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“Sulla via di Damasco”: quando la fede va in tv

E’ Pasqua, e questa festa porta con sé, televisivamente parlando, una maggiore attenzione al tema religioso. Una delle trasmissioni che necessita un’inedita analisi è “Sulla via di Damasco“. in onda ogni sabato mattina alle 10.15 su Raidue. Il già conosciuto per il suo presenzialismo catodico Don Giovanni D’Ercole conduce una sorta di omelia televisiva di

di aleali
23 Marzo 2008 08:00

Sulla via di Damasco E’ Pasqua, e questa festa porta con sé, televisivamente parlando, una maggiore attenzione al tema religioso. Una delle trasmissioni che necessita un’inedita analisi è “Sulla via di Damasco“. in onda ogni sabato mattina alle 10.15 su Raidue. Il già conosciuto per il suo presenzialismo catodico Don Giovanni D’Ercole conduce una sorta di omelia televisiva di sessanta minuti intervallata da filmati e testimonianze, o qualcosa di poco simile.

Sul fatto che si predichi, sta nell’ordine delle cose. E’ necessario invece soffermarsi sulle scelte “esterne” al tema della settimana, raccontato tra porzioni di Vangelo e analisi interpretative. Perchè è lampante un certo modo di gestire alcuni spazi con lo stesso metodo di una certa tv che prima ancora di essere fatto narrato è solo emozione da generare e compassione da suscitare. Scatole evocative svuotate del loro contenuto.

A partire da Padre Aldo Trento, che quasi sembra tenga a precisare che uno dei suoi malati in Paraguay aveva il cranio svuotato da un terribile male e che la via della conversione ha rappresentato la miracolosa matrice per un quieto morire. Passando per il ragazzo della comunità per tossicodipendenti “Nuovi Orizzonti“, che racconta la delicata storia della morte della madre tra le sue braccia (“con una lacrima che le solcava il viso”) come mezzo di comprensione finale del terribile sbaglio relativo all’abuso di droghe.

E poi la storia di Martina, che descrive in maniera molto vivida il dramma dell’aborto e della religiosità nata tramite un’apparizione in sogno, emersa proprio “nella tomba” ospedaliera nella quale ha rinunciato alla nascita di suo figlio. Se qualcuno ci dovrebbe vedere testimonianze di fede, qualcun’altro vede solo pietismo generato dalla macchina delle verità umane, sbandierate senza nessun rispetto. Non è colpa delle vicende, tanto reali quanto importanti da conoscere, ma del modo nel quale vengono proposte.

Se la fede continuerà a raccontarsi con un certo linguaggio preso in prestito dalla tv, sarà più affabile, certo, ma meno onesta nelle intenzioni. E molto meno credibile nel condannare chi in altri programmi usa le stesse identiche armi con fini diversi.

Rai 3