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Extreme Makeover Home Edition Italia, conversazione con il regista Alessio Pollacci

Tutto ciò che bisogna sapere dell’edizione italiana del famoso format americano raccontato dal regista Alessio Pollacci.

22 Gennaio 2013 20:59

Domani su Canale 5 andrà in onda la prima delle due puntate dell’edizione italiana di Extreme Makeover Home Edition. Abbiamo contattato il regista Alessio Pollacci per parlare del programma e delle sue dinamiche.

Cosa è Extreme Makeover Home Edition?

«Extreme Makeover Home Edition è la versione italiana di un programma americano, che ha avuto nove edizioni in America che sono andate molto bene, che ha avuto un grande successo e un grande seguito di pubblico. Adesso è finito in America. E’ l’adattamento del format americano che coinvolge una famiglia a cui si cambia la vita intervenendo sull’abitazione.»

Quali sono le differenze con il format originale?

«La prima differenza sostanziale è la durata del programma. In America la puntata dura un’ora televisiva che sono 45/50 minuti in base alle storie. Da noi deve coprire tutto il prime time quindi arriva al doppio. Siamo sugli 80/90 minuti. Non è semplice perché devi diluire un po’ il ritmo rispetto a quello americano che invece è più frenetico, però ci permette di sviluppare le storie in maniera più approfondita e di raccontare un pochino di più la storia di queste famiglie.»

Raddoppiare la lunghezza di una puntata non rischia di stravolgere gli equilibri originari, non rischia di annoiare, di assuefare?

«I pericoli ci sono tutti naturalmente. Il nostro compito è di far si che questo non accada, poi se ci siamo riusciti o no lo vedrete in onda. E’ vero: è più semplice fare una puntata da cinquanta minuti, anche in termini di realizzazione. Noi abbiamo girato moltissimo materiale proprio per andare a coprire i novanta minuti. Quindi ti inventi tante cose per raccontare soprattutto la ricostruzione. Puoi raccontare in tanti modi la ricostruzione: puoi mettere la telecamera per far vedere gli operai che si fanno un mazzo tanto dalla mattina alla sera che rifanno la casa. Però puoi raccontarla anche in modo diverso. Cerchi di coinvolgere il paese, cerchi di rendere la cosa un po’ più spettacolare quando si riesce.»

La paura maggiore è che in realtà venga fuori una brutta copia. La prima domanda che uno si fa è cosa hanno in comune Ty Pennington, conduttore del programma originale, e Alessia Marcuzzi? Mi spiego: la storia di Pennington è quella di un ragazzo che ha vissuto con la madre quando il padre ha divorziato; che a 17 anni gli è stato diagnosticato il deficit da disturbo di attenzione; che ha costruito la prima casa a 12 anni sull’albero; poi ha lavorato come carpentiere, ha ottenuto il diploma di grafico pubblicitario, ha lavorato come scenografo a Hollywood, ha condotto uno show basato sulla creatività. Alessia Marcuzzi no…

«Dici di no? Ah io pensavo di si (ride). Alessia non ha fatto tutto questo? Devo dire che Alessia è molto più carina di Pennington: esteticamente non c’è paragone, anche se hanno lo stesso colore di capelli. Se la metti sotto questo punto di vista è completamente differente il background che hanno queste due personaggi. Anche lì però sta tutto nel come sono raccontati i personaggi, nel come una persona si mette in gioco. Secondo me Alessia Marcuzzi così non è mai stata vista dal pubblico…»

Perdonami, ma allora dobbiamo basarci sulla presenza di Alessia Marcuzzi e non sulla forza del programma?

