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Giffoni Film Festival 2013, Roberto Saviano: “Le fiction di mafia non creano emulazione”

“Per me non esistono film o fiction che aiutano la mafia: esistono buoni film e cattivi film”. Chiarisce che “le mafie non hanno paura di quello che ho scritto, ma di quelli che mi leggono” e ‘contesta’ Manzoni: “Il coraggio si coltiva”.

pubblicato 27 Luglio 2013 aggiornato 3 Settembre 2020 16:08

La ‘lectio’/incontro finisce qui, con i giurati in piedi per un lungo applauso e poi, come sempre, alla ricerca di una foto e di un autografo che Saviano non lesina anche sul Blue Carpet. Tutte le ‘formalità’ si stemperano di fronte ai ragazzi, anche se la sicurezza si mantiene vigile tra autografi e foto ricordo.

Incalzato dalle domande dei ragazzi, Saviano torna ai suoi sogni di adolescente, allo choc di cambiar vita, ai racconti di uomo blindato, non coraggioso di natura (“Il coraggio va allevato“) ma deciso ad andare avanti sia per l’ambizione di far conoscere i meccanismi della criminalità organizzata, sia per smontarne il ‘mito’. Spiega il segreto della sua ‘narrativa’, l’empatia, la capacità di entrare in contatto con il lettore e fargli capire che i fenomeni che racconta lo interessano da vicino, anche se non vive – o non crede di vivere – in terre ‘contaminate’.

Il giorno di Saviano al Festival sarà ricordato a lungo qui a Giffoni.

19.05Che consiglio ci dai per sperare ancora? E che ci dici dello scontro tra Palestinesi e Israeliani?”: questa l’ultima domanda posta da un ragazzo della giuria, prendendo spunto da una manifestazione cui Saviano ha partecipato a Tel Aviv qualche anno fa. La risposta va più sui meccanismi del ‘capitalismo criminale’ che sul consiglio per i giovani.

“Nel libro parlo di tre grandi banche del mondo che hanno riciclato i narcodollari. Senza quei soldi il nostro sistema economico, il mercato, imploderebbe. Questo appare sui giornali, ma poco: il tema sembra non ‘infuocarci’. Pensate che la parola Mafia non è stata neppure inserita nei primi dieci punti del nostro governo. Un segno di indifferenza più che di connivenza”.

Quindi si sposta sul tema della pace in Medio Oriente.

“Sono legato alla cultura ebraica e non solo per motivi di famiglia. La mia posizione è molto chiara, due popoli due paesi. Noi che abbiamo organizzato quella manifestazione partivamo da un presupposto semplice, ovvero iniziare a vedere nella società israeliana dei meccanismi di pace, delle forze che vogliono la pace e non l’occupazione dei territori. Pensavamo così di poter ‘togliere’ alle destre il ‘discorso israealiano’ e guardare a spunti di pace, che per me sono racchiusi in Tel Aviv. Il sogno è quello di vedere due Paesi e due democrazie”.

19.00 Il fascino della Mafia nasce anche dal fatto che sono gli unici a investire sui giovani, spiega Saviano. A Scampia al momento i capi hanno meno di 30 anni: in Italia non c’è nessun’altra azienda con vertici così giovani.

18.55 Da dove nasce il fascino dei mafiosi?

“Dal fatto che sono uomini che si assumono responsabilità, che sono pronti a ‘morire’ per la ‘famiglia’. Dove c’è un’azione che porta a uccidere o a essere uccisi c’è fascino. Per smontarlo bisogna conoscerlo: se non parlo del loro fascino rischio di non far capire alla gente cosa fanno davvero. Se spiego alla gente cosa fa un clan, se racconto ai ragazzi degli stipendi che pagano agli affiliati, di quando li usano per uccidere, dei 2000 euro che danno come indennità per stare 20 anni in galera, del ‘vice marito’ che sei costretto a scegliere perché la tua donna non può restare sola per venti anni…. ecco quando inizio a raccontare queste cose i ragazzi iniziano a capire che in fondo non ci si guadagna così tanto a essere mafiosi e che forse ‘non ne vale la pena’”.

