Grey’s Anatomy, ovvero il cuore e il bisturi
Mai parlato troppo della serie ospedaliera più intrigante del momento. Forse perché non c’era reale motivo per farlo: ora come ora, Grey’s Anatomy vive bene anche così. Negli Stati Uniti è puntualmente al vertice degli ascolti con i suoi 22 milioni di fedeli spettatori e pure in Italia è la compagna seriale ideale del più acido (ma non meno coinvolgente) Dr. House. Se solo qualche impavido autore televisivo mescolasse i loro geni artistici e spettacolari, chissà che diavoleria uscirebbe fuori. Nell’ipotetica lista dei migliori telefilm del momento, la serie creata da Shonda Rhimes vola alta da un pezzo e promette di mantenere velocità di crociera costante per finire tra i primi della classe, prendendo così il posto del logoro E.R. Sarebbe anche ora.
Gli ingredienti base di Grey’s Anatomy ci vuole poco a scovarli, esibiti come sono con generosa premura nella sigla iniziale, dove tracce di vita ospedaliera si fondono con segnali di seduzione e frivolezze sotto le lenzuola (a costo di parteciparvi in tre). Femminile già dal titolo, scritto da parecchie mani di sceneggiatrici al servizio della creatività della Rhimes, il telefilm è ciò che E.R. non è mai riuscito a essere e ciò che House probabilmente non sarà mai.
Anche perché, in teoria la vita privata dei dottori televisivi non dovrebbe seguirli in sala operatoria, e invece qui è in cima alla lista del tirocinio chirurgico a cui prendono parte l’algida Meredith Grey (Ellen Pompeo) e gli amici Cristina Young (Sandra Oh), Izzie Stevens (Katherine Heigl) e George O’Malley (T.R. Knight). Più tutta la schiera di celebrità del Seattle Grace Hospital che finalmente vedi per come sono fatte, dentro e fuori le lenzuola. Roba da far arrossire il mitico Dottor Benton di E.R. (lui sì che era un pezzo di ghiaccio). Un olimpo di chirurghi e specialisti che occasionalmente – giusto quei 40 minuti di grande spettacolo televisivo – scende in terra per mostrare di che pasta sono fatti in sala operatoria. C’è pane per i denti di qualunque (vero) specializzando in medicina. Con esagerazioni e buonismo su scala industriale, ovvio, ma questa è Televisione mica il San Raffaele di Milano. Aggiungiamo pure che le esagerazioni drammatiche o pseudotali raggiungono in particolare l’apice nel corso della seconda stagione con Christina Ricci protagonista di un doppio episodio da brivido che andrebbe visto e rivisto almeno un paio di volte. (Roba che ti fa amaramente capire l’abisso tra questi serial e la retorica fiction all’italiana).
Attualmente giunto al terzo ciclo, che Fox life trasmette già da qualche settimana, Grey’s Anatomy è il toccasana distensivo, con perfetto jukebox di hit musicali al seguito, per aggirarsi in corsia e ritrovare la curiosità perduta fra termini astrusi e malattie indecifrabili e abboccare alle disgrazie degli altri (mors tua, vita mea) complice la soffice partecipazione che questi medici del tubo catodico riescono a offrire. E nel frattempo riuscire a farsi gli affari di tutti gli altri.