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TV, VENEZIA E DINTORNI (9)- E’ finita, cosa c’è da vedere

Non è finita bene la 66 Mostra veneziana. I premi sono stati digeriti con difficoltà. Da tutti. Fra i primi a non digerirli , si è messo d’impegno il presidente della giuria, Ang Lee, che ha dichiarato di aver dovuto cedere alla maggioranza dei giurati e di non aver potuto inserire “Baaria” di[…]

pubblicato 14 Settembre 2009 aggiornato 11 Febbraio 2021 07:23

Non è finita bene la 66 Mostra veneziana. I premi sono stati digeriti con difficoltà. Da tutti. Fra i primi a non digerirli , si è messo d’impegno il presidente della giuria, Ang Lee, che ha dichiarato di aver dovuto cedere alla maggioranza dei giurati e di non aver potuto inserire “Baaria” di Giuseppe Tornatore nell’elenco dei riconoscimenti . Non so quale Leone o Leoncino Ang Lee si riprometteva di assegnare al film presentato in apertura della rassegna e sostenuto fin dall’inizio della rassegna stessa da una campagna stampa, e televisiva, aprioristicamente trionfalistica: ovvero un “capolavoro” per forza.
Ho già scritto, e confermo, che “Baaria” è un pregevole film. Può risultare troppo lungo, bozzettistico, fondato su una cronologia di fatti e di canzoni, schematico nell’assunto ideologico (la storia di un giovane comunista); ma non c’è dubbio che sia un film altamente spettacolare, vivace, con momenti efficaci e un lavoro sugli attori (tanti) davvero straordinario.
Lo potete andare a vedere, e anche incazzarvi, se vi pare; è lecito, anzi è l’unico modo di far crescere il nostro cinema da anni troppo immerso nel nulla dell’autorefenzialità, della mendicità di premi in giro per i festival (è lontana ormai la Cannes che premiò Garrone e Sorrentino), del compiacimento per i labili esiti ai botteghino di un numero sempre più ristretto di film italiani.
Comunque, passo alle mie segnalazioni, non ricalcate sui verdetti ufficiali. Indico “Lebanon” (un Leone meritato, lodevole per un impegno antiguerra, antiviolenza già aprioristicamente previsto e prevedibile), “Lourdes” (storie di miracoli solo apparenti ma illuminati da un desiderio di fede), “Life During Wartime” ( chissà come intitoleranno in Italia questa storia sarcastica e profonda sulla borghesia americana), “A Single Man” (idem, primo film dello stilista Tom Ford), “The Road” (con Vigo Mortensen e Charlize Theron), “Women without Men” (succede anche in Iran).
Mi fermo qui. Posso sbagliare. Voglio aggiungere, per simpatia e vecchia amicizia verso Michele Placido, “Il grande sogno”: su un pezzo , forse un pò troppo appassionato, della sua biografia di poliziotto ai tempi della contestazione, quaranta anni fa; un amarcord sincero ma non felliniano.
Andare al cinema significa anche e soprattutto (come accadeva in un passato glorioso) prendere le inziative da autonomi spettatori, anzichè affidarsi ai cosiddetto competenti o esperti, la cui attendibilità continua a precipitare in basso. Non fidatevi neanche di me. Andate e arrabbiatevi. E’ l’unico modo per capirci, per capire.
Poi mi saprete dire. Ma attenzione: non fidatevi dei consigli dei tanti pappagalli che si affacciano in tv, pappagalli tristi. Il cinema, per loro, equivale a cibo per gole profonde che mandano giù tutto.
Italo Moscati