«Questo non credo che sia giusto dirlo, nemmeno nei confronti di Alessia. Non c’è una conduzione standard. Non è una persona che si mette lì e dice “Ok adesso succede questo”. Alessia si è messa in gioco completamente dall’inizio alla fine. E’ questo che dà forza ad un personaggio come Alessia. Ti assicuro: l’umanità che ha tirato fuori Alessia, io conoscendola me l’aspettavo. Come risulta, è una mia opinione personale, è favolosa. Magari ci sentiamo dopo la puntata e mi dirai il tuo parere. E’ vero che sono due persone differenti queste, ma anche gli americani come popolo sono differenti dagli americani. Cosa dobbiamo fare? Non concepire la diversità. Il valore aggiunto che ha dato Alessia non è solo questo, ha un richiamo popolare che è clamoroso. Se hai visto quanta gente è venuta per la riconsegna della casa … io una cosa così obiettivamente non me l’aspettavo, ci speravo, ma non me l’aspettavo. Questo è grazie Alessia, soprattutto su un programma che in Italia non è così conosciuto. E’ l’italianizzazione del programma che dovrebbe far si che funzioni in Italia rispettando i canoni che siamo abituati a vedere nell’americano. La critica maggiore è stata: “Tanto voi non ce la fate”. E’ questo che ci hanno detto dall’inizio. Tutti.»

Non ce la fate, perché a livello burocratico le realtà sono completamente differenti: abbattere un muro e trasformare delle case in America non è la stessa cosa che in Italia … voi che difficoltà avete trovato nella realizzazione di queste case?

«Questa è una domanda a cui purtroppo non posso rispondere. Io faccio il regista, non faccio produzione. Si sono scontrati quelli della produzione con questa realtà. Sicuramente ci sono tante difficoltà, soprattutto laddove devi andare ad intervenire su una struttura, perché ci vogliono i permessi, ci vuole tempo. Il più delle volte non si possono fare.»

Allora passiamo ad un aspetto più di regia: uno dei momenti topici del programma, insieme al noto “sposta quel bus”, è quello che mostra una massa di persone che insieme abbatte le mura della casa da ricostruire. Siete riusciti a riproporre la stessa scena?

«Il problema è che non si può intervenire troppo sulle strutture già esistenti. Anche questo lo vedrete nel programma. Non posso anticipare molte cose. (ride) Ti assicuro che c’è molta gente che partecipa a quel momento. Sono stato il primo ad essere sorpreso. Anche quello va sottolineato. Tu non puoi dire che arrivi in pompa magna, perché in un paesino della Basilicata, se noi dicevamo che eravamo lì, la famiglia lo veniva a sapere in dieci secondi. Noi siamo arrivati un paio di giorni prima della presa della famiglia, per sistemare logisticamente le persone. Non potevamo chiamare o appendere i manifesti, perché la famiglia lo veniva a sapere. Se avessimo svelato questo, avremmo perso l’effetto sorpresa nella famiglia che ci vedeva arrivare.»

Un’altra cosa che desta dei dubbi è quando nel promo si parla di “Una famiglia meritevole”. Diamo un senso a questa affermazione. Cosa vuol dire? Ci sono bisognosi di serie A e bisognosi di serie B? Avere un problema è un merito?

«Per me un programma del genere andrebbe fatto tutto l’anno per tutte le persone che hanno bisogno. Te lo dico spassionatamente. Si accusa sempre la televisione di non essere utile alle persone. Questo programma lo è. Meritevole: intorno a questa parola ci puoi girare quanto vuoi nel senso che ci sarà sempre qualcuno che dirà perché a loro e non a me. E’ anche legittima una domanda del genere…»

Rispondiamo allora: perché a loro e non ad un’altra persona che magari non ha certi problemi…

«Io posso risponderti come vuoi: perché è toccato a loro per una serie di circostanze, ma veramente ci sono motivi che vanno oltre …»

Sai perché te lo chiedo? Perché le critiche che verranno fatte dopo sono quelle che sono già state fatte in America che sono: 1) Lo sciacallaggio: avete scelto le famiglie in base alle storie struggenti e non in base alle reali necessità, soltanto per fare più ascolti (magari quella famiglia aveva bisogno, ma c’era una famiglia molto più bisognosa, che non è stata presa perché quella ha un problema che colpisce di più il pubblico; 2) la gente vi potrà accusare di aver speso male i soldi, nel senso che si chiederà perché costruire delle case spettacolari, magari con confort e tecnologia, quando si sarebbero potute costruire con gli stessi soldi un numero maggiore di case, anche se meno fatiscenti?