18.53 Un ragazzo in sala critica la beatificazione di Andreotti da parte delle istituzioni alla sua morte e la sala applaude…

18.49 Lo strano rapporto tra Mafia e Cinema, anche fuori dalle sale cinematografiche:

“La mafia ha cercato di ‘comprare i film’ in passato, ora sono i boss che si ispirano ai film. E lo fanno per avvicinarsi meglio al pubblico a casa, adottando stili e anche comportamenti da eroi cinematografici. Un boss, ad esempio, si presentò ad un’udienza vestito sullo stile de Il Corvo, il film con Brandon Lee, per essere più ‘vicino’ ai giovani”.

18.43 Diventa quasi ormai una confessione tra lui e i ragazzi. Una ragazza di Palermo gli chiede come dovrebbe essere presentato il tema della Mafia in tv e al cinema per non creare emulazione.

“Per me non esistono film che aiutano la mafia: esistono buoni film e cattivi film. Il Padrino è un capolavoro: è normale che Don Vito ti affascina e magari le anime più fragili vedono i Corleone come un modello da imitare. Il rischio c’è. Io non delegherei all’arte, neanche al cinema e alla fiction, il compito di educare: se io raccontassi un boss solo come ridicolo farei un errore, perché loro passano la vita a costruirsi un’immagine affascinante. Persino ai processi provano le battute. Allora io devo rappresentarne il fascino e smontarlo. Poi dipende anche dal contesto in cui fruisci il film: una cosa è  uscire dal cinema e fare l’imitazione di un boss a Milano, una cosa è farlo in territori di Mafia, dove alla fine non imiti il film, ma l’ambiente che ti circonda. Il problema non è nell’opera ma nell’ambiente di chi osserva, nella storia di chi osserva. Detto ciò ci sono dei pessimi film, a prescindere da tutto. Il metro per giudicare un film di mafia è quello artistico, il potere di emulazione risiede nella società”.

18.39 Una ragazza di Cosenza ricorda di quando Saviano, diciottenne, inviò a Goffredo Fofi un racconto che fu giudicato “una stronzata, però… la scrittura c’è, quindi apri la finestra e raccontami quello che vedi“.

“E’ andata proprio così. Goffredo mi scrisse e io iniziai a raccontare il mio territorio. Guardando la costa casertana non può non salirti la rabbia: un posto così bello, come la California, come Copacabana, un paradiso insomma, ridotto a un inferno. E poi intorno a me avvenivano scene talmente splatter che neanche la fantasia di Tarantino avrebbe mai potuto immaginare. Ti rendi conto, vivendo in queste zone, di avere a disposizione una materia letteraria fortissima. E così io iniziai a scrivere e denunciare e Goffredo iniziò a pubblicarmi”.

18.34 Cosa la fa andare avanti?

“La condivisione di quel che scrivo e che dico sui media. Ti dirò: non c’è niente che compensa la trasformazione della tua vita, non il successo, non la fama. A volte me lo dico: ma chi te lo fa fare, perché non te ne sei andato in Islanda, come mi fu proposto sei anni fa, con tanto di cambio di identità e l’obbligo di non tornare più in Italia. Ma io volevo scrivere… Prima mi muoveva la rabbia, ora sento che alla fine tutto questo vale la pena farlo e viverlo perché c’è almeno ‘qualcuno’ che decide di leggere una storia che prima non avrebbe mai conosciuto, che decide di leggere testi che hai consigliato… Ecco, è questo che mi fa andare avanti. Certo, coinvolgo anche la famiglia, che subisce sfottò, pressione mediatica, odio politico (i governi precedenti mi hanno odiato come pochi…) allora ti senti doppiamente una chiavica. Perché non rinuncio? Perché sennò tutto quello che ho fatto sarà stato inutile”.

