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Rai, Tobagi e Colombo non lasciano il CdA

I consiglieri Tobagi e Colombo non si dimettono dal CdA Rai dopo aver votato a favore del ricorso contro il governo Renzi per i tagli di 150 mln di euro decisi con il Decreto Irpef.

pubblicato 21 Novembre 2014 aggiornato 2 Settembre 2020 21:44

Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, esponenti della società civile nominati al CdA Rai in ‘quota’ centrosinistra, hanno votato a favore del ricorso contro i tagli imposti dal Governo Renzi e infuria la polemica. Non sono pochi quelli che chiedono a gran voce la ‘testa’ dei due consiglieri, rei di aver ‘tradito’ chi ha appoggiato la loro candidatura e sostenuto la loro nomina e di aver sostenuto la proposta avanzata dal consigliere forzista Antonio Verro.

E così, mentre il centro-destra si spaccava, con il no a Verro di Polito e di Todini, che ha rassegnato le sue dimissioni, le due voci del centrosinistra votavano ‘compatte’ contro la decisione del Governo Renzi.

A chi chiede le loro dimissioni – come il DG Gubitosi che ha caldo ha dichiarato a la Repubblica “Un’azienda non vota mai contro il suo azionista. Un consigliere che vuole farlo deve andar via” – i due rispondono in maniera netta e senza esitazioni.

Tobagi e Colombo non si dimettono e spiegano le ragioni del loro sì al ricorso.

“Siamo stati eletti su indicazione della società civile dopo che l’allora segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, aveva dichiarato di non voler indicare i membri del Cda Rai che sarebbero stati “di spettanza” del Pd proprio per evitare interferenze politiche nella gestione dell’azienda. Stiamo svolgendo il compito che ci è stato assegnato, appunto, dalla società civile. Non da altri”

dichiara Gherardo Colombo al Corriere della Sera, sottolineando così la natura ‘apolitica’ del suo mandato. Talmente ‘apolitica’ da non aver sentito un brivido nell’appoggiare il berlusconiano Verro:

“Non sono abituato a ragionare in termini di schieramenti ma di contenuti. (…) Da maggio abbiamo lavorato sul tema del prelievo dei 150 milioni. L’ordine del giorno porta la firma di Verro ma è il frutto di un confronto collettivo approfondito e serio”.

Colombo motiva il suo sì al ricorso con i dubbi di anticostituzionalità del Decreto Irpef:

“Il ricorso non è un atto politico, tantomeno contro il governo. Il problema è che dall’inizio si è aperto un dibattito sulla legittimità costituzionale di quell’intervento. Abbiamo consultato costituzionalisti del livello di Enzo Cheli, Alessandro Pace, Massimo Luciani e un amministrativista come Aristide Police. Se i pareri confortano l’ipotesi per cui la questione dell’incostituzionalità non appare né infondata né irrilevante, noi amministratori abbiamo il dovere di tutelare l’azienda proprio perché non siamo dei politici. Mi stupisce il fatto che, proprio mentre si immagina di cambiare la governance della Rai per sottrarla all’influenza dei partiti, quando si prendono decisioni indipendenti succede il finimondo…”.

 

Dello stesso avviso Benedetta Tobagi, che ha scelto la Repubblica per spiegare le ragioni del suo voto a favore del ricorso e che sostanzialmente ribadisce quanto affermato da Colombo, ovvero che la decisione presa non avalla una proposta berlusconiana ma è l’ultimo atto di una verifica partita a maggio. Se si è arrivati, però, a novembre e si è dovuti ricorrere a un ordine del giorno firmato da Verro è ‘colpa’ della “pavidità” della presidente Anna Maria Tarantola.

“Per massimo rigore abbiamo chiesto il parere di 4 giuristi. Poi, con grande dispiacere, abbiamo notato una forte inerzia da parte della persona che fissa l’ordine del giorno, la presidente Tarantola. A furia di rimandare alle calende greche, un consigliere, com’è nel suo diritto, ha posto la cosa all’ordine del giorno. È stata la pavidità, non la prudenza, di Anna Maria Tarantola, a consentire ad Antonio Verro di mettere il cappello su questa vicenda”

precisa la Tobagi, che lancia precise accuse alla presidente, ‘rea’ peraltro di non aver votato e di non aver, dunque, fatto sentire la sua voce nel momento più delicato della vicenda. Alle accuse di ‘tradimento’ verso quella sinistra che li ha nominati, la Tobagi si appella alle dichiarazioni di Bersani che ribadiva la loro autonomia:

“I tempi cambiano, adesso dalla responsabile cultura del partito ci arriva una richiesta di obbedienza. È chiaro che chi è al potere vuole una Rai assoggettata al governo, ma il mio dovere non è verso l’esecutivo, è verso il servizio pubblico”

dice la consigliera, che ne ha anche per Gubitosi, desideroso, a suo avviso, di manifestare ‘fedeltà’ al premier ora che si avvicina la fine del mandato:

“(…) si fa paladino di una concezione padronale secondo cui il consigliere deve obbedire all’azionista. È molto grave, così si torna alla Rai com’era prima della riforma del ’75, controllata dall’esecutivo, dalla Dc, da Ettore Bernabei. Gubitosi è in scadenza, come il consiglio: ha voluto dare un segnale di fedeltà a Renzi”.

Parole forti quella della Tobagi, che al di là di tutto, non vuole che passi il diktat che bisogna obbedire all’azionista a ogni costo. Resta però la questione dell’opportunità di mandare invece un messaggio in cui la Rai si rende ‘immune’ dai sacrifici richiesti dalla particolare congiuntura economica.

“Chiarisco una cosa: i soldi sono già stati sottratti (…), noi abbiamo preso tutte le misure necessarie per non mandare l’azienda in rosso. Abbiamo considerato prioritaria l’assunzione di responsabilità verso il Paese, varando la riforma delle news – che porterà notevoli risparmi – e la privatizzazione di Rai Way. Restava un nodo che non si scioglieva, il modo con cui il prelievo è stato fatto: modificando una tassa di scopo in corso di esercizio, ledendo l’autonomia della Rai dal governo”

dice la Tobagi che con Colombo resta in Consiglio fino alla fine del mandato, aprile 2015.

Personalmente ho l’impressione che si sia trattato di un atto politico che ha potuto ‘approfittare’ della libertà intellettuale di alcuni membri del CdA Rai. In un certo senso la politica in Rai ha sempre la meglio…

Rai 1