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Rock. E Lento

Oggi voglio essere rock e voglio essere lento. A modo mio. E spiegare perché Celentano non è sinonimo di libertà o di rivoluzione. Ma voglio farlo lentamente e voglio prenderla alla lontana, partire da Adamo ed Eva e arrivare ai giorni nostri. Quindi se mi vorrete seguire, sappiatelo: questo è un rock lento, e non

22 Ottobre 2005 10:42

Oggi voglio essere rock e voglio essere lento. A modo mio. E spiegare perché Celentano non è sinonimo di libertà o di rivoluzione. Ma voglio farlo lentamente e voglio prenderla alla lontana, partire da Adamo ed Eva e arrivare ai giorni nostri. Quindi se mi vorrete seguire, sappiatelo: questo è un rock lento, e non si accetteranno lamentele di sorta a proposito dello stile, delle argomentare e del periodare. Si accetteranno solo confronti – lento-rock – sui contenuti.
In effetti partire da Adamo ed Eva non serve. E’ sufficiente un articolo di Gabriel Zaid apparso questa settimana su Internazionale. E’ un articolo provocatorio, che a sua volta parte da Homo Videns di Sartori, da Cattiva Maestra Televisione di Popper, da Quattro argomenti per eliminare la televisione di Jerry Mander. Cercherò di abbreviare il ragionamento, rimandando gli interessati smanettoni – rock – a leggersi i libri citati o almeno qualche sunto – lento -.

Fra le altre cose, Gabriel Zaid – che è messicano, lento, saggista, lento, e poeta, rock – scrive (non me ne vogliano gli amici di Internazionale se riporto un passo dell’articolo -,

Chi appare in tv diventa riconoscibile, e la popolarità che ne deriva gli dà ulteriore accesso alla televisione. La popolarità garantisce successo alle trasmissioni, denaro ai personaggi famosi e ai volti politici. I voti danno potere, e il potere produce altro denaro e ulteriore accesso alla tv. Il circolo vizioso denaro, televisione, immagine, popolarità, voti, potere è futile, ma permette di accumulare capitale economico e politico.

E allora, il lettore rock sa già dove voglio arrivare, il lettore lento forse anche, ma avrà voglia di sentirselo dire.
Adriano Celentano è un uomo di spettacolo – non politico – che conosce le regole del gioco e viene pagato per conoscerle e per metterle in pratica. In questo non c’è – di fatto – nulla di male. Come non c’è nulla di male nella quantità di brani musicali – sigla di testa e di coda incluse – che sommergono la trasmissione di playback e Celentano di diritti d’autore che si aggiungono al suo compenso.
Ma il male nasce quando io, membro consapevole – o meno. A volte ho il dubbio che Adriano ci creda veramente – del circolo vizioso di cui faccio parte, vengo a alimentarlo proponendo al mondo le mie verità politiche, sociali, morali, e suscito dibattito.
Un dibattito futile – lento – nel quale chi è a destra critica, chi è a sinistra gioisce, e chi critica partendo da punti fermi e concreti – come ritengo si sia fatto, in modo rock, su questo TvBlog – subisce un curioso doppio effetto boomerang. Ovvero, si trova a piacere a gente di destra senza volerlo, si trova contro gente di sinistra, senza volerlo, per il solo fatto di aver detto l’unico dato di fatto che ci si dovrebbe aspettare.
Che non è successo nulla. Che Celentano ha fatto i suoi ascolti bulgari pungendo appena, che la satira comica di Crozza è stato l’unico momento che ha affondato un fioretto con la punta spuntata, che le aspettative erano tante e il risultato modesto.
Ok, sono state dette alcune cose che forse non è popolare dire, ma poi? Il risultato finale esce forse dal circolo vizioso in cui Celentano, come tutti gli uomini di spettacolo, è perfettamente calato? No. E le verità che vogliamo sentirci dire da qualcuno, che il costo della vita è insostenibile, che l’Italia è alla frutta e che ci aspettano anni durissimi, quale che sia la coalizione vincente, che non ci possiamo più permettere una casa, non le dice nessuno. Ci dicono di essere contro la speculazione edilizia, di amare l’ambiente, di volere la libertà. Valori e ideali talmente trasversali da non essere nemmeno più globalizzanti, ma banali. E’ che in questo caso temo che la libertà vera l’abbia propugnata chi da Celentano non c’è andato. E volete sapere come si conclude questo rock lento? Con un inno alla censura, che fu di Popper – liberale – e che riprende Zaid – poeta – e che vi farà gridare, se vorrete non leggere fra le righe e fermarvi all’apparenza, alla dittatura – comunista o fascista a seconda del vostro schieramento, badate bene – ma che è motivata da profonde convinzioni che risiedono all’interno delle poche, confuse idee fin qui espresse, che è la loro naturale conseguenza.
Censuriamoci, sì. Lo stesso Celentano lo fece, naturalmente, con le sue lunghe pause, in tempi non sospetti e pur populisti. Lo fece invitando a spegnere le tv.
Oggi ce le fa accendere un po’ di più, oggi ci crede un po’ di più e pensa di dire cose nuove e rivoluzionarie, ma la rivoluzione non si fa né su una due cavalli né dall’interno del tubo catodico in uno studio televisivo di un programma miliardario. La rivoluzione si fa con la coerenza, rock e lenta.