«Le spese che sono state fatte sono state fatte con una funzionalità. Ti dico una cosa che non dovrei dirti, perché dovresti vederlo nel programma… non è lusso è funzionalità.»

Si, ma nel caso aveste messo per esempio un televisore da quaranta pollici, la gente potrebbe chiedersi: perché non metterlo da quindici pollici e risparmiare? Perché prendere un letto molto più costoso? Faccio ipotesi. Io non ho ancora visto niente…

«A parte che bisogna capire quanto costa, ma un’altra cosa interessante di questo programma è che alle volte c’è un uso intelligente del product placement. Finalmente. Magari laddove abbiamo bisogno di un letto con un determinato tipo di rigidezza perché la signora ha problemi di schiena, si va anche a chiedere e a cercare quel tipo di letto e magari anche a trovare un collocamento in questo senso. Publitalia ha fatto un ottimo lavoro secondo me.»

Visto che la puntata girata a Potenza era già finita a giugno e siamo al 22 gennaio: siete tornati sul posto per capire come è cambiata la vita della famiglia che avete aiutato? La famiglia è stata in grado di mantenere la casa: un conto è mantenere una casa semidistrutta, un altro è dargli degli oggetti nuovi che magari consumano di più…

«Invece è stato fatto un discorso molto intelligente: per esempio abbiamo dato tutte apparecchiature che hanno bassissimi consumi. Questo nel programma viene spiegato tutto. Risponderemo a queste cose.»

La gente che ha visto quello americano e poi è andato a vedere su Internet magari si è trovato di fronte a storie di famiglie che, in tempo di crisi, hanno pensato: dato che è un periodo di crisi e ho una casa nuova la rivendo. E’ l’ha rivenduta …

«Io so che la redazione è in contatto con la famiglia quindi posso dirti di no.»

E non è vittima di invidia altrui …

«Ma è impossibile che non sia vittima di invidia altrui.» (ride)

Si, ma dato che hai parlato della grande unione che c’è stata con tutti i paesani …

«Assolutamente. Questa è una delle cose che mi è rimasta più impressa e che mi ha fatto più piacere: la vicinanza delle persone. Perché poi le storie di queste persone si conoscono, i paesi sono piccoli. Le storie sono conosciute nella comunità. Quando vai a chiedere un aiuto per queste famiglie ti assicuro che c’è una cosa che io non mi aspettavo e che invece c’è: la solidarietà. Tornando al discorso di prima: si parla della tv del dolore. Mi beccherò i fischi, ma perché invece non parliamo della tv della gioia: alla fine queste persone sono contente. E’ vero c’è quell’aspetto del perché a lui, non a te e non a me. Ho fatto Il treno dei desideri. Succedeva lo stesso. Io ero contento di fare un programma del genere, perché fai del bene. E’ vero, tutto può essere strumentalizzato, tutto può essere usato, ma …»

Perché si parla di tv del dolore? Perché la musichetta che va a sottolineare un pianto è per portare la gente a commuoversi, non a sorridere.

«Si, ma ti faccio un esempio: se io ho un periodo non felice, quando sono contento lo sono molto di più. Io per raccontare al pubblico una cosa devo far capire in un certo modo in che condizione vive questa famiglia e in che dolore prova. Io non voglio speculare sul dolore. Infatti, secondo me, abbiamo fatto delle scelte registiche di un certo tipo. Non abbiamo sottolineato determinate cose che potevamo sottolineare. Sono aperto a qualsiasi critica, però credimi, se io vedo che quel bambino è contento a me delle critiche non me ne frega niente. Ne tengo conto, ma a me interessa la faccia di quel ragazzino felice … E’ vero: se io potessi rifarei le case a chiunque, ma non dipende da me. E sempre opinabile quello che è stato fatto … ti assicuro che è stato fatto in piena coscienza.»

Senza la volontà di speculare…

«Quello assolutamente. Ripeto: anche la visione di un film può essere vista in un modo o in un altro. Quello fa parte della critica.»

