Home Serie Tv In The Flesh: gli zombie della Bbc che diventano simbolo dell’accettazione dell’altro (foto e video)

In The Flesh: gli zombie della Bbc che diventano simbolo dell’accettazione dell’altro (foto e video)

In the flesh è una miniserie della Bbc Three nella quale gli zombie possono essere curati. Nel corso degli episodi il racconto diventa sempre più profondo, diventando un drama sentimentale a sorpresa.

pubblicato 16 Aprile 2013 aggiornato 3 Settembre 2020 19:13

C’è un mondo, là fuori, dove la diversità non è un ostacolo ma un’opportunità, dove le seconde possibilità lo sono a tutti gli effetti, e dove l’ignoranza e la paura possono ancora provocare danni devastanti. Messi davanti a questa consapevolezza, possiamo dire che “In the flesh”, la miniserie che la Bbc Three ha trasmesso nelle scorse settimane, è un gioiellino da non perdere.

Chi sente già la mancanza degli zombie di “The Walking Dead” potrà in parte rifarsi con questa miniserie di tre puntate scritta da Dominic Mitchell, che parte laddove un film qualsiasi sui morti viventi dovrebbe finire, ovvero la soluzione al problema.

In un modo in cui i morti si sono risvegliati ed hanno iniziato a nutrirsi dei vivi, è stata trovata la cura ideale: gli zombie, con adeguate dosi di un farmaco che permette loro di riottenere la capacità cognitiva e sopprimere l’istinto di attaccare gli umani, non solo sono innocui, ma possono essere reinseriti nella società.

In una clinica specializzata nella riabilitazioni dei malati di Sindrome dei parzialmente deceduti troviamo Kieren (Luke Newberry), un timido ragazzo che in passato si è risvegliato zombie ed ha commesso dei delitti che non riesce a dimenticare.

Quando i medici lo dimettono, per Kieren inizia la sfida più difficile: tornare a vivere nella propria casa, con la propria famiglia, che non ha mai smesso di sperare che il figlio guarisse dalla sindrome, ma che ha anche paura di trovarsi davanti ad un persone diversa.

Grazie a delle lenti a contatti che riproducono il colore dei suoi occhi da vivi ed ad una mousse coprente che nasconde il pallore tipico dei non-morti, Kieren può così tornare a casa, dove l’attende anche la sorella Jem (Harriet Cains). Questa, in sua assenza e durante l’apocalisse zombie, si è unita ad una resistenza umana che ha fatto fuori senza pietà qualsiasi “carcassa” gli si presentasse davanti. Ora che i malati della Sindrome da parzialmente deceduti non sono più avvertiti ufficialmente come un pericolo, lei e gli altri membri di questa resistenza si sentono presi in giro, per aver rischiato la propria vita in passato e ritrovarsi adesso ad avere a che fare con i loro nemici liberi di vagare per il mondo.

Kieren impara presto, a sue spese, che il mondo è cambiato: le persone hanno paura di quelli come lui, al punto che anche fare una passeggiata fuori casa diventa un rischio. Soprattutto quando nel proprio paese, Roarton, vive Bill (Steve Evets), forte sostenitore della resistenza umana, che non si farebbe scrupoli ad ammazzare una carcasse se dovesse incontrarla. Bill nasconde così il dolore per la scomparsa del figlio Rick (David Walmsley), soldato in missione in Afghanistan.

“In the flesh” dimostra ancora una volta come gli inglesi sappiano trarre, da una storia apparentemente semplice e geniale, una profonda metafora dell’intolleranza e dell’incapacità dell’accettazione nel nostro mondo. Già con “Dead Set” avevamo capito che i britannici non si fanno scrupoli ad usare immagini crude per presentare concetti ugualmente forti, ma “In the flesh” non si limita alla semplice denuncia sociale.

Nella miniserie c’è la paura, l’intolleranza, l’accettazione di sè stessi (ben rappresentata da Amy, una zombie che gira senza trucco impavida del giudizio degli altri, interpretata da Emily Bevan), ma anche una storia d’amore a sorpresa (e che non vi sveliamo) che cade pesantemente sulle coscienze del pubblico e rivela la vera morale che lo show vuole proporre.

Presto ci dimentichiamo che la gente di Roarton schifa gli zombie reintegrati, ed osserviamo in un piccolo paese una grande metafora dei nostri tempi, in cui la diffidenza e la paura dell’altro prendono il sopravvento sulla possibilità di accettare nella comunità persone in cerca di redenzione. Così, si crea una sorta di sfida alla sopravvivenza, ma l’apocalisse stavolta non centra: a schierarsi gli uni contro gli altri sono coloro che seguono il gregge e quelli che, costretti dalla necessità o semplicemente perchè sono “diversi” dagli altri, cercano un loro posto nel mondo.

“In the flesh” sale così di pathos, trasformandosi da drama post apocalittico a storia sentimentale dai caratteri più vasti di quelli che vanta. Bbc Three, da sempre attenta ad un pubblico giovane, ha voluto così presentare un racconto breve e capace di emozionare, affidando il racconto ad un topos ora di moda (quelli degli zombie all’attacco) ma restando con i piedi per terra. Unico difetto: la breve durata della miniserie. In tre episodi si esplorano solo alcune delle possibili strade che la storia avrebbe potuto intraprendere, tant’è che, se gli americani decidessero di trarne una serie tv, non ci stupiremmo.


In the flesh


In the flesh
In the flesh
In the flesh
In the flesh
In the flesh
In the flesh