18.29 Quanto fa paura il giornalismo imparziale e come vede il futuro del giornalismo?

“Intanto il giornalismo imparziale non esiste se si parla di fatti legati agli esseri umani. Forse può esistere se si parla di scienza, non di ‘vicende umane”. La parzialità c’è quando nascondi il tuo punto di vista, quando alteri i fatti. Il futuro del giornalismo è un tema complicato, ma faccio un esempio: sul web si tende più al gossip che al giornalismo di inchiesta. Se fate caso. il ‘colonnino infame’ dei portali dei quotidiani, quello con gattini e donne nude, fa sempre moltissimi clic: ecco, la paura è che quello diventi sostitutivo dell’inchiesta. L’inchiesta non conviene, costa e fa 200 clic; se compro una mezza foto di nudo faccio 200.000 clic. La paura è che l’autorevolezza scompaia: chiunque può aprire un blog e scrivere. Se ne esce dando la responsabilità al lettore. Il futuro del giornalismo è nella responsabilità del lettore”.

18.20 Come immagina la sua vita se non avesse fatto quel che ha fatto?

“Ci penso soprattutto al mattino quando mi sveglio – dormo poco – e quando vado a dormire. A volte penso che sarebbe andata molto meglio: quando è successo tutto questo (Gomorra e le minacce dei Casalesi, ndr) io mi stavo proprio divertendo. Quando ero adolescente non sapevo bene cosa fare, se il giornalista, il regista, lo scrittore, ma sapevo che volevo scrivere.. Pensavo “Faccio esperienze, faccio ‘cassa’ per poterlo raccontare”. Poi a 25 anni capita che pubblico una cosa online e una casa editrice mi contatta per avere il mio primo libro in esclusiva. Avevo 26 anni ed era tutto bello, ma anche tosto: mi ricordo una volta a Firenze a una presentazione c’erano due persone a sentirmi. Il libro non era ancora esploso e non ero ancora sotto scorta. Sento che qualcosa mi è mancato negli ultimi otto anni. Magari, se non mi fosse successo quel che mi è successo, avrei perso altro…”.

 

Dicevamo, arriva il successo di Gomorra e i Casalesi iniziano a temerlo. Ma Saviano spiega che la Mafia non ha paura di lui, bensì…

“Quando col passaparola il fenomeno è cresciuto,  le cose sono cambiate. Badate, è questo che ha fatto paura… le mafie non hanno paura di quello che ho scritto, ma di quelli che mi leggono, del fatto che le cose che scrivo vengono lette”.

18.17 Come si fa a sconfiggere l’omertà?

“Non è facile. L’omertà si rompe quando la legalità diventa conveniente, quando uno che parcheggia in doppia fila viene visto come uno sfigato, quando un’azienda che non paga le tasse guadagna meno. Se la legalità è solo un fatto etico, le cose poi girano male, soprattutto in tempo di crisi. Il silenzio ha portato allo sversamento dei rifiuti tossici nella Terra dei Fuochi. Colpa di chi l’ha permesso stando zitto, ma anche del Paese che non ha fatto nulla per impedirlo e fermare il fenomeno”.

18.12 La molla di tutto è la curiosità, la conoscenza, l’inchiesta, l’approfondimento. E alla base di tutto c’è anche l’ambizione… E chi lo contesta, in fondo, non fa che negare un fenomeno.

“La mia voglia di conoscere mi porta a sapere anche le piazze di spaccio di Stoccolma, perché per me è un modo di raccontare. Se fosse per me andrei porta a porta per guardare, parlare, condividere delle storie.

 

La mia ambizione, e sono molto ambizioso, era quella che i miei libri arrivassero a milioni di persone, che se ne parlasse sui giornali, che arrivassero al maggior numero di persone, anche a quelli che sospettano di me.

 

Mi chiamano narciso, ma io volevo proprio questo, anche che qualcuno pensi che mi sono inventato tutto, perché sarà in qualche modo costretto a documentarsi. E allora capiranno e a una certo punto si diranno “Ma come ho fatto a non capire tutto questo?”.

 

L’altro meccanismo è la negazione, un meccanismo di difesa che passa per il “Vabbè, ma queste cose si sanno”. E’ un modo per non affrontare le cose che succedono”.