Si, ma sono scelte. Nel senso: se tu ti soffermi sull’occhio che piange, invece che sulla faccia che sorride di un bambino …

«Certo. Tutto quello che dici è vero, ma c’è anche un modo di raccontarla. Magari i primissimi piani sulle persone che piangono forse non le vedrai in questa trasmissione …»

Prendo questo tuo “forse” con grande speranza …

«Si, però se c’è un piano medio, poi tu mi accusi lo stesso.»

Non ti accuso: ti accuso se tu mi fai un primissimo piano sull’occhio lacrimante.

«Vedremo se è stato usato lo zoom digitale dai … (ride) Ti assicuro: noi abbiamo cercato di raccontare speculando il meno possibile. Ci sarà una musica melensa a sottolineare il dolore? Si. Ci sarà. A creare un emozione: tentiamo di far si che lo spettatore si immedesimi non con la storia della famiglia, che non lo auguro a nessuno, ma ad entrare nel programma, così quando c’è la consegna della casa, quando ci sono le sorprese per la famiglia, tu stesso che guardi sei felice per quello che succede a queste persone. Poi magari sono caduto io dall’albero di banane …» (ride)

Cosa aspettersi

Facciamo un breve gioco. Diamo un voto da 0 a 10 alle caratteristiche che saranno presenti all’interno del programma … Allegria

«Allegria 7»

Commozione

«Commozione 9»

Divertimento

«Divertimento. E’ oggettivo. Io ci metto il divertimento che ho provato nel farlo. 8 pieno.»

Disgusto

«No, non ce n’è. »

Rabbia

«La rabbia di alcune famiglie c’è. E’ marginale. 5»

Fastidio

«Fastidio per cosa?»

Di fronte a quello che vedi …

«Un senso di fastidio può dartelo l’ingiustizia di fronte ad una famiglia. Fastidio per la trasmissione spero che non ci sia (ride) … »

Noia

«E’ una speranza? Zero.» (ride)

Coinvolgimento

«Bisogna vedere se siamo stati bravi noi. Questo è uno dei pochi aspetti che dipende solo da noi.»

Paura

«La paura non c’è.»

Accoglienza

«Accoglienza 10. Per tutte le persone che ci sono state vicine.»

Trash

«Definisci trash…»

Eh è la definizione dell’anno. E’ come: definisci l’arte…

«Non te lo so quantificare. Anche una gag per te potrebbe essere trash…»

Si, ma se decontestualizzata diventa per forza trash…

«E’ vero, però in esempio in quello americano ci sono molte gag decontestualizzate. Molte rivolte ai bambini …»

Si, ma hai detto che voi non avete ripreso in blocco quello americano, avete cercato di riadattarlo…

«Si, ma noi siamo stati il più fedele possibile a quello americano. Te l’ho detto all’inizio e te lo ripeto. Quindi ci sono i momenti un po’ decontestualizzati.»

Quindi volutamente trash…

«Non sono trash. Non li definirei trash. Che possono sembrare troppo divertenti, troppo fuori luogo.»

Comedy

«Ce n’è poca di comedy. Quello che viene visto è quello che è.»

Melò

«Addirittura il melò … Non ce n’è…»

Reality

«Reality c’è. Anche registicamente parlando. Laddove c’è la sorpresa, la presa la mattina. Seguire i lavori è raccontato. Tutto quel che succede è vero, però viene raccontato con degli espedienti. Però faccio un esempio confrontandolo a quello americano: loro hanno dei mezzi che potrebbero fare una fiction a livello di inquadratura, a livello di qualità, ricordando che tutto quello che succede è vero … l’americano può fare questa cosa, perché ha dei mezzi clamorosi e non lo fa: fa tutto con camera a spalla, fa tutto sporco, per accentuare l’aspetto che è riconosciuto dal pubblico come reality. Infatti l’inquadratura a spalla, l’inquadratura sporca, la telecamera che balla, è tutto fatto a favore di questo aspetto qua.»

E voi avete usato questo aspetto?

