Home Coronavirus in Italia: se in tv tutti ne parlano, nessuno ne parla?

Coronavirus in Italia: se in tv tutti ne parlano, nessuno ne parla?

Come hanno reagito i programmi del pomeriggio nella prima giornata dell’emergenza nazionale? Qualcuno si allunga, qualcuno stravolge la scaletta…

pubblicato 22 Febbraio 2020 aggiornato 30 Agosto 2020 06:12

Succede che scoppia l’allarme Coronavirus e la televisione si trova a dover gestire l’emergenza. Il compito è informare in tempo reale gli spettatori sui lanci delle agenzie di stampa, dei bollettini medici e delle circolari regionali. Tra un virologo acciuffato per il bavero del camice e un medico di famiglia preso per lo stetoscopio, esperti chiamati a smontare il panico su tappeti musicali spesso apocalittici, i contenitori del pomeriggio tentano di correre ai ripari per non bruciare l’ultima nuova. Ognuno a modo suo, stravolgendo più o meno le scalette, posticipando l’orario di chiusura, rinunciando a qualche ospite.

Nella prima giornata della verifica del contagio, La Vita in Diretta non ha fatto a meno di alcuni spazi programmati, come gli sviluppi di casi di cronaca nera o l’intervista a Caterina Balivo per celebrare i suoi quarant’anni, evitando con cura che i temi si mescolassero tra loro e che opinionisti poco titolati intervenissero sull’ultima ora. Se Rai 1 ha rispettato i tempi del palinsesto, favorita dagli aggiornamenti dell’edizione pomeridiana del telegiornale, Tagadà di Tiziana Panella e Alessio Orsingher su La7 si è prolungato oltre le 18.00, conferendo alla rete sempre più l’aspetto di una all-news occasionale (dopo un episodio di Body of Proof, la narrazione sul Coronavirus è proseguita con il telegiornale di Enrico Mentana, Otto e mezzo di Lilli Gruber e Propaganda Live con Zoro).

Scelta diversa quella adottata dall’infotainment di Canale 5. Come di consueto, infatti, Pomeriggio Cinque ha dedicato la prima parte della trasmissione (dalle 17.15 alle 17.55) alla cronaca, con sette collegamenti dalle zone interessate dal Coronavirus in Italia e dall’esterno degli ospedali. Per la seconda parte dello show, generalmente occupata da questioni di gossip e spettacolo, era invece in programma un dibattito sul razzismo e su altre forme di intolleranza nel mondo delle star. Tra le opinioniste chiamate a deporre, la redenta Sylvie Lubamba, l’arzilla signora Erminia Kobau e l’odiatrice professionista di cinesi Selvaggia Roma. Un parterre sui generis per la complessità dell’argomento da sviscerare, figuriamoci se interpellato per commentare improvvisamente l’emergenza sanitaria in corso. Pur di non mancare all’appuntamento col costume, Barbara D’Urso ha preferito quindi adattare il talk alle esigenze del nuovo copione, con gli ospiti pronti a strappare un applauso in più nel poco tempo concesso loro, comunque destinato per la maggiore agli aggiornamenti della redazione di Videonews.

Non è un caso, quindi, che qualche scheggia impazzita abbia rischiato di vanificare il lavoro svolto nei minuti precedenti, semplificando la questione e riducendola ad argomento da bancone del bar. “Dovremmo dire una preghiera per chi sta male, perché qui potrebbe finire molto male”, ha sottolineato ad esempio l’opinionista Patrizia Groppelli, che ha continuato:

Io spero che anche qualcuno che pensa di non avere il Coronavirus vada in ospedale perché c’è tanta ignoranza su questa storia. Tante persone che pensano di avere solo un’influenza… c’è tanta ignoranza in Italia.

Qualche critica anche al negligente “paziente zero” di ritorno dalla Cina. Sulle riflessioni della donna, alcune di senso opposto rispetto ai consigli che le strutture statali stanno fornendo ai cittadini, è dovuta intervenire direttamente la conduttrice Barbara d’Urso, per smontare il clima di allarmismo e lasciare che fossero le fonti ufficiali, nude e crude, a fungere da pilastro per le notizie.

D’altronde, dati oggettivi possono offrire poco all’informazione, e anzi risultare inefficaci, se anche solo per una manciata di secondi si intrecciano a commenti al limite dell’ortodossia, quasi degni loro della quarantena, che confondono scenari e contribuiscono inevitabilmente a storture e sbavature sull’argomento, che non passano inosservate. Rischiose quasi quanto una sequela di fake news. Non proprio un contributo da “testata giornalistica”.

 

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