18.05 Citando Delitto e Castigo, un ragazzo gli chiede se si sente una persona straordinaria.

“Se per straordinario intendi una vita al di fuori dell’ordinario, beh allora ci sono dentro. In realtà è tutto partito da un processo molto ordinario, quello di scrivere. Poi quando è successo quel che è successo (non cita mai le minacce, anche se si vedono schierate sul palco sotto forma di scorta armata, ndr), non sono scappato via, anche se ho avuto più volte voglia di farlo. Il coraggio non è innato: non ho mai apprezzato la definizione di Manzoni che faceva dire a Don Abbondio che uno il coraggio se non ce l’ha non se lo può dare: il coraggio lo coltivi, lo addestri, con la conoscenza, dando spazio alla dignità, anche alla rabbia. Quando poi ti capita una vita ‘fuori dell’ordinario’ o scappi o allevi il coraggio. E io sento di vivere la mia vita allevando il coraggio”.

18.04 Secondo me dovresti scrivere delle storie per bambini, prendendo in giro i mafiosi. I tuoi libri sono troppo rivolti agli adulti…, ‘contesta ‘un giurato.

“Beh, buon suggerimento. Ma non so se ne sarei capace”.

17.59 Si parte con la prima domanda dei ragazzi: “Le sue denunce procurano nell’opinione pubblica orrore e sdegno. Ma il bombardamento mediatico sull’orrore non finisce per farci abituare al male?”

“Io ho cercato una narrazione laterale, diversa. Mostrare come le storie di mafia riguardino tutti e non solo il Sud. La mia ossessione è trovare una forma narrativa capace di dire allo spettatore ‘Questa cosa ti riguarda’. La forza vera è quella di costruire l’empatia. In Messico per esempio dei gruppi massacrano con una ferocia unica verso le 19.00 per entrare nel tg della sera. Tutto si fa in funzione dei media. E per agganciarci al tema del festival, Forever Young è non arrendersi mai. Si può reagire all’assefuazione prendendendosi del tempo per capire, conoscere e cercare empatia con quello che succede. Questo è il plusvarore di cittadinanza che ti dà l’informazione”.

In sala i giurati delle sezioni +13, +16 e +18.

17.57 Partito un monologo: i ragazzi sono in religioso silenzio.

“Sono davvero contento di essere qui e questo video mi ha molto toccato perché ho sentito che quegli occhi che mi osservavano stavano davvero vedendo una parte di me che solitamente non si vede o non viene vista”.

17.54 Ancor prima delle domande, Saviano vuole condividere un primo pensiero con i ragazzi, dopo averli visti così entusiasti e colorati

“Le Mafie fondano il loro potere sull’impotenza delle persone, vogliono che tutti pensino che sia tutto inutile, che sia tutto marcio, che non ci sia più niente da fare. Lo vogliono perché è più facile comprare una persona sfiduciata. Loro dividono il mondo in due categorie: gli uomini mediocri, che seguono le leggi, e gli uomini d’onore, che seguono le regole. E Giffoni è già un modo di difendersi da queste persone”.

17.52 “Video particolarmente toccante”. La voce è rotta, sembra davvero commosso.

“Per me che sono campano è una doppia emozione essere qui. Per me è incontrare un miracolo, un miracolo del talento. L’entusiasmo del direttore artistico Gubitosi è il petrolio di questa iniziativa. Era tempo che non impattavo con un entusiasmo così”.

17.49 Entra completamente circondato dalla sua scorta. Fa impressione. Lungo applauso da parte dei ragazzi e anche qualche strilletto, in attesa del classico video welcome, meno festoso del solito. Anche un po’ lugubre per ringraziarlo del suo coraggio. Un video in perfetto stile Saviano.

17.47 Ben tre uomini della security del Festival sul palco della sala Truffaut.

17.36 Vietate le foto, per motivi di sicurezza. A quanto mi pare di capire, si cerca così di tutelare gli uomini della scorta.

17.33 All’annuncio del suo arrivo in sala si sentono urletti in stile ‘groupie’: accoglienza in stile rockstar.

L’appuntamento clou della nona giornata del GFF 2013 è l’incontro con Roberto Saviano in Sala Truffaut: per lui nessun photocall, un rapido Blue Carpet, nessuna conferenza stampa, solo un’unica occasione per rispondere alle domande dei giurati del Festival. Noi seguiamo live l’incontro: siamo davvero curiosi di sentire le domande dei ragazzi.

L’inizio di questo incontro è previsto per le 17.30. A tra poco con Saviano al GFF 2013.