«Questo aspetto l’abbiamo ripreso quando c’è la sorpresa, perché è inevitabile. Quando gli piombi in casa è così. Come va, va. Anche a livello di luci. Anche a livello di fotografia, non puoi sistemare le cose.»

In postproduzione non avete messo effetto alone o quelle luci che aiutano l’aspetto strappalacrime …

«La postproduzione è fatta anche apposta. Tiriamo su le scene che sono buie. Questo genere di effettistica viene fatta prevalentemente sui lavori, quando la famiglia effettivamente non c’è più, che è stata spedita a Parigi. E’ quello che ti dicevo prima: è cercare di raccontare i lavori in un certo modo. O lo fai con telecamera fissa. Oppure ti inventi delle clip su queste cose.»

Anche perché avete 7-10 giorni da raccontare …

«Fondamentalmente sono sette giorni. Noi stiamo dodici giorni dall’inizio alla fine. Perché ci sono due giorni prima dell’inizio delle riprese, poi le riprese fino al giorno in cui la famiglia ritorno e si appropria della casa. Il giorno dopo facciamo le interviste per sapere le loro opinioni. I confessionali li facciamo dopo. Così la vivono anche. Ci sono dei confessionali subito dopo la consegna della casa, così hai l’emozione viva, però il giorno dopo hanno metabolizzato la cosa. La casa veramente viene costruita in pochissimo tempo.»

La collocazione e l’Auditel

Concludiamo con il discorso più brutto, quello legato all’Auditel. Intanto a quale pubblico vi rivolgete?

«Il programma si rivolge ad un pubblico variegato, sicuramente femminile. Vista la concomitanza con Roma – Inter sicuramente femminile!» (ride)

Allora c’è il domandone d’obbligo: dato che lo stesso pubblico l’ha bocciato nel daytime pomeridiano di Canale 5 (a luglio, è stato cancellato anche se fuori garanzia), non temete il flop?

«Il flop è sempre dietro l’angolo come si dice. No speriamo di no, però sì, sicuramente c’è questa possibilità che il pubblico non sappia nemmeno che è in onda.»

Non solo! Vista la concorrenza di calcio su Rai1, i film su Rai2 e Rete 4, Chi l’ha visto su Rai 3 (sottolineo Chi l’ha visto su Rai 3), Mistero su Italia 1 e Le invasioni Barbariche che esordiscono su La7 pensi che mercoledì sia la serata giusta per provare a lanciare un nuovo programma? E ricordiamo che mercoledì scorso c’era Italia Domanda che con il vostro pubblico non c’entra niente?

«Questi non sono problemi miei. Non sono io che decido la messa in onda del programma. Se andiamo male questa settimana, la prossima settimana ci mettono direttamente su Chi l’ha visto … (ride) … Secondo me è un programma che vale la pena vedere, perché l’ho fatto io forse … (ride). L’importante secondo me è che vada. E’ un programma che ha avuto una incubazione molto lunga. Facciamolo vedere. Poi quel che sarà sarà

Quindi usciamo dall’idea che la qualità è uguale agli ascolti …

«Non lo so, te lo dico giovedì (ride) …»

Perché è stato continuamente rinviato?

«Non lo so. La rete ha deciso così. Questo devo dirlo: non è mai stata data una data ufficiale.»

Publitalia l’aveva dato in autunno, poi se non sbaglio a dicembre, ma se vuoi controllo e ti dico la data precisa…

«Si, però, per esempio i promo non sono mai andati in onda con la data ufficiale fino ad ora.»

Però quando Publitalia vende lo spazio …

«Si, ma tu mi chiedi cose di cui non mi occupo …»

Magari hai un’idea: il prodotto non piaceva o l’avevano inteso come evento…

«Assolutamente: Mediaset l’ha visto e gli piaceva. Poi penso che abbia cercato di trovare la collocazione migliore. Io sono fiducioso che Mediaset abbia lavorato per il programma.»

Perché proporlo ora, a dieci anni di distanza dall’esordio americano, quando già in America è stato cancellato?

