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Tale e Quale Show è razzista? La polemica sul Blackface

Bianchi che interpretano neri: macchietta o fedeltà imitativa?

pubblicato 1 Ottobre 2018 aggiornato 31 Agosto 2020 07:54

Houston, abbiamo un problema. Tale e Quale Show, il varietà del venerdì sera di Rai1, è finito nel mirino di alcuni telespettatori; accuse piuttosto inedite per il programma, che trasforma volti noti dello spettacolo in stelle della musica nazionale ed internazionale da più di 6 anni, da sempre venduto come un programma d’intrattenimento per famiglie. Se finora la polemica più rimbombante sembra essere stata quella intorno alla fuoriuscita di un seno durante una tra le numerosissime esibizioni allestite sul palco, da qualche giorno ne è in circolazione una sui social network di più modeste dimensioni, ma che ha coinvolto il pubblico più impegnato nella lotta agli stereotipi razzisti.

La parola-chiave è Blackface e no, nulla a che vedere con le ormai superate battute sulla passione del conduttore Carlo Conti per i trattamenti abbronzanti (cavalli di battaglia del neo-giudice Giorgio Panariello, ça va sans dire). Quando si parla di Blackface, si fa riferimento ad uno stile di trucco che consente al truccato di assumere in senso caricaturale connotati riconducibili a uomini e donne di pelle nera. Alla deformazione fisica si aggiungono, inoltre, atteggiamenti macchiettistici volti a mettere in ridicolo gli individui imitati. Nonostante lo spettacolo condanni formalmente tale pratica, che cala le proprie radici nella cultura razzista statunitense del XIX secolo, nel calderone delle possibili manifestazioni di questo stile di makeup teatrale è rimasta implicata anche la macchina di Tale e Quale Show, che porta in scena quasi ogni settimana la reinterpretazione di artisti afro-discendenti ad opera di uomini e donne quasi esclusivamente di pelle bianca.

Le vittorie di Vladimir Luxuria/Ghali e di Roberta Bonanno/Aretha Franklin nelle prime due puntate dell’ottava edizione dello show di Rai1 hanno contribuito ad alimentare la discussione tra chi ritiene che quelli portati in scena siano casi esemplari di Blackface, e chi non condivide affatto una lettura in chiave razzista dello spettacolo.

La diatriba tra la trasmissione e coloro che temono che il format possa dare nuova linfa vitale al Blackface, a dirla tutta, non è poi così inedita, almeno non in Italia. All’estero non sono mancate in passato prese di posizione contro le imitazioni di artisti neri da parte di bianchi nelle edizioni internazionali del programma: ne hanno parlato, tra i molti, il New York Post a proposito della performance nei panni di Stevie Wonder di una cantante greca, Remezcla e il sito di settore Stop Blackface. Anche Leonardo De Franceschi, professore di Teorie e pratiche postcoloniali del cinema e dei media all’Università Roma Tre, si è espresso sull’argomento con il saggio Spaghetti Blackface, considerando il caso di Tale e Quale Show come ricollegabile a quei “campanelli d’allarme di una rimessa in circolo nei media tradizionali di un’espressione di un’estetica colonialista e segregazionista globale e transnazionale”.

Come già accennato, in Italia la questione sulla natura delle esibizioni in oggetto non ha suscitato interrogativi diffusi tra il pubblico che segue la trasmissione: se altrove il Blackface è fenomeno noto non solo a chi si interessa di cultura postcoloniale, nel nostro paese c’è scarsa consapevolezza della portata storica e sociale di questo stile di make-up.

Ma il fatto è: quello proposto a Tale e Quale Show, che fa dell’iperrealismo la sua bandiera per ogni performance, è realmente Blackface? Ha implicazioni di carattere discriminatorio, cioè i personaggi di pelle nera imitati vengono rappresentati come “inferiori” rispetto agli altri, o il fondotinta viene utilizzato per mettere in scena un’imitazione più accurata possibile dal punto di vista della resa visiva? Molti sostengono che il colore dell’incarnato non possa essere considerato una maschera: quest’affermazione risulta valida sempre a priori, anche quando l’obiettivo primario della trasmissione è trasformare all’occhio e all’orecchio del telespettatore un artista in un altro, facendogli assumere atteggiamenti, movenze e impostazioni vocali proprie unicamente del cantante imitato? E cosa sarebbe successo se in sei anni di trasmissione nessun concorrente bianco avesse interpretato un cantante nero, o viceversa Karima, concorrente italo-algerina dell’edizione 2015, non avesse indossato i panni di Mina o Carmen Consoli?

Domande aperte, che devono tenere acceso il dibattito sull’argomento nel pieno rispetto di ogni posizione.

 

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