diceva che era meglio se mi chiamassi ‘Merda’. Io alla Siae sono Claudio Brachini. Ovviamente una parte della critica mi aveva già stroncato”.

Brachino ha, poi, commentato perché non è attivo sui social network:

“Non sono sui social per una serie di convenienze pratiche. Voglio evitare guai. Chi fa il mio lavoro, quando sta su Twitter, comincia a esprimere opinioni e dare informazioni. Siccome io lavoro 15-16 ore al giorno spererei di non avere altri ulteriori guai. Per scelta anacronistica preferisco non usarli a livello di espressione altra. Credo sia un limite che va recuperato. Ci sono esempi di miei colleghi che hanno fatto battute su Twitter e sono finiti in comitato di redazione. Quello mi ha abbastanza scioccato”.

A tirare acqua al suo mulino parla, però, la sua lunga e controversa carriera in video:

“Tecnicamente credo di non aver sfigurato, andando in onda per 15 ore l’11 settembre. Avevo già fatto la Prima Guerra del Golfo proprio con Emilio Fede. Fu l’inizio del primo Telegiornale nazionale. Io vengo dalla generazione che ha avuto l’opportunità di avere una buona scuola di televisione. Vuol dire per un conduttore che non c’è scaletta, non c’era l’auricolare, devi descrivere ciò che ti accade. C’era in regia il mio Direttore Giordano. Poi ho fatto tre mesi di Studio Aperto con un grande giornalista come Vittorio Corona, il papà di Fabrizio, in uno studio di 500 metri quadrati. Ero l’unico conduttore che passava più il tempo a spostarsi, che a lanciare notizie, chiaramente un esperimento destinato alla chiusura”.

Brachino deve molto professionalmente anche a personaggi molto discussi, come appunto il suo Direttore Emilio Fede:

“Oggi lo sento poco. Cerco di scindere l’attualità e il suo rapporto con l’azienda oggi dal mio ricordo personale del 1991, una generazione di trentenni che si confrontava con la Rai su un tema così complesso da raccontare come la guerra. Quello che noi sappiamo dalla tv, tecnicamente, l’abbiamo imparato da un maestro come lui. E’ un’immagine scissa dalle vicissitudini di oggi, che non giudico”.

Un altro suo legame particolare è quello con Fabrizio Corona:

“C’era questo giovane ragazzo, Fabrizio, che veniva a trovare il papà. Ho avuto una certa simpatia per lui sino a un certo punto, che ha portato una collaborazione professionale. Fu mia l’idea i primi anni di chiedere ai paparazzi di uscire con una telecamerina, compravamo i video con pochissimi soldi, fu un’intuizione manageriale. Poi certo il Corona successivo non è da applaudire, ma trovo che la pena per Corona sia superiore ai suoi demeriti per il funzionamento del sistema giudiziario in Italia. Ho firmato l’appello per la grazia. Uno deve pagare per quello che ha fatto giuridicamente, non per l’immagine culturale che ha dato di sé”.

Venendo ai giorni nostri, Brachino è oggi il papà editoriale di un programma eccentrico e apprezzato come Tiki Taka:

“Tiki Taka nasce perché un bel giorno mi hanno mandato a dirigere lo Sport e ho pensato che fosse una punizione, non me n’ero mai occupato, ho sempre fatto attualità, cronaca e costume. Mi sono appassionato e ho scoperto che c’era un buco nella tv generalista, in una televisione che ha fatto programmi importanti come Controcampo e Guida al campionato. Allora io con Pierluigi Pardo, che conduceva Undici su Italia2, abbiamo fatto due speciali. Abbiamo litigato fino alle 6 della mattina. Io sono molto perfezionista e molto pignolo, perché ho avuto scuole severe sul piano della scuola televisiva. Tiraboschi ci ha detto di andare il lunedì dopo Colorado, anziché alla domenica. Abbiamo scoperto che era la collocazione giusta. Il titolo è piaciuto subito, abbiamo trovato una formula. Non è chiacchiera al bar, c’è un principio organizzativo che prevede una contaminazione continua di livelli. Il campo semantico del calcio va fuori di sé, che sia politica o gossip. E poi sono 15-16 servizi narrativi, la cultura dell’immagine entra nel programma”.

Insomma, Tiki Taka è un programma studiatissimo:

“E’ un’evoluzione parossistica del vecchio Processo, se no non sarebbe su Italia1 e non avrebbe legato il suo successo al Colorado. La sintassi è la stessa. E’ un meta-linguaggio, un bar al quadrato giocato sull’ironia. Sotto il 6% sarebbe stato un insuccesso nell’Italia1 di oggi, fare l’8% all’inizio fu considerato un successo. Siamo arrivati anche al 12% o al 15% dopo le Iene. Anche oggi che abbiamo film che possono durare tanto o poco… se il film finisce alle 23.00 facciamo un programma, se finisce alle 24.00 ne facciamo un altro. Non è poco l’8% oggi in una seconda serata piena di rivali”.

Anche Pardo ha avuto da imparare dal perfezionismo di Claudio Brachino (che a quanto pare non dorme mai):

“Qualsiasi talk televisivo ha bisogno di una divisione di punti di vista, ma che abbiano una finalità di comprensione. Non può esistere un talk come somma di punta di vista. Pierluigi è orizzontale come cultura, ama una serie di opinioni che finiscono nel dopo-cena al locale. Gli ho chiesto di essere più divisivo. Pardo è un grande telecronista, mi dispiacerebbe se il calcio lo perdesse, ma ha tutte le caratteristiche per diventare un conduttore della televisione tout court. Io gli ho consigliato di valutare bene l’abisso, di non rovinarsi. I programmi portati dalla seconda alla prima serata si perdono”.

videonews brachino

Ecco, invece, la sua personalissima concezione della filosofia di Videonews, da Brachino definita ‘corsara’:

“Videonews, innanzitutto, è la testata che mi ha assunto quando non c’erano i tg. Curiosamente ne diventavo direttore. Con il mio arrivo l’idea era quella di prendere questa quarta testata e farla diventare una fabbrica di programmi con una caratteristica specifica. Innanzitutto low-cost, al posto degli autori c’erano giornalisti, programmi che potessero servirsi di star che lavoravano sotto testata. Con questa contaminazione, genericamente chiamata infotainment che non amo perché quasi sempre dispregiativo, rientra tutto ciò che non è nell’hard news del telegiornale. C’erano pochi programmi, oggi ne abbiamo 12. La chiamo una fabbrica corsara alla Pasolini. I nostri sono tutti programmi artigianali, con un gusto particolare. Dovevamo fare programmi che battessero linee diverse e che, piacciono o non piacciono, hanno fatto la storia recente. Abbiamo Guido Meda o un giovane interessante al mattino come Federico novella. Abbiamo creato novità linguistiche, rilanciando lo stesso Sgarbi come arbitro del talk della domenica. Meluzzi, che era un po’ scomparso… ne abbiamo anche abusato. Lo stesso vale per Cecchi Paone, a cui abbiamo dato una visibilità televisiva legata alle sue condivisibili battaglie personali. Tanti politici sono venuti molto nei nostri contenitori da sconosciuti. Picozzi l’abbiamo fatto diventare importante noi. E’ un mestiere che non bisognerebbe fare in continuazione, bisogna rinnovare il mondo degli opinionisti che tende alla ripetizione, cercare sul web”.

A proposito della sfida a Sfide lanciata da Heroes, che ne è apparso un evidente calco, Brachino ha ammesso di tenerci molto:

“Ho incontrato la Ercolani, che mi ha detto ‘che fai, mi copi?’. Certo, tutti copiano tutto, l’importante è fare la copia migliore”.

Sul percorso Mediaset-Forza Italia di Giovanni Toti dice:

“Già parlava di politica quando l’ho incontrato per la prima volta. Anche il fare giornalista era legato molto a questo. Sapevo che sarebbe successo prima o poi. Secondo me lo fa bene, è una faccia giovane, infatti l’ho invitato insieme agli altri giovani del centrodestra. Io non so se lo farei, anche se sono un figlio di un ferroviere sindacalista che mi portava al dopolavoro. A casa mia si è sempre respirata la politica, ancora oggi la prima cosa che leggo al mattino sono gli editoriali. Però sono ancora innamorato – a differenza di Giovanni – del mio mestiere, non lo considero un passaggio verso qualcos’altro, anche se mi dispiace oggi fare più il manager che occuparmi di contenuto e notizie”.

A chi ritiene che Videonews sia troppo d’ursocentrica, il suo padrino televisivo risponde con onestà intellettuale:

“Barbara la stimo moltissimo, abbiamo fatto insieme il Mattino ed era un programma di infotainment non perché io facevo la parte giornalistica e lei balli e canti, lei faceva un programma di parola come noi. Era la prima volta che una star si faceva guidare per fare le interviste. Il programma ha innescato un meccanismo. Barbara ha affinato quel meccanismo. Io rimango di un’idea molto laica, noi dobbiamo continuare a fare le interviste di tipo tecnico e Barbara D’Urso deve fare le interviste da Barbara D’Urso senza un linguaggio tradizionale. Per il resto abbiamo Confessione Reporter, Terra, anche il mio Top Secret. Tanti son i linguaggi. Ognuno deve fare il suo”.

Ecco perché, secondo Brachino, Matrix è rimasto in vita e lotta insieme a noi:

“Matrix era Videonews tecnicamente all’inizio, ma c’era una grande libertà editoriale. Era a misura di un grandissimo giornalista come Enrico Mentana. Poi dopo si sono cercate altre strade, vive ancora il marchio. Quindi siamo stati bravini ad aver tenuto in vita il marchio. Alessio Vinci ha portato una sua esperienza di reporter, forse con lui si doveva fare un Matrix meno talk e più legato all’immagine. Io credo che adesso con Telese Matrix abbia trovato una sua dirittura, con un giornalista intelligente politicamente che sta esplorando i territori della seconda serata di Canale5, che non è quella di La7. E’ un marchio importante di autorevolezza”.

Poi c’è il papà di Quinta Colonna, che è diventato il re dell’approfondimento del lunedì sera:

“Del Debbio si è fatto le ossa prendendo il mio posto. I mattino consente di conoscere un pubblico popolare complesso, a me ha dato una popolarità superiore al telegiornale. Qualcuno risponde che è ancora affezionato. Bisogna avere un’umiltà nel porre le notizie a un pubblico diverso, importante elettoralmente ed editorialmente. Dopo quell’esperienza abbiamo trovato per Paolo un format adatto a quell’anchorman lì. Poi la piazza non è che l’ha inventata Paolo, solo che c’è una piazza radicalchic fighissima e una destrorsa trash. Paolo secondo me ha fatto un bellissimo programma, interessante e importante. Si è legittimato ideologicamente in un momento difficile, quello di raccontare la Casta da destra (scandalo Fiorito)”.

Infine l’argomento che Scanzi non poteva sollevare: la presunta censura di Silvio Berlusconi sui suoi dipendenti. Ecco la risposta altrettanto strategica di Brachino:

“La libertà è quasi totale. E’ stato un editore a livello tecnico. Noi abbiamo visto il nostro editore diventare Presidente del Consiglio. Noi non sapevamo come regolarci. Uno immagina sempre queste telefonate, io rispondo solo a Confalonieri. Berlusconi io lo sento pochissimo. Magari ultimamente mi ha parlato più di Tiki Taka che di politica. A Videonews abbiamo sempre scelto gli argomenti e gli opinionisti che volevamo, per il resto ogni giornale ha una proprietà”.

Ricordi del loro primo incontro?

“L’ho visto la prima volta a Milano Due per Dentro la notizia, non conoscevo nessuno, venivo da Roma. E’ entrato da dietro, sono stato il primo che l’ha visto, si è ricordato di me e chiese che io mi tagliassi i capelli in un modo che voleva lui per andare in onda così. Dieci anni dopo mi ha guardato e ha detto ‘con quei capelli non saresti andato in onda’. Abbiamo un rapporto tricologico, più che ideologico”.

Infine, il neo nella carriera di Brachino, che lui stesso ha riconosciuto:

Il giudice Mesiano… Io capisco che il web… Sembra che io da Wikipedia abbia fatto solo quel servizio, in una storia professionale che io ritengo buona. Quelle immagini non erano girate da me, chiesi un certo tipo di servizio, se l’avessi visto non sarebbe andato in onda. Ho chiesto scusa, credo non sia da poco. L’ho fatto in quello stesso contesto. Ho rivendicato un diritto di critica sulla sentenza in sé, ma l’avevamo aggredito in modo scorretto. Credo non ci sia un metodo o un sistema. Non appartiene alla mia visione del mondo e delle cose. Ho invitato magistrati per discutere della questione. Sono stato sospeso, l’ho trovato eccessivo. L’Italia è il Paese dove chiedere scusa è un’attività formale, invece la mia è stata sincera. Non c’è stata nessuna macchina del fango. Lì l’unico che ha pagato sono stato io. Volevo chiedere scusa di persona al giudice, poi non si è creata mai l’occasione. Magari prima o poi nella vita… Mi aspetterei la solidarietà della rete anche perché sono stato appena condannato in primo grado a otto mesi per un’inchiesta di Top Secret su Uno bianca, dove sono stati espressi giudizi relativamente gravi. Ancora oggi si condanna un giornalista per un reato di opinione. Non voglio fare il martire, ma se ci fosse anche un movimento culturale in tal senso non sarebbe male, così diminuiamo l’antipatia”.

Sui titoli di coda l’annuncio che non ti aspetti:

“A Mediaset vorrei portare la novità linguistica di Gazebo che mi fa pensare a Pardo (Scanzi ha aggiunto che lui e Zoro sono due ‘cazzari di talento’). Per il resto ho intervistato Santoro alla convenscion di Publitalia. Mi ricordo che ero molto intimorito perché lo seguivo da giovane negli anni dell’università. Ero terrorizzato ideologicamente in quel contesto di fronte alla sua grandezze, fu molto dolce in quel contesto, anche se mi disse che ero troppo giovane e non potevo capire una sua battuta”.

Infine, il reputometro di Brachino leggermente negativo e “divisivo”. -0,54. La reputazione è segnata negativamente ancora dall’episodio legato al caso Mesiano, per cui è accusato di faziosità. Ma una parte apprezza l’operazione Videonews. Brachino ha risposto:

“C’è tutta una parte della carriera, forse che ho spiegato un po’ oggi un po’ no, che andrebbe valutata diversamente. Forse è colpa mia che non li ho aiutati a farlo, forse di qualcuno che clicca troppo su certi punti. Non sono arrivato a prendermi algoritmi per ripulire la mia immagine, godo anche delle immagini negative, perché sono risolto in me stesso. L’importante è l’immagine che io ho di me, abbastanza positiva”.

W la sincerità, sinceramente.