«Perché in Italia non si è mai visto. Nel senso: ci sono tanti programmi che vengono proposti dopo tanto tempo. Però vengono fatti. »

Non è preoccupante che la nuova tv italiana nel mondo sia già vecchia?

«Per me è più preoccupante che continuiamo a fare format stranieri, invece che farli italiani. Non ti sembra?»

Si infatti piuttosto di prendere programmi di dieci anni fa io avrei puntato su format italiani.

«Ripeto: dieci anni fa… è un programma attuale che è andato in onda fino all’anno scorso.»

Si, che però hanno chiuso per gli ascolti …

«Ho capito, ma noi siamo obiettivamente molto più indietro dell’America. Vogliamo fare un esempio sulle serie tv che ci sono in America? Qua tra dieci anni le vedremo forse.»

Ok, allora non c’è il rischio di scontentare sia il pubblico più conservatore, tv addicted, che quello più giovane e innovatore, web addicted, abituato a guardare altro online?. Ci troviamo come in una situazione strana con un programma che in Italia è nuovo, ma in realtà è vecchio.

«Si. Questi problemi ci stanno tutti. Alla fine fai un programma, cerchi di farlo nel miglior modo possibile (in questo caso è venuto bene secondo me) e lo proponi. Si poteva fare dieci anni fa? Forse si. Eravamo pronti? Può darsi. Non ti so rispondere. Sicuramente non l’avrei fatto io e sarebbe stato un valore perso …» (ride).

Quanto ti aspetti di share?

«Non te lo dico. Non ne ho idea. Quello che succede spesso è che se il programma va bene chi l’ha fatto è un genio anche se magari il programma non è fatto bene. Non ti sto parlando di questo caso specifico. Se il programma andrà male, in qualsiasi modo sia stato fatto non importerà. Questo è un problema che c’è in generale. Però laddove gli ascolti contano meno viene meno. Ad esempio su una piattaforma come Sky si premia la qualità e gli ascolti sono quelli che sono e chi se ne frega. Se tu vedi Masterchef, The Apprentice sono fatte bene, sono curate e non interessa a molti gli ascolti.»

Mi ripeto: quindi usciamo dal discorso ascolto uguale qualità …

«Assolutamente, però secondo me è giusto che una rete sperimenti (lascia perdere che l’esperimento viene fatto su un programma che tu consideri vecchio), e che poi sia il pubblico a decidere se il programma può avere un futuro oppure no. In America funziona così: le serie tv le interrompono e se non ci sono determinati ascolti le cancellano. E’ una sorta di meritocrazia. Poi possiamo aprire un discorso su come vengono rilevati i dati Auditel, ma è un vaso di pandore. Abbiamo questo punto di riferimento: se al pubblico piace abbiamo fatto un buon lavoro, se al pubblico non piace abbiamo fatto un tentativo a vuoto, che per quanto mi riguarda sono felice di aver fatto, perché lavorativamente parlando è stata una esperienza magnifica, a livello tecnico e del gruppo che si è creato. Perché andando in esterna per dodici giorni e vivendo dodici giorni insieme, comunque si crea una situazione che mi ricorda le gite delle scuole superiori, nel senso che ti fai un mazzo, però la sera quando torni in albergo sei contento e c’è un clima disteso. Se ci sono delle cose fuori luogo si fanno delle litigate pazzesche che per fortuna non sono successe. Anzi. Alessia in questo è stata bravissima. Ha fatto gruppo in maniera clamorosa. E’ una persona squisita anche sotto questo punto di vista. Non si è mai messa da parte. E’ stata sempre in mezzo a noi. E’ la prima amica di tutti.»

C’è altro da dire?

«Si: per me e per chi ha fatto il programma con me è importantissimo che i titoli di coda vengano visti, quindi quando si conclude la trasmissione abbiamo inserito una finestra dove scorrono i nomi di tutte le persone che hanno collaborato alla realizzazione di questo programma e che più di me meritano di essere citate. Obiettivamente.»

Grazie al regista Alessio Pollacci per la